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M. Bedello Tata La raffigurazione di Dia

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L’affresco con rappresentazione di Diana proveniente da S. Angelo in Formis (fig. 1) è andato perduto in seguito ai bombardamenti che il 9 settembre 1943 danneggiarono il Museo Campano di Capuai(1).

Il ritrovamento del manufatto era avvenu-to alla fine del secolo XIXi(2) assieme a quello di un altro dipinto, di piccole dimensioni con la rappresentazione di un cervo, esposto tutto-ra nel Museoi(3) (fig. 2). Entrambi gli affre-schi, staccati dal supporto murario origina-rio e rimontati su pannelli, provenivano da un’edicola, circondata da una cornice dipinta in rosso. L’immagine con la dea doveva occu-pare il lato di fondo, mentre quella con il cer-vo il lato sinistro. L’ambiente di provenienza sembra potersi ritenere pertinente ad una domus o ad un edificio di servizio, affacciato su di una strada basolata che saliva a S. Angelo. Era costruito in opera reticolata di tufo con pareti intonacate e dipinte e pavimento a mo-saico bianco, definito da “linee colorate”. Pur-troppo l’esiguità dei dati a disposizionei(4) non consente di rintracciare le precise connes-sioni fra le pitture dell’edicola e l’ambiente,

destinato ad ospitare lo spazio dedicato al culto della deai(5).

La fotografia del dipinto fu pubblicata a corredo della voce Diana nell’Enciclopedia Ita-liana nel 1931, assieme alla riproduzione di al-tri due manufatti provenienti dal Museo Cam-pano di Capuai(6), attraverso i quali Paola Zan -cani Montuoro ripercorreva, per grandi linee, il cammino compiuto, in ambiente italico, dall’iconografia della dea, a partire dalla fine del VI secolo a.C. Le altre due immagini si ri-ferivano alla rappresentazione di un’arcaica Diana cacciatrice, a cavallo, armata di arco su di un’antefissa, appartenente ad un gruppo di esemplarii(7), provenienti dal santuario del fondo Patturelli e ad un’inedita statuetta fittile di età ellenistica.

I due affreschi, quello con Diana e quello con il cervo, richiamano la devozione a Diana Tifatina, il cui santuario è oggi conservato, nella forma assunta in periodo ellenistico, sotto la Basilica benedettina di S. Angelo in For -misi(8). Si tratta del più meridionale dei gran-di santuari degran-dicati alla dea, che si ergeva a controllo e protezione di Capua, da cui distava

Desidero ringraziare l’amica Stefania Quilici Gigli per avermi proposto di collaborare a questo volume, che rac-coglie una quantità notevole di inediti capuani, Maria Lui-sa Nava direttrice infaticabile del Museo Provinciale Cam-pano, per la sua disponibilità, Laura Buccino per i prezio-si suggerimenti e Maria Bonghi Jovino, da sempre aperta ad un colloquio vivo e costruttivo, per la sua costante attenzione. A quest’ultima, maestra e amica, si debbono le riproduzioni fotografiche delle terrecotte, che fanno parte della documentazione da lei raccolta in vista di un proget-to di studio sul pantheon della città campana, attraverso la produzione fittile.

(1) R. SIRLETO, «Il Museo Campano durante l’ultima

guerra», in Ricerche del Dottorato in metodologie conosciti-ve per la conservazione e la valorizzazione dei Beni Culturali 2005-2010, Santa Maria Capua Vetere 2010, pp. 157-181. (2) G. FIORELLI, in NS1877, pp. 116-117; G. MINER

-VINI, «Di alcune antichità al Tifata, breve relazione», in

Commentationes philologae in honorem Theodori Momm-seni, Berolini 1877, pp. 660-662.

(3) Il pannello con il dipinto, conservato nella sala 10 del Museo Provinciale Campano di Capua, ha dimensioni

molto ridotte: cm 26×40. Da questo si può dedurre che an-che l’immagine di Diana dovesse avere misure ana loghe, facendo parte della decorazione della medesima edicola. (4) Vedi in questa stessa sede: ST. QUILICIGIGLI, pp. 85-87.

(5) I dati del ritrovamento di S. Angelo, così incom-pleti e difficilmente ricostruibili, non possono arrecare ul-teriori informazioni su questo tipo di ambienti, contraria-mente ben documentati nelle città vesuviane: M. BASSANI,

Sacraria. Ambienti e piccoli edifici per il culto domestico in area vesuviana, Roma 2008; M. BASSANI, «Strutture archi-tettoniche a uso religioso», in Religionem significare. Aspetti storico-religiosi, strutturali, iconografici dei sacra privata (Atti dell’Incontro di Studi, Padova, 8-9 giugno 2009), a cura di M. BASSANIe F. GHEDINI, Roma 2011, pp. 99-134. (6) P. ZANCANIMONTUORO, voce «Diana», in Enciclo-pedia italiana di scienze, lettere ed arti,Milano 1931, pp. 742-745, figg. 1-3.

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circa 30 stadi. Posto sulle pendici sud-ovest del Tifata, dominava il corso e la piana del Volturno. La regione montuosa circostante, un tempo ricca di sorgenti di acque minerali e boschii(9), era la sede più idonea ad ospitare il culto di una dea, sauvage et maternellei(10) allo stesso tempo, con poteri sulla natura ani-mata: vegetale, animale ed umana. Le origini di questo santuario extraurbano vengono attribui-te all’epoca della fondazione di Capua, in base

alle rare testimonianze sicuramente pertinenti al primo arredo fittile del tempioi(11), alla ve-tustà degli agalmatadi cui si favoleggiava nelle fontii(12) e alle sue antiche favissae. All’alta antichità allude la leggenda della cerva bianca a lei sacra, famula Dianae, la cui vicenda, in parte ricalcata sull’epica romana, viene a coin-cidere con la storia stessa della città: allevata dalle madri di Capua, per mille anni, dai tempi della fondazione, sarebbe fuggita nel 211 a.C.

