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Le Istruzioni per i geometri e le operaz

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INCARICATI DELLA MISURA DEI TERRENI E FORMAZIONE DELLE MAPPE E DEI SOMMARIONI,

IN ESECUZIONE DEL R. DECRETO 13 APRILE 1807

Ristampa anastatica dell’edizione 1811 a cura di Mario Repele,

Massimo Rossi ed Eurigio Tonetti

ISTRUZIONI

DELLA

DIREZIONE CENTRALE DEL CENSO

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Grafiche Antiga spa Crocetta del Montello (TV)

© 2011 Officina Topografica Arzignano (Vicenza)

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L’operazione catastale che Napoleone aveva avviato nel Re-gno d’Italia con il decreto sulle finanze per il 1807, sottoscritto il 12 gennaio 18071 nel remoto “quartier generale imperiale di

Varsavia”, dovette ben presto rivelarsi ai sudditi come gran-diosa, se non addirittura ciclopica. Erano bastati sette articoli, 174 parole in tutto, compresa la rubrica, per mettere in moto la macchina che avrebbe per la prima volta consegnato a va-ste regioni della penisola, tra le quali il Veneto, un catasto di tipo moderno. In capo a soli tre mesi, il 13 aprile successivo, il figliastro Eugenio, viceré d’Italia, tracciava in un proprio de-creto2 le linee essenziali dell’impresa. Ai nove succinti articoli

di questo secondo provvedimento si trovavano annesse delle “Regole da osservarsi generalmente per la misura de’ terre-ni, formazione delle mappe e de’ sommarioni”, 40 articoli per complessive otto pagine del Bollettino delle leggi, in due ca-pitoli, destinati rispettivamente alla “misura de’ terreni e […] formazione delle mappe” (26 articoli) e alla “formazione del sommarione” (i restanti 14)3.

Queste “Regole” rappresentano la prima versione, in forma ridotta e grezza, delle future, e ben più complete ed elaborate,

1. Bollettino delle leggi del Regno d’Italia (d’ora in avanti = Bollettino), Mi-lano, dalla Reale Stamperia, 1807, pp. 25-34.

2. Ibidem, pp. 193-205.

3. Il decreto 13 aprile 1807 e le “Regole” annesse sono ripubblicate in questo stesso volume alle pp. 87-101.

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Istruzioni per i geometri, edite nel 1810 e poi ancora, ulterior-mente perfezionate e integrate, nel 1811, nel testo definitivo che viene qui riproposto, a due secoli esatti di distanza. Espressione di un’amministrazione dalla spiccata vocazione verticistica, abituata a pretendere sollecita e puntuale esecuzio-ne degli ordini impartiti dall’alto e diramati lungo la pirami-de gerarchica, il complesso pirami-delle Istruzioni doveva normare in modo uniforme e universalmente valido una materia complessa e irta di difficoltà, per lo più derivanti dalle diffuse particolarità locali. Si trattava di realizzare, infatti, un “catastro generale del Regno”, un regno frutto dell’annessione di territori con storie, ordinamenti giuridici, amministrativi e fiscali i più disparati. Ma si trattava anche di irreggimentare un vero e proprio eserci-to di operaeserci-tori censuari: a cominciare dagli ingegneri ispeteserci-tori a capo degli uffici dipartimentali (ossia provinciali), arrivando fino all’ultimo degli “inservienti alla misura” o “canneggiato-ri”, passando per i geometri (veri artefici dell’impresa) e i loro aiutanti e per gli assistenti e indicatori comunali. Tecnici che non solo s’erano formati in scuole diverse, ma, soprattutto, che avevano appreso il mestiere di misurare e rappresentare assieme a quello di abbellire, come due aspetti inseparabili di un unico sapere, e per i quali, dunque, il disegno di un terre-no o di un edificio, come la realizzazione di un “catastico”, non costituiva solo e squisitamente un’operazione di natura geometrica, rispondente alle regole impersonali di esattezza matematica, ma anche, sia pure forse non prevalentemente, occasione di sfoggio della propria abilità artistica nel colorare la mappa con sapiente scelta e accostamento di colori, nell’ab-bellirla con cornici elaborate, nell’inserirvi legende, rose dei venti e linee d’orientamento al meridiano terrestre entro raf-figurazioni fantasiose, bizzarre, spesso produzioni figurative raffinatissime. Uomini che avrebbero manifestato una sorta di resistenza culturale verso nuovi modi di lavorare, imposti dall’alto e tanto diversi da quelli appresi negli anni giovanili4.

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Non ci stupisce più che tanto, perciò, se di un giardino li ve-diamo disegnare e colorare nella mappa catastale fin l’ordito delle aiuole, in palese violazione del regolamento, che impo-neva una semplice passata d’inchiostro verde; o se scopriamo che, nello stupefacente e maestoso ambiente naturale del Can-siglio, non lasciarono la loro mappa semplicemente bianca, ma la coprirono col disegno di migliaia di alberi, quasi a voler rendere l’osservatore partecipe delle loro emozioni5.

L’impianto di un catasto moderno comporta essenzialmente due operazioni, nell’ordine: la misura e la stima. La misura comprende il rilievo sistematico del territorio secondo un cri-terio geometrico-particellare e la sua trasposizione in mappe a scala ampia, con il contestuale accertamento dei possessori degli appezzamenti di terreno e degli edifici. Quest’ultime informazioni confluivano in un sommarione descrittivo della mappa, contenente i riferimenti al numero progressivo delle particelle, al possessore, al toponimo, alla qualità del terreno o dell’edificio censito e alla sua superficie. È noto come l’am-ministrazione napoleonica nei territori veneti e friulani – che in questa sede teniamo a riferimento costante, senza tuttavia dimenticare che le operazioni catastali si svolsero anche in molte altre province del Regno italico ancora sprovviste di ca-tasto, a cominciare dalla Lombardia ex veneta, ossia Bergamo e Brescia – tra il 1807 e il 1813 riuscì a portare a compimento gran parte della misura, opera che “non può non provocare la nostra ammirazione e rappresenta uno dei maggiori meri-ti” ch’essa conseguì nel Veneto6. Sopraffatti i francesi tra

l’au-tunno del 1813 e la primavera successiva dall’avanzata degli eserciti della VI coalizione, toccò poi al restaurato governo austriaco riprendere e concludere le misurazioni negli ultimi comuni ch’erano rimasti fino allora privi di mappa, special-mente in ampi distretti del Veronese e del Vicentino, ma qua e là anche nelle montagne carniche e cadorine, come pure, ma

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ancor più sporadicamente, altrove in pianura, passando poi ad approntare le stime, fino alla definitiva attivazione del ca-tasto, o sua conservazione, tra il 1846 e il 1852.

Ma riprendiamo in mano le Istruzioni. Il formato tascabile – che questa riedizione ha voluto mantenere accorpando l’ap-parato testuale delle varianti e sacrificando così la più comoda soluzione di offrirle a pie’ di pagina – ce ne lascia supporre la presenza accanto agli strumenti di lavoro del geometra e l’impiego continuo in campagna durante le misurazioni o al tavolo nei giorni seguenti, destinati al perfezionamento del disegno e alle “calcolazioni”. La congettura è avvalorata a p. 78 delle Istruzioni stesse, all’interno di quella “Modula F.” che fornisce al geometra un paradigma per redigere il quotidiano “diario, o sia storia fedele delle sue operazioni giornaliere”, che il § 157 l’obbligava a stendere giorno per giorno, pena la perdita della retribuzione. Il geometra Giovanni Castoro, im-maginario autore della traccia del diario – pagine avvincenti che senza timore di scivolare nell’enfasi definiamo di lettera-tura – trascorre la sera antecedente l’inizio delle operazioni di misura del territorio di Bosisio “a rileggere le mie istruzioni”, prima ancora di dedicarsi a “preparare gli stromenti per met-termi in campagna” l’indomani.