(9) Acque calde, salutari e “fetide”, cariche di principi salini, erano ancora presenti, alla fine dell’ottocento, nella zona di Triflisco: G. NOVI, «Notizia di alcuni scavi sul

Ti-fata», in Poliorama pittoresco XVII, 1856, pp. 245-247. (10) J. HEURGON, Recherches sur l’histoire, la religion et la civilisation de Capoue preromaine: des origines à la

deuxième guerre punique, Paris 1942, da p. 299.

(11) HEURGON, op. cit., da pp. 299, 326-388; KOCH,

op. cit., p. 20 ss., tav. II.

(12) Pausanias V, XII, 3; HEURGON, op. cit., p. 302;

DEFRANCISCIS, op. cit., p. 44.

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durante l’assedio romano e sacrificata nel campo nemico, determinando così la conqui-sta della cittài(13).

Come è ampiamente noto, il prestigio del tempio era legato al patrimonio della dea incre-mentato poi dalle donazioni sillane e gestito da numeroso personale addetto sia all’amministra-zione che al culto. La dea possedeva un tesoro, stips Dianae,ed una fabbrica probabilmente di materiale fittile su cui veniva stampato il suo nome: Diane Tifatinei(14). Fonti letterarie ed epi-grafiche, provenienti dalle località più lontane dell’impero celebrano i poteri della dea fino ad età imperiale avanzatai(15). Il perpetuarsi delle celebrazioni in suo onore attraverseranno il tem-po ed i travagli della storia, dimostrando il ra-dicamento del culto nel territorio: ne è testi-monianza, in un feriale fatto incidere da un sacerdote nel giorno dell’ascesa al trono di Va-lentiniano II (387 d.C.), la citazione di una festa pagana, che doveva svolgersi sulla strada diretta al santuarioi(16) e la sopravvivenza nel X secolo d.C., delle chiassose cerimonie (saltationes et bacchationes) in onore della dea, nei pressi del monastero, sovrappostosi al podio dell’antico tempioi(17), il cui ricordo si perpetrava anche at-traverso la presenza di un altare marmoreo con dedica a Dianae Tifatinae triviae sacrumi(18). L’affresco con Diana dal sacello di S. An -gelo costituisce probabilmente il terminale iconografico di una figura divina sulla quale agirono, ed alla fine prevalsero, gli stimoli dell’immaginario greco e la personalità della greca Artemide. Adorata in un variegato pantheon femminile, di cui la coroplastica ca-puana restituisce documentazione vivace, la Diana del Tifata presentava una natura com-plessa e vaga, che associò alle sue primigenie prerogative, quelle di protettrice della salute, della fecondità e dei parti, come Giunone Lu-cinai(19), in un gioco di scambi e sincretismi, che si rafforza in età ellenistica. Il suo caratte-re di potente signora della natura e quello di cacciatrice, mediato successivamente dalle

colonie greche della costa, in particolare da Cuma, comincia ad apparire nelle antefisse arcaiche citate, sulla cui attribuzione alla dea piuttosto che a Giunone Lucina, sono state avanzate osservazionii(20) su cui sarebbe utile ritornare anche con il supporto del materiale fittile votivo. Coeve forse alla fondazione del santuario tifatino, le antefisse di dea a cavallo rimandano alle sue caratteristiche più selvag-ge, “fotografate” un attimo prima che a quelle

(13) SIL. IT., Pun. XIII, 115-138.

(14) Cfr. D. NONNIS, in questo stesso fascicolo, pp.

215-216.

(15) R.M. PETERSON, The cults of Campania, Rome 1919, da p. 322; HEURGON, op. cit., pp. 300-301.

(16) CIL X, 3792; M. CRISTOFANI, «Luoghi di culto

dell’ager campanus», in I culti della Campania antica (Atti del Convegno Internazionale di Studi in ricordo di Nazarena Valenza Mele, Napoli 15-17 maggio 1995), Roma 1998, pp. 169-173.

(17) HEURGON, op. cit., p. 392. (18) CIL X, 3795.

(19) È indicativo il fatto che la stipe rinvenuta presso il santuario di Diana Tifatina abbia restituito numerosi doni votivi attinenti la sfera della sanatio:DEFRANCISCIS,

op. cit., pp. 43-44 con bibl.; ST. QUILICI GIGLI, in questo

stesso fascicolo, p. 49.

(20) F. COARELLI, «Venus Iovia, Venus Libitina?, Il san-tuario del Fondo Patturelli», in L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore LeporeI, Napoli 1995, pp. 371-387. Fig. 2. Capua, Museo Provinciale Campano: affresco

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della Diana italica si sovrapponessero i carat-teri distintivi dell’Artemide greca.

Il successivo sviluppo dell’immagine della dea tifatina, quale ci appare nel dipinto romano, non è ricostruibile in modo lineare, considerato il peso della tradizione locale, almeno fino agli inizi del III sec. a.C., quando prevarrà, nella co-roplastica, il tipo ellenistico della cacciatrice con fiaccola in atteggiamento di riposo, accompa-gnata dal cane. In età imperiale, come attesta l’immagine di una statua di Diana Tifatina effi-giata insieme alla dedica di un fedele su di un cippo dalla Gallia Narbonensei(21), si è ormai da secoli imposta la rappresentazione della dea

come cacciatrice, quale appare anche nel grup-po marmoreo, proveniente dall’area capuana, conservato al Museo Campano in due frammen-ti (fig. 3 a,b)i(22).