Invece Carlo Fossatti, ingegnere milanese realmente esistito, convocato nel 1811 nella montagna feltrina a ridisegnare la mappa di Arina, da altri rilevata in maniera molto scorret-ta, dava atto, nel suo autentico diario, di come l’ispettore gli avesse consegnato, tra i diversi “effetti censuari”, anche una copia delle “Istruzioni per la misura”7. E in effetti basta

in-cominciare a sfogliare il testo, un paragrafo dopo l’altro, per comprendere lo scopo di queste Istruzioni, cui s’è già fatto cenno: fissare le regole, universalmente valide, nelle campa-gne come nei centri edificati e nelle città, della misurazione e rappresentazione del terreno, prescrivere la strumentazione

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da utilizzare e le modalità del suo uso, ma anche i materiali di cancelleria da impiegare e il modo di misurare e raffigurare gli infiniti accidenti che si potevano incontrare nel corso del lavoro: dal pozzo, al campanile, al cimitero; dalla rupe scosce-sa alla spiaggia, alla strada, fosse esscosce-sa di pubblica, consortile o privata ragione; dalla vigna alla marcita; dal fiume con le sue golene e i suoi argini, al canale di scolo delle acque interno ai poderi. Solo con un complesso normativo così articolato e puntiglioso si sarebbero potute ottenere mappe catastali uni-formi, accostabili e confrontabili tra loro, tasselli di un unico mosaico.

Si ricordava all’inizio come il testo delle “Regole” del 1807 era limitato a 40 articoli e occupava solo otto pagine del Bollettino delle leggi. Il confronto con le 51 pagine dell’articolato del 1810, cui se ne aggiungevano 15 di allegati, è schiacciante, tenuto conto che dimensioni delle pagine, giustezza, caratteri e inter-linea grosso modo si equivalgono. Lo smilzo regolamento del 1807, che tuttavia conteneva, sia pure ridotte all’osso, quasi tutte le prescrizioni successive, servì verosimilmente solo per la campagna censuaria di quel primo anno: nel 1808 alcuni documenti ci testimonierebbero l’esistenza di un testo norma-tivo che sembra corrispondere alle Istruzioni del 18108. Già nel

1808 doveva, dunque, circolare un nuovo regolamento, in una qualche versione (forse addirittura manoscritta, ma più vero-similmente a stampa), che non è stato possibile rinvenire in biblioteche e archivi.

Del resto, che le regole fissate nell’aprile 1807 fossero carenti, almeno in quanto riguardava la materia dei confini tra comu-ne e comucomu-ne – che accanto a inconvenienti tecnici comu-ne conte-neva altri di carattere “politico” o campanilistico, destinati ad accendere centinaia di vertenze – lo dimostra il decreto 9 ottobre di quello stesso 1807, emanato per stabilire “alcune massime dirette a troncare le quistioni che nella formazione e

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ricognizione della mappa topografica dei comuni insorgono tra i comuni confinanti”9.

Dunque le Istruzioni del 1810 erano appena uscite dai torchi con la data del 31 marzo, che si dovette subito cominciare a predisporne una nuova versione riveduta, corretta e accre-sciuta, recependo evidentemente le segnalazioni d’incomple-tezza, i dubbi e i quesiti che provenivano dagli operatori in campagna, cui s’aggiungevano le osservazioni che matura-vano negli uffici dell’amministrazione censuaria provinciali e centrali, mano a mano che vi affluivano mappe e sommarioni terminati e revisionati. Ne scaturì, allora, l’edizione con data 1 aprile 1811, con il numero di pagine accresciuto d’una venti-na, mentre i paragrafi passavano da 140 a 197, per incrementi dovuti in parte alla più razionale suddivisione di alcuni arti-coli troppo lunghi, in parte ad aggiunte vere e proprie. Appa-iono migliorate anche le tabelle finali, ora in numero superio-re e superio-recanti la denominazione di module. Le integrazioni e le rifiniture più significative riguardavano il modo di disegnare le strade private (§ 33 del 1810, corrispondente ai §§ 47-51 del 1811), lo scabroso problema dei confini comunali (i §§ 29-31 aggiunti ex novo nel 1811 e, più oltre, la trattazione dei §§ 95-97 nel 1810 che si dilata nei §§ 144-152 nel 1811) e, soprattut-to, una sistemazione complessiva, più razionale e più ampia, delle norme riguardanti la descrizione dei terreni e delle case (operazione che in epoca austriaca sarà nota col termine di “qualificazione”) con il § 53, esteso su sette pagine delle

Istru-zioni del 1810, che viene riorganizzato nei §§ 77-90 e portato a

quasi nove pagine l’anno seguente.

Infine nel 1819 dalla tipografia milanese di Giacomo Pirola uscì una nuova edizione delle Istruzioni (che ricalca, salvo qualche refuso, quella del 1811), pubblicata senza l’egida di alcuna au-torità pubblica, e da ritenersi, pertanto, iniziativa di carattere privato. Infruttuose tutte le ricerche d’archivio svolte per rico-struire la genesi di questa tarda ristampa, resta impossibile sta-bilire se l’operazione fosse stata commissionata al Pirola, o da

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lui stesso ideata: negli anni intorno al 1819 l’azienda rivolgeva i propri interessi editoriali precipuamente ai libretti d’opera (era titolare dell’esclusiva del Teatro alla Scala, vicinissimo alla sua sede), ma nel 1818 era diventata la stamperia ufficiale del Municipio di Milano, come lo era di rilevanti uffici statali (De-legazione provinciale, Direzione delle Poste)10. Quest’edizione

del 1819 sembrerebbe probabilmente da porre in relazione con la pubblicazione delle mappe e dei sommarioni ordinata dal Governo austriaco per le province venete l’8 agosto 181711 e

verosimilmente negli stessi mesi da quello lombardo, per le province di Bergamo e Brescia: i proprietari fondiari, chiamati a verificare l’esattezza delle operazioni di misura compiute sui loro beni ed a presentare le eventuali osservazioni e reclami, avevano avvertito evidentemente la necessità di conoscere le regole adottate dall’amministrazione napoleonica. Al soddi-sfacimento di quest’esigenza sembra ragionevole ricondurre appunto l’edizione delle Istruzioni approntata dal Pirola. Il lettore familiarizzerà sin dalle prime pagine delle Istruzioni

con gli strumenti e i materiali impiegati nel rilievo: la tavo-letta pretoriana, anzitutto, e la bussola; poi, per la misura, ca-tene e canne ufficiali, “somministrate” dall’Amministrazione, assieme a due regoli metallici con la scala di riduzione. La carta da disegno pure, come quella per i sommarioni, veni-va distribuita dall’ufficio, mentre inchiostri e colori, e così la strumentazione minuta (compasso, matita, tiralinee, “spille”) apparteneva al geometra.

Regole di carattere tecnico sul modo di condurre le operazioni di rilievo e disegno, commesse ai geometri, convivono nelle

Istruzioni e si intrecciano, come si vede, con disposizioni di na-tura amministrativa, riferite prevalentemente alla redazione del sommarione, che comportava l’accertamento del

posses-10. A. Visconti, Una stamperia milanese, Milano, Pirola, 1928. Sono grato al dott. Giovanni Liva, dell’Archivio di Stato di Milano, per l’amichevole e generoso aiuto. Un grazie anche al dott. Mario Signori, del medesimo Istituto.

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sore dei fondi (operazione talvolta non semplice in presenza di diritti reali sui beni censiti, come livelli, enfiteusi ecc.) e la definizione dell’esatta denominazione della ditta intestataria, secondo precisi criteri, esemplificati nelle 7 sezioni della “Mo-dula A.” allegata al testo (e pure questa largamente riveduta e aumentata nel passaggio dal 1810 al 1811).

Attendeva al lavoro una vera e propria e propria squadra, gui-data dal geometra, il quale rispondeva all’ingegnere ispettore dipartimentale. Questi aveva facoltà di comparire improvvi-samente in sopralluogo – grave mancanza per il geometra, che comportava la perdita dello stipendio giornaliero, non lasciar detto ogni mattina al proprio alloggio in quale punto del territorio si sarebbe condotto a misurare (§ 141) – e, soprat-tutto, praticava la revisione finale di mappa e sommarione. Riscontrandone la perfetta esattezza li avrebbe approvati; al contrario – eventualità rara, ma accaduta – ne avrebbe nega-to il collaudo, ordinando in taluni casi gravose correzioni, in altri addirittura il rifacimento, parziale o integrale, dell’opera. Ogni geometra era, dunque, coadiuvato da un aiutante che, salvo eccezione, gli era assegnato d’ufficio dalla Direzione generale del censo. Ciascuna amministrazione comunale, poi, deteneva il diritto, e l’onere, di partecipare a tutte le operazio-ni catastali con due persone di propria fiducia, e che doveva remunerare: l’una in veste di assistente alla misura, e quindi con funzioni preminenti di controllo, l’altra di indicatore, con il compito principale di segnalare al geometra i confini del ter-ritorio e quelli dei singoli poderi, nonché le generalità dei pos-sessori. Completava il gruppo un certo numero d’inservienti, segnalati dai comuni, ma retribuiti dal geometra sul proprio fondo spese, al pari dell’aiutante.