Alla fine del IV sec. a.C. l’elemento osco raffi-gura Diana in una statua fittilei(23), che, nella sua arcaica compostezza conserva gli echi di una religiosità antica: nella figura, rigida come un totem (fig. 4), predominano concetti formali di origine italica, non ignari, in questo caso, del -l’iconografia della greca Artemide, di cui viene riprodotto l’abbigliamentoi(24). Questo, costitui-to dal lungo peplo con apotygma pieghettato, le corregge della faretra riportate rozzamente sul corto mantello, l’animaletto nella mano sinistra e l’arco, la designano quale sovrana della vegeta-zione e della caccia, selvaggia e materna ad un tempo. La ferma robustezza della statua, che presenta medie dimensioni, ricorre anche in una statuetta votiva (fig. 5), piena e pesante, plasmata a mano libera con un’argilla rossastra, poco de-purata: espressioni entrambe, dunque, la grande e la piccola, di tendenze autoctone, che rimango-no ben vive anche in altre classi di materiali fittili capuani, riconoscibili per diverso tipo di lavora-zione e grado di depuralavora-zione dell’argilla. Tali tendenze, frutto della forte pressione indigena, apportatrice di un gusto documentato a più va-sto raggio nella coroplastica campanai(25),

riaf-(21) La statua riprodotta sul cippo riprende per gran-di linee il tipo della c.d. Diana gran-di Versailles: CILXII, 1705. (22) L. MELILLO, in Exempla. La rinascita dell’antico nell’arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano, Ospeda-letto (Pisa) 2008, pp. 131-132.

(23) M. BONGHIJOVINO, Capua preromana, Terrecotte

votive II. Le statue, p. 43.

(24) LIMC, II, 2, voce «Artemis», p. 494.

(25) L. SCATOZZA HÖRICHT, «Materiali votivi da

Atella«, in I culti della Campania antica,op. cit., pp. 191-197, tav. LII, 2.

Fig. 3a. Capua, Museo Provinciale Campano: gruppo mar-moreo con Diana.

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fioreranno, riemergendo in modo differenziato, assieme a quelle ellenizzanti, che vanno impo-nendosi nella produzione del III-II sec. a.C.

Nell’ambito di quest’ultima si inserisce un manipolo di statuette, databili nel corso del III sec. a.C, con l’immagine di Diana cacciatrice (figg. 6-13), riconducibili, con esigue differen-ze, al tipo che sarà raffigurato sull’affresco di S. Angelo. Conservate al Museo Campano esse riproducono, in serie, l’immagine della dea, quale ci viene descritta dalle fontii(26). La maggior parte degli esemplari (figg. 6-12) rap-presenta un tipo di Artemide, ben noto alla coroplastica mediterraneai(27), tipo che offre occasione per sincretismi con divinità, come Ekatei(28), dalle prerogative analoghe espres-se attraverso gli stessi simbolismi. La fiaccola, cui la dea si appoggia, posta a destra o a sini-stra, sullo stesso lato su cui appare accucciato il cane con il muso rivolto verso di lei, richia-ma il suo carattere lunare: Dianam autem et Lunam eandem putanti(29) e i molteplici ruoli nella protezione della donna, dei matrimoni, della fecondità. L’abbigliamento leggero e la faretra, qui presente in due casi, alludono alle sue prerogative di cacciatrice, desunte dal mon-do greco, attraverso la mediazione della costa. Capua conosce nella piccola coroplastica anche il tipo dell’Artemide sicula (fig. 14), frutto degli influssi della Sicilia ellenistica, che esprime una figura leggiadra, simile ad un’Afrodite, dalla veste così leggera, da farla apparire nuda.

Il gruppo rientra a pieno titolo nell’ambito della statuaria di piccolo modulo, riferibile al mondo muliebre, che trova nel repertorio elle-nistico mediterraneoi(30) numerosi confronti. Manufatti che gli artigiani di Capua produssero in abbondanza fino allo sfinimento degli stam-pi, a giudicare dalla quantità di prodotti con-sunti, obbedendo alla richiesta di un ceto popo-lare, garante, pur con il suo modesto potere di acquisto, di una continuità di entrate per i san-tuari. Nell’ambito di questa produzione, il sog-getto “Diana”, è quello che più degli altri non subisce fraintendimenti come avviene per altre divinità femminili come Venere o Minerva, la cui immagine, ispirata a modelli classici o elle-nistici, viene a volte travisata con l’irriverenza

paesana che caratterizza anche molta della pic-cola coroplastica laziale e campana coeva.

Per ritornare al dipinto da S. Angelo, che restituisce la serena immagine della dea, colta in una pausa dalla caccia, analoga anche se

(26) Pausanias (X, 37, 1) descrive la statua di Artemi-de, opera di Prassitele, nel santuario di Anticyra,con fiac-cola, faretra a destra e cane sul lato sinistro.

(27) LIMC, II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 2, es. 496, 497, p. 485; vol. 1, p. 654 ss.

(28) LIMC, II, 1-2, voce «Artemis»: vol. 1, p. 744. (29) CIC. De nat. Deor. II, 68.

(30) Una rapida scorsa alla coroplastica ellenistica dà l’idea di come Capua abbia attinto, sebbene superficial-mente, a quel grazioso e ripetitivo repertorio popolato da Veneri, eroti, statuette muliebri…: S. MOLLARDBESQUES,

Catalogue raisonné des figurines et reliefs en terrecuite grecs et romains II, Myrina, Paris 1963, passim.

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non identica a quella riportata nella piccola statuaria fittile descritta, è evidente come ogni considerazione venga complicata dalla scom-parsa del manufatto, per cui si dovrà ricorrere alla scarna documentazione esistente e alle prime descrizioni ottocentesche.

L’immagine è conforme a quella traman-data dalla tradizione letteraria e figurativa

gre-ca di età ellenistigre-cai(31): la dea si presenta fer-ma, compatta, gravitante sulla gamba destra, calza alti stivaletti stringati ed è abbigliata con breve chitone e mantello. Questo, anziché pog-giare su una parte del corpo, per assecondarne il movimento, copre, per evidente licenza poe-ticai(32), entrambe le spalle per ricadere in modo simmetrico ai lati e arrotolarsi intorno alla vita. L’attitudine alla caccia è richiamata dall’arco, dalla freccia e da una pelle ferina che poggia sul braccio sinistro. Segno distinti-vo della divinità è da ritenersi il triplo “coro-namento” sul capo, formato da un serto di alloro, dallo Zackendiadem, definito da una fila di serpenti-urei in genere caratteristica dell’egizia Isidei(33), e da un nimbo allusivo al brillio dell’astro lunare. L’ambientazione en plein air è suggerita dal fondo chiaro, dalle ombreggiature e dalla balaustra che funge da base anche per alcuni elementi di difficile let-tura. La staticità della figura, in contrasto con la rappresentazione dipinta della più tarda Diana in caccia dell’ipogeo di via Livenzai(34) e la sua collocazione su di una balaustra o piedistallo possono far pensare, infatti, che la pittura di S. Angelo voglia riprodurre un simu-lacro della deai(35) inserita in un contesto paesaggistico idillico-sacralei(36).

L’assetto generale della figura e l’uso acce-so dei colori dell’abbigliamento, che si posacce-so- posso-no trarre dalle prime descrizionii(37), il por-pora del chitone orlato da “verdi ricami”, il “color oro” del manto, i raggi dorati della pri-ma corona, suggeriscono accostamenti con le squillanti cromie di alcune pitture dell’area ve-suviana: il lare di un larario di una villa di Bo-scorealei(38), la raffigurazione di una Diana in un corteggio di dodici dei in una facciata pompeiana (Pompei IX 11, 1)i(39), e, ancora da Pompei (Pompei VI, Insula Occidenta-lis,10), la rappresentazione dipinta della

sta-(31) Si tratta dei tipi ispirati ad Artémis Laphriadi cui riferisce Pausania (X, 37, 1): LIMCII, 1-2, voce «Artemis»: vol. 1, p. 641; vol. 2, es. 194, 195, 201, p. 461.

(32) Secondo la Bieber (M. BIEBER, Ancient Copies. Contributions to the history of greek and roman art, New York 1977, p. 71 ss.) un abbigliamento di questo tipo cor-risponde ai criteri di simmetria cari ai Romani (tav. 49, fig. 296), piuttosto che a quelli di comodità: il modo più pra tico di indossare il mantello, riportato nella statuaria greca, è quello di farlo passare per la sola spalla sinistra, come dimostra la ricostruzione della Bieber proposta alla tav. 46, fig. 274.

(33) LIMC II, 1-2, voce «Artemis/Diana»: vol. 2, es. 45, p. 597, es. 174, p. 610, es. 192, p. 610; vol. 1, pp. 810, 822-24. Come accade per Ekate e Giunone Lucina, Diana dà luogo

a sincretismi con altre divinità, tra cui Iside.

(34) LIMC II, 1-2, voce «Artemis/Diana»: vol. 2 es. 151 p. 608; vol. 1, p. 820.

(35) E.M. MOORMANN, La pittura parietale romana come fonte di conoscenza per la scultura antica, Assen-Maastricht 1988, pp. 51-52, t. 225, 1, p. 189.

(36) I. COLPO, Ruinae…et putres robore trunci. Pae-saggi di rovine e rovine nel paePae-saggio nella pittura romana (I secolo a.C.-I secolo d.C.),Roma 2010, da p. 78, fig. 50.

(37) FIORELLI,art. cit., pp. 116-117.

(38) F. GIACOBELLO, Larari pompeiani. Iconografia e culto dei Lari in ambito domestico, Milano 2008, pp. 228-229. (39) T. FRÖHLICH, Lararien- und Fassadenbilder in den Vesuvstädten(MittDAI1991, Erg. 32), tav. 60, 2, pp. 335-337. Fig. 5. Capua, Museo Provinciale Campano: statuetta fittile

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tua della dea dorifora, con diadema aureo definito da urei ed abbigliamento vivacemente coloratoi(40).

Il dipinto con il cervo, raffigurato con im-ponente palco di corna nel pannello laterale del sacello, non fornisce alcun ulteriore sup-porto alla definizione dell’affresco con la dea. Si tratta di un animale in genere associato ad essa anche nella statuaria, ma non corrispon-de alla cerva bianca corrispon-della leggenda primigenia di Capua.

Nonostante tutto, comunque, l’unica foto-grafia in bianco e nero che possediamo dell’af-fresco perduto riesce a restituire un’immagine pittorica di ottima qualità che è possibile attri-buire ad una committenza di buon livello. L’inserimento della figura in un contesto natu-ralistico, la resa plastica del corpo, della mu-scolatura delle gambe e la forma del volto, preso di tre quarti, ricordano la solidità stili-stica di alcuni ottimi prodotti pittorici di bot-teghe pompeianei(41) piuttosto che di ateliers più tardi, come proposto dal Minervinii(42). La tipologia della pittura ed i confronti con materiale pompeiano, pur non numerosi, sono a mio parere indicativi di un gusto molto di-verso da quello che si sprigiona dai manufatti pittorici di età medio e tardo imperiale, docu-mentato dagli esempi che del periodo fornisce l’antica Ostiai(43), ove le figure si librano in una dimensione irrealei(44) su sfondi chiusi, perdendo quella concretezza ferma di ritratto, che mi pare costituisca la peculiarità del di-pinto di S. Angelo.

In conclusione credo verosimile che la pit-tura con l’immagine di Diana, costituisca il punto di arrivo di un’immagine di culto che fa capo a prototipi statuari creati dall’arte greca per la dea cacciatrice, difficilmente individua-bili in un’unica opera, nel nostro specifico caso. Un confronto interessante è offerto dalla rappresentazione della statua di Diana dado -fora su uno dei tondi adrianei dell’arco di Costantinoi(45), cui sembra corrispondere la versione pittorica restituita dagli scavi otto-centeschi di S. Angelo.