La serie archivistica dei Processi verbali di revisione delle mappe e dei sommarioni, pressoché integralmente conservata e che abbiamo tenuto a continuo riferimento12, ci consente di

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ri-correre le vicende delle misurazioni catastali e ci apre squarci di quotidianità sul mondo variegato dei geometri napoleonici e degli ingegneri ispettori, sulle fatiche che consumarono nel-le campagne venete, sui milnel-le probnel-lemi, ostacoli e inconve-nienti che si trovarono ad affrontare.

La poderosa macchina azionata dai decreti del 1807 incomin-ciò sin dallo stesso anno a produrre i primi, sia pure timidi, risultati. Il “geometra ingegnere” Pietro Toscani iniziò il 17 agosto il rilievo della città di Venezia, che avrebbe proseguito nei due anni seguenti, dividendosi i sestieri da misurare con altri due colleghi nel 1808 e terminando il lavoro in compa-gnia di uno nel 180913. Avviare le operazioni del nuovo catasto

proprio dalla città lagunare, capitale della secolare Repubbli-ca aristocratiRepubbli-ca, sia pure ormai ridotta a semplice Repubbli-capoluogo di provincia, sarà stato certamente uno di quei colpi ad effetto che l’amministrazione francese aveva già mostrato altre volte all’opinione pubblica italiana di saper portare a segno. Ancora nel medesimo anno 1807 si ha notizia dell’inizio delle misurazioni in alcuni estesi comuni dell’entroterra veneziano: Cavarzere “sinistro” (ossia la porzione comunale a sinistra dell’Adige), Cava Zuccherina (oggi Jesolo), Grisolera (Era-clea), Torre di Mosto, e poi, ancora, San Michele del Quarto

chiami specifici, in questo contributo si fa riferimento in particolare alla documentazione in b. 2 (provincia di Venezia, distretti di Chioggia, Lo-reo, Ariano, San Donà e Portogruaro), b. 4 (provincia di Padova, distretti di Noale e Camposampiero), b. 6 (provincia di Padova, distretti di Este, Monselice, Conselve e Piove), b. 7 (intera provincia di Rovigo), b. 9 (pro-vincia di Verona, distretti di Legnago, Cologna, Zevio e San Bonifacio), b. 13 (provincia di Vicenza, distretti di Malo, Valdagno, Arzignano, Lonigo e Barbarano), b. 16 (provincia di Treviso, distretti di Ceneda, Valdobbiadene e Montebelluna), b. 19 (provincia di Belluno, distretti di San Vito di Cado-re, Auronzo e Agordo), b. 20 (provincia di Belluno, distretti di Fonzaso, Feltre e Mel), b. 22 (provincia di Udine, distretti di Maniago, Aviano, Sacile, Pordenone e San Vito al Tagliamento) e b. 25 (provincia di Udine, distretti di Ampezzo, Tolmezzo, Gemona e Tricesimo).

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(Quarto d’Altino), Portegrandi, Caorle e Ca’ Cottoni, e così in qualche comune dei distretti friulani di Aviano e Sacile. Ma è a partire dal 1808, e poi sempre più capillarmente negli anni successivi, che la presenza dei geometri censuari si fa costante tra i campi del Veneto e del Friuli. I numeri forniti dai decreti annuali sulle “operazioni del catasto” suggeriscono la sensa-zione di un vero e proprio dispiegamento di forze sul territo-rio: 121 geometri nel 1808 e 150 nel 1809, operanti in quattro province, per salire poi ai 181 e 184 arruolati nei due anni suc-cessivi e inviati in cinque province contemporaneamente14.

Primi a essere censiti i comuni del Veneziano, del Friuli e del-le province di Treviso e poi di Padova; dal 1810 s’aggiunge-vano quelle di Belluno e Vicenza, oltre a parte del Polesine; infine seguì Verona. L’impressione che si avverte sfogliando i documenti è che l’attività procedesse ‘a macchia di leopardo’ e senza sistematicità: alcuni distretti vennero integralmente, o quasi, misurati nel corso di uno stesso anno, ad esempio Portogruaro e Noale (1810), Feltre (1811), Cologna (1812), Le-gnago (1813) e Arzignano (1815), ma nella maggior parte dei circondari le operazioni si protraevano per due o più ‘campa-gne’ censuarie, e non è raro il caso di comuni confinanti che furono rilevati anche a qualche anno di distanza.