Il perpetuarsi, nella pittura di S. Angelo, tra la fine del I secolo d.C. e l’inizio del se-guente, dell’iconografia di Diana cacciatrice con poche variazioni di rilievo, ma con spirito che resta sostanzialmente analogo a quello ri-portato anche nella coroplastica esaminata, testimonianza di devozione privata ad una divi-nità dai molteplici aspetti, è fenomeno interes-sante e non casuale. Evidentemente è questo il tipo di Diana, che si è affermato a Capua, dopo la sua entrata nell’orbita romana, seguita alla conquista della città nel 211 a.C., lontana da richiami ad un arcaico mondo selvaggio, e, a partire dal III-II sec. a.C., lontano anche dalle iconografie popolaresche di tradizione ante-riore, che finiranno per essere in qualche modo addomesticate, nel momento che vede farsi rapida, forte e duratura, e non solo a Ca-pua, la diffusione di iconografie e stili, desunti dalla Grecia classica e ellenistica e veicolati dall’espansione romanai(46). Il Museo Cam -pano permette di concludere questo rapido excursus grazie alla presenza del pregevole torso di Diana Venatrix con accanto il cane proteso nella caccia, gruppo confrontabile e ri-costruibile grazie al confronto con una copia da originale greco del Museo Archeologico di Napolii(47).

APPENDICE

Colgo qui l’occasione per presentare in ap-pendice le statuette fittili inedite con l’effigie di Diana, cui si è fatto sopra riferimento, estrapolandole da un contesto che potrebbe ri-velarsi più ampio, ma che non è attualmente verificabile, poiché il Museo Campano è stato investito da una radicale opera di trasforma-zione, che costringe ancora una volta a segna-re il passo. Si è ritenuto opportuno, in questa sede, dunque, mostrare un solo esemplare in-dicativo per ogni prototipo individuato, ri-mandando ad altro momento, se sarà possibile, il conteggio della reale consistenza nume -rica dei fittili derivati da ciascuno di essi,

(40) I. BRAGANTINI, V. SAMPAOLO, La pittura pompeia-na, Verona 2009, pp. 190-191.

(41) D. ESPOSITO, Le officine pittoriche di IV stile a Pompei. Dinamiche produttive ed economico-sociali,Roma 2009, tav. XXI.

(42) MINERVINI, art. cit., pp. 660-662.

(43) ST. FALZONE, Ornata aedificia. Pitture parietali dalle case ostiensi, Roma 2007.

(44) I. BALDASSARRE, A. PONTRANDOLFO, A. ROUVE -RET, M. SALVADORI, Pittura romana. Dall’ellenismo al

tar-do antico, Milano 2002, p. 278 ss.

(45) R. TURCAN, «Les tondi d’Hadrien sur l’arc de Constantin», in Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 1991, pp. 53-80, fig. 6.

(46) L. CERCHIAI, I Campani, Milano 1995, da p. 200; F. COARELLI, «Classe dirigente romana e arti figurative»,

in DdA IV-V, 1970-71, pp. 241-265.

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unitamente all’individuazione della presenza di eventuali repliche e variantii(48). Lo stesso numero dei prototipi potrà subire un incre-mento, se sarà possibile accedere con maggior facilità ai magazzini. Anche l’analisi delle ar-gille, che avrei desiderato effettuare su basi non solo autoptiche, è rimandata ad un momento in cui le normali attività di verifica potranno essere riprese.

Il breve catalogo che segue non vuole per-tanto essere esaustivo dell’intera produzione fittile di piccolo modulo riservato all’immagi-ne di Diana, ma solo rappresentare un primo passo verso l’analisi di questa tipologia e suc-cessivamente lo studio di altre che fanno capo alla raffigurazione di divinità, per la maggior parte femminilii(49). Una maggiore consistenza numerica di questi tipi è confer-mata, in un orizzonte più ampio, dal confron-to strettissimo con repliche presenti a Napoli, Berlino, Parigi, Madrid… ove molti esemplari sono confluiti negli anni che videro gran parte del patrimonio fittile capuano emigrare nei mu-sei europei. Disiecta membra, sicura prova degli interessi economici legati ai primi scavi, che or-mai assumono il carattere di testimonianza di una delle tante occasioni irrimediabilmente perdute a causa della frantumazione di uno dei nostri contesti archeologici più interessanti.

In genere la produzione relativa alle sta-tuette di piccolo modulo non si distacca a Ca-pua, specie a partire dalla fine del IV e poi nel corso del III secolo a.C., da quella centro itali-ca e itali-campana, sitali-cadendo spesso in sciatteria di esecuzione e mettendo in rilievo una diffusa

incomprensione per modelli rivisitati nell’am-bito di botteghe modeste, che copiano, in modo seriale, le grandi opere, interpretandole con linguaggio a volte ai limiti della caricatu-ra. In questo panorama le statuette con Diana, in veste di cacciatrice, caratterizzata dalla compresenza della torcia e degli attributi della caccia, cane e faretra (che compaiono a volte in schema invertito) riescono a mantenere una certa dignità riportando a un tipo ben codifi-cato di ascendenza ellenistica, risolto senza evidenti fraintendimenti. Si tratta di esemplari generati da matrici stanche che presuppongo-no un uso prolungato degli stampi, ad eccezio-ne degli esemplari Diana IVa1 e Diana VIIa1, generati da matrici meno usurate. Tutto ciò radica nella convinzione che i depositi del Mu-seo Campano possano restituire materiale più fresco e numeroso ad una futura ricognizione. La tipologia di Diana in posizione di ri-poso accompagnata, anche se non sempre contemporaneamente, da faretra, fiaccola, cane, che ne mettono in rilievo anche il sin-cretismo con altre divinità, trova confronti nella piccola coroplastica di Lazio e Campa-nia, accanto ad altre tipologie devozionali. La produzione, poco accurata, si differenzia stilisticamente e per qualità, da centro a cen-tro, anche se risponde a criteri tipologici so-stanzialmente omogeneii(50). La datazione di materiale di questo tipo è affidata in gene-re alla iconografia e raramente a dati desun-ti da regolari campagne di scavo. Pertanto le datazioni proposte, oscillanti quasi sempre tra IV e II sec. a.C., appaiono insufficienti ad

(48) Le norme di base per la catalogazione del mate-riale capuano, cui si è fatto sempre costante riferimento, adattando la siglatura alla varietà dei materiali, sono in M. BONGHIJOVINO, Capua preromana, Terrecotte votive I.