In ogni censuario i lavori si svolgevano nella stagione meteo-rologicamente più propizia: si iniziava a primavera avanzata, generalmente in maggio, raramente in aprile – e non a caso le “Regole” datano al 13 aprile 1807, così come le Istruzioni al 31 marzo 1810 e all’1 aprile 1811 – e si proseguiva fino all’autun-no iall’autun-noltrato, ottobre e all’autun-novembre. Ma poteva capitare d’imbat-tersi in periti al lavoro ancora in dicembre, sia pure spinti solo dall’urgenza di terminare la correzione e la revisione finale delle mappe.

Il tempo necessario per rilevare un comune censuario poteva variare sensibilmente da un caso all’altro e dipendeva,

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ralmente, non solo dall’ampiezza del territorio, ma anche dal-la sua conformazione: generalmente eran sufficienti i mesi di una sola campagna censuaria, talvolta molto meno, ma, come abbiamo visto sopra, la mappa della città di Venezia pretese ben tre anni, ed altrettanto avvenne, ad esempio, per i vasti e complicati territori di Cava Zuccherina, Grisolera e Cavarzere “destro”, mentre due anni occorsero per condurre a termine le mappe di Cavanella d’Adige, San Michele del Quarto, Porte-grandi, Caorle, Ca’ Cottoni, Annone, San Giorgio di Livenza, Fossalta di Piave, Meolo e Musile. Al contrario bastarono 19 giorni per rilevare il censuario di Nichesola e 35 per quello di Spinimbecco, entrambi nella bassa veronese15.

La revisione della mappa e del sommarione rappresentava l’atto conclusivo delle operazioni di misura. Attività com-plessa, della durata anche di più giorni (sette, ad esempio, se ne impiegarono per Loreo, e altrettanti per Contarina). Il momento culminante della procedura, dopo un esame attento dei caratteri estrinseci degli elaborati (legenda, scala, orienta-mento, indicazione dei toponimi, colorazione) consisteva nel tracciare “una linea attraversante tutta la mappa” in inchio-stro rosso e nel rilevare e disegnare poi, andando sul terreno, un “tipo revisorio”, riportandovi

tutti gli accidenti principali cadenti sulla suddetta linea attraver-sante, confrontando di mano in mano le operazioni di revisione con quelle del Geometra autore, e facendo […] le opportune veri-ficazioni e correzioni di misura, ed ancora di configurazione e de-scrizione censuaria per i pezzi cadenti sulla linea ed in vicinanza.

Allo stesso modo venivano puntualmente raffrontate “le tra-sversali” e le “divisioni intermedie” di altri “pezzi, ossiano perimetri” scelti casualmente tra quelli “fuori del suddetto andamento revisorio”16.

15. ASV, Processi, bb. 2 e 9, passim.

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Moltissime mappe superarono, naturalmente, la pur severa revisione: talune agevolmente, altre magari, come s’accenna-va, a prezzo di correzioni impegnative e parziali rifacimenti. Ma la nostra attenzione viene inevitabilmente attratta per pri-ma dai pochi casi di bocciatura, più o meno irrimediabile essa fosse. Così avvenne, ad esempio, per la mappa del 1808 di San Vito di Valdobbiadene con Funer, che dopo un duplice esame superiore venne rifatta nel 1810 dai geometri Antonio Toffoli e Pasquale Piccini, a spese del primo, inetto autore, Paolo Sca-lari17. Il caso non rimase affatto isolato: nelle lagune intorno a

Chioggia, Gabriele Lodigiani aveva cominciato a rilevare nel 1808 il censuario di Cabianca (Ca’ Bianca), ma ben presto ven-ne sollevato dall’incarico “per la sua insufficienza” e il nuovo geometra, Antonio Fiorentini, “non si è potuto servire” del poco lavoro eseguito, consistente nel rilievo di Valle Zenna-re, “che nell’andamento dell’argine tortuoso che la confina