Teste isolate e mezzeteste, Firenze 1965, da p. 16.

(49) Quello con Diana fa parte di un imponente e quanto mai vario gruppo di statuette fittili, raffiguranti le divinità più diverse, in stile ellenizzante, locale ed ibrido. Si tratta di un consistente patrimonio archeologico che at-tende di essere documentato. Un primo saggio della va-rietà della produzione è offerto dal catalogo di O. DELLA

TORRE, S. CIAGHI, Terrecotte figurate ed architettoniche del Museo Nazionale di Napoli I. Terrecotte figurate da Capua, Napoli 1980, che raccogliendo il materiale fittile capuano confluito al Museo Archeologico di Napoli permette di spaziare oltre i cataloghi tematici già pubblicati nella se-rie Capua preromana, Terrecotte votive, dando l’idea gene-rale dell’esistenza di una piccola statuaria molto variega-ta, debitrice nei confronti di quella monumentale, pur tra evidenti travisamenti. L’esame di questo materiale, pre-sente nel Museo Campano con una più ampia casistica ri-spetto al Museo di Napoli, potrebbe contribuire al

recupe-ro dei molti dati perduti anche a causa della sua dissenna-ta dispersione. È comunque insidissenna-ta, nella maggior parte dei fittili votivi ellenistici, la difficoltà di cogliere le specificità dei culti e delle divinità tutelari: J.P. MOREL, «Les cultes du sanctuaire de Fondo Ruozzo à Teano», in I culti della Campania antica, op. cit., pp. 157-167.

(50) Per la Campania si vedano i rinvenimenti di Tea-no, loc. Loreto: W. JOHANNOWSKY, «Relazione

prelimina-re sugli scavi di Teano», in BAXLVIII, 1963, pp. 131-165, fig. 14, p. 148, tav. XLIV e loc. Ruozzo: MOREL, art. cit.,in

I culti della Campania antica, op. cit., pp. 157-167; di Fratte di Salerno: G. GRECO, «Coroplastica», in Fratte, un inse-diamento etrusco campano(a cura di G. GRECO, A. PON -TRANDOLFO), Modena 1990, pp. 99-123, fig. 225. Per il

La-zio, si veda per Nemi: F. WINTER, Die Typen der figürli-chen Terrakotten III, 2, Berlin und Stuttgart 1903, p. 164, 3, 4; per Roma, stipe del Tevere: P. PENSABENE, M.A. RIZ

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entrare nello specifico. Nel caso di Capua, le cui sfortunate vicende di scavo peraltro non fanno eccezione, una datazione al III sec. a.C., per la maggior parte dei fittili presenta-ti (figg. 6-12), sembra a chi scrive la più pro-babile, anche in considerazione del graduale cambiamento che in questo periodo investe la produzione della città, segnando un deci-so cambiamento di rottai(51). Infatti dopo la realizzazione di statue di grandi e medie di-mensioni, la statuaria di piccola taglia con donne e bambini tra le braccia, le teste e te-stine isolate, gli oscilla, i busti…, un posto notevole, dalla fine del IV secolo, occupa la produzione cospicua di “tanagrine”, che in-dirizza, analogamente a quanto accade sotto l’influenza attica in altri centri campa-nii(52), verso un mondo più leggiadro e in-troduce ad una variegata plastica di piccolo modulo, che denota la vitalità delle botte-ghe e dei rapporti con i centri campani e la-ziali, il sud della penisola e l’oriente. In que-sto ambito si sviluppa nel III sec. a.C. una koinè che unisce Campania, Lazio, Etruria Meridionale e dà luogo ad una gran quan-tità, tipologicamente differenziata, di sta-tuette facenti capo a diversi soggetti preva-lentemente femminili. A Pompei, della diffu-sione di questi modelli è dato conto in una serie di lastre fittili di reimpiego, in origine appartenenti ad un edificio sacro, con una decorazione a rilievo che comprende, tra al-tre divinità, una figura, che risulta iconogra-ficamente molto simile ai fittili capuani raf-figuranti Dianai(53).

All’interno del gruppo di fittili qui presenta-ti (protopresenta-tipi facenpresenta-ti capo a Diana I-VIII) esisto-no alcune differenze di poco conto in relazione allo schema compositivo che può essere inverti-to, senza nulla togliere all’omogeneità del com-plesso. L’esiguità numerica non permette di en-trare in merito alle specificità delle botteghe, certo più d’una, operanti a Capua, in una fase di articolata economia di mercato. Molto vicini, non solo iconograficamente ma anche per di-mensioni e consistenza risultano tra loro i fittili Diana Ia1, Diana II a1, Diana III a1, confronta-bili con fittili dalle stipi del Teverei(54) e dell’Esquilinoi(55), dalle stipi dei fondi Loreto e Ruozzo di Teanoi(56) e con fittili dalla Grecia, e dalla Siciliai(57). Nello stesso modo i fittili Diana V a1, Diana VI a1 e Diana VII a1, acefali, esprimono esemplari di fattura tra loro analoga anche nella corsività della realizzazionei(58). Tra questi il prototipo Diana V, sembra essere molto vicino a quello di una statuetta del Mu-seo Archeologico di Madrid, che potrebbe esse-re di provenienza capuana, come possono con-fermare tra l’altro anche le vicende della forma-zione della colleforma-zione Salamanca, cui il fittile appartienei(59). Di dimensioni più grandi e di buona fattura appare Diana IV a1, simile ad un fittile da Stoccardai(60). La testina è plasmata con la grazia di alcune tanagrine capuane con cercine scabroi(61), mentre Diana VIII a1, anch’essa di dimensioni maggiori rispetto alle altre appare troppo consumata in superficie per poterne valutare la qualità, che doveva inizial-mente essere migliore. L’esemplare trova con-fronti nella statuaria di epoca ellenistico

roma-(51) Mi pare assai condivisibile l’opinione espressa dal Morel che individua,aprés le grand tournant des en-virons de l’an 200 av. n.è”, anni del “dopo Annibale” a Capua, un netto cambiamento di mentalità nel modo di relazionarsi ed offrire agli dei: J.-P. MOREL, «Le sanctuaire

de fondo Ruozzo à Teano (Campanie) et ses ex-voto», in

Comptes rendus cit., pp. 9-34.

(52) W. JOHANNOWSKY, Capua antica, Napoli 1989, p. 63.

(53) E. MENOTTIDELUCIA, «Le terrecotte dell’“insula occidentalis”: nuovi elementi per la problematica relativa alla produzione artistica di Pompei del II sec. a.C.», in Arti-giani e botteghe nell’Italia preromana. Studi sulla coroplastica di area etrusco-laziale-campana, a cura di M. BONGHIJOVI -NO, Roma 1990, pp. 179-246. Da ultimo R. KÄNEL,

«Darstel-lungen der Nike in der etruskisch-italischen Baudekora-tion», in Deliciae fictiles. Architectural Terrakottas in Ancient Italy. Images of Gods, Monsters and Heroes (Proceedings of the international Conference held in Rome and Syracuse Octo-ber 21-25, 2009), Oxford and Oakville 2011, pp. 74-83, fig. 9. (54) PENSABENE, RIZZO, ROGHI, TALAMO, op. cit., es.

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nai(62) e nella coroplastica dei depositi del Tevere e dell’Esquilino di Romai(63).

Diverse da queste iconografie e di datazio-ne anteriore, risultano gli esemplari Diana IXa1 e Diana Xa1 (figg. 5 e 14), che rappresen-tano i due poli tra i quali ancora alla fine del IV sec. a.C. si muove l’artigianato capuano: il primo, riferibile all’Artemide sicula con pante-ra, testimonia dei rapporti tra la Campania, in

particolare Neapolis, e il mediterraneo elleni-stico, nel caso specifico la Sicilia agatocleai(64), mentre dal secondo affiora con forza la conti-nuità del filone locale, evidente sia nella for-mula iconografica che nella scelta e manipola-zione della materiai(65). Analoga rusticità si coglie in altri esemplari fittili della Campania, la cui produzione sembra correre su binari paralleli, in bilico tra tradizione locale e novità ellenistiche.

DIANA CACCIATRICE

Diana I

Diana Ia1 (fig. 6)

Stante, mano destra sull’anca, gamba sinistra incrociata davanti alla destra, portante. Sul capo poggia un cercine scabro. Veste corto chitone, cla-mide passante sulla spalla destra, alti gambali. Reg-ge a sinistra una lunga fiaccola, dietro la spalla destra spunta la faretra, modellata anche sul retro. A sinistra è accucciato un cane con il capo girato appoggiata sull’anca, gamba sinistra incrociata davanti alla destra, portante. Veste corto chitone con apotygma e manto poggiato sulla spalla de-stra. Sul capo poggia un cercine. Porta alti gam-bali. Regge a sinistra una lunga fiaccola. Sullo stesso lato è accucciato un cane con il capo girato verso l’alto. Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio ovale. La testa è riattaccata. Impasto fine, argilla rosata.

Inv. 10947 (Patroni 7012); alt. cm 17; largh. (gomito destro-fiaccola) cm 5,60.

Diana III

Diana III a1 (fig. 8)

Stante su basetta ovale, mano destra appoggia-ta sull’anca, gamba sinistra incrociaappoggia-ta davanti alla destra, portante. Veste corto chitone con apotygma, un lembo del manto passa sopra la spalla destra. I capelli, spartiti, sono raccolti alla sommità in un nodo. Porta alti gambali. Regge a sinistra una fiac-cola. Dietro la spalla spunta la faretra, modellata anche nella parte posteriore. Alla sinistra è accuc-ciato un cane con il capo girato verso l’alto. Cava. Da due stampi. Modellata anche sul retro. Priva del foro sfiatatoio. Quasi integra, presenta una lacuna in corrispondenza della parte inferiore della fiaccola. Inv. 10951; alt. cm 17; largh. (gomito destro-fiaccola) cm 6,10.

Diana IV

Diana IV a1 (fig. 9)

Stante. Mano sinistra appoggiata sull’anca. La gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, por-tante. Veste corto chitone pieghettato, che lascia scoperte le ginocchia, con apotygma,e gambali. Sui capelli spartiti poggia un cercine. Porta orecchini a bottone. Regge con la mano destra una lunga fiac-cola, il braccio disteso lungo il corpo. Sullo stesso lato è accucciato un cane con il muso girato in alto. Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio circolare sul retro. Quasi integra, presenta una lacuna nella par-te destra del cercine. Argilla rosa inpar-tenso.

Inv. 10950; alt. cm 26; largh. (gomito sinistro-fiaccola) cm 9,5. vol. 1, p. 694; L. SCATOZZAHÖRICHT, Le terrecotte figurate di Cuma, Roma 1987, tav. III, es. A Va1.

(65) M. BONGHI JOVINO, «Aspetti della produzione

figurativa. La coroplastica capuana dalla guerra latina alla guerra annibalica», in Artigiani e botteghe, cit., pp. 217-235, in part. a p. 231.

(66) Nelle schede viene indicata, quando rintracciata, la corrispondenza con Patroni: G. PATRONI, Catalogo dei vasi e delle terrecotte del Museo Campano, Capua 1897-1904.

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Diana V

Diana V a1 (fig. 10)

Stante, mano sinistra puntata sull’anca. La gamba destra si incrocia davanti alla sinistra, por-tante. Veste chitone pieghettato fino al ginocchio, cinto in vita con apotygma,e gambali. Un lembo del manto passa sopra la spalla sinistra e ricade sul braccio. Regge a destra una sottile fiaccola poggiata a terra. Sullo stesso lato è accucciato un cane col muso girato in alto. Basetta rettangolare di restau-ro. Cava. Da due stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio circolare non è modellata. Acefala con restauri moderni in gesso. Argilla rosata. Inv. 10797; alt. residua cm 13,50; largh. (gomito sini-stro-fiaccola) cm 6,10.

Diana VI

Diana VI a1 (fig. 11)

Stante su alta base, appoggiata con il gomito de-stro ad un pilastrino. Mano sinistra puntata dietro l’anca. La gamba destra si incrocia davanti alla sini-stra, portante. Veste corto chitone che si ferma sopra il ginocchio, cinto in vita, con apotygma. Un lembo del manto passa sopra il braccio sinistro e ricade lungo il fianco. Incrocio sul petto delle corregge. Cal-za alti gambali. Regge a destra una sottile fiaccola poggiata a terra. Sullo stesso lato è accucciato un cane volto a sinistra col muso girato in alto. Cava. Da

due stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio circolare non è modellata. Acefala. Argilla rosata. Inv. 10774; alt. residua cm 15; largh. (gomito sinistro-fiaccola) cm 6,50.

Diana VII

Diana VII a 1 (fig. 12)

Stante su basetta circolare, appoggiata con il gomito destro ad un pilastrino. Mano sinistra pun-tata dietro l’anca. La gamba destra si incrocia da-vanti alla sinistra, portante. Veste chitone pieghet-tato che si ferma sopra il ginocchio, cinto in vita, con apotygma,e gambali. Un lembo del manto pas-sa sopra il braccio sinistro e ricade lungo il fianco. Regge a destra una sottile fiaccola poggiata a terra. Sullo stesso lato è accucciato un cane col muso gi-rato in alto. Cava. Da due stampi. La parte posterio-re con foro sfiatatoio circolaposterio-re non è modellata. Acefala. Matrice buona. Argilla rosata.

Inv. 10775; alt. residua cm 12, 40.

DIANA STANTE CON NEBRIDE Diana VIII

Diana VIII a1 (fig. 13)

Stante, mano sinistra puntata dietro l’anca. Ve-ste chitone al ginocchio, stivali e la nebride stretta Figg. 6-8. Capua, Museo Provinciale Campano: 6, statuetta fittile Diana I a1; 7, statuetta fittile Diana II a1;

8, statuetta fittile Diana III a1.

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Figg. 9-11. Capua, Museo Provinciale Campano: 9, statuetta fittile Diana IV a1; 10, statuetta fittile Diana V a1; 11, statuetta fittile Diana VI a1.

Figg. 12-14. Capua, Museo Provinciale Campano: 12, statuetta fittile Diana VII a1; 13, statuetta fittile Diana VIII a1; 14, statuetta fittile Diana IX a1.

9 10 11

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alla vita. Un lembo del manto passa sopra la spalla destra e ricade sul braccio sinistro. Cava. Da due stampi. La parte posteriore con foro sfiatatoio cir-colare non è modellata. Acefala. Gamba destra mancante. Argilla rosata. Matrice stanca.

Inv. 10785; alt. residua cm 20; largh. max. cm 7,50.

DIANA- TIPOARTEMIDE SICULA

Diana IX

Diana IX a1 (fig. 14)

Stante su basetta, con la mano destra appoggia-ta sul capo di una pantera. Nella mano sinistra reg-ge l’arco. Gravita sulla gamba destra. Indossa su un leggero chitonisco aderente, alto cinto. Un lungo mantello attraversa diagonalmente il petto e scende sul lato sinistro della figura. Calza stivaletti. Cava. Da due stampi. Foro sfiatatoio circolare. Acefala.

Basetta parzialmente rotta. Argilla rosata. Matrice stanca.

Inv. 10777 (Patroni 3540); alt. residua cm 12,1; largh. max. cm 6,10.

DIANA STANTE CON LUNGO CHITONE Diana X

Diana X a1 (fig. 5)

Stante in posizione rigida. Veste lungo chitone pieghettato con corto apotygma. Sul petto si incro-ciano le corregge della faretra. Le braccia aderisco-no al corpo. Sulle spalle scendoaderisco-no due boccoli. Pie-na, pesante, con retro non modellato. Acefala. Priva della mano sinistra. Argilla arancio scuro.

Inv. 10967; alt. residua cm 20,50.

MARGHERITABEDELLOTATA Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma

Referenze grafiche e fotografiche:

Fig. 1, da Enciclopedia Italiana, Milano 1931, voce «Diana», p. 744 fig. 2; fig. 2, foto Francesco Rinaldi, su cortese autorizzazione della direzione del Museo

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Gambar

Fig. 1. Capua, Museo Provinciale Campano: affresco perduto, raffigurante Diana, da S. Angelo in Formis.
Fig. 2. Capua, Museo Provinciale Campano: affresco raffi-gurante un cervo, da S. Angelo in Formis.
Fig. 3b. Capua, Museo Provinciale Campano: gruppo mar-moreo con Diana: particolare.
Fig. 4. Capua, Museo Provinciale Campano: statua fittiledi Diana.
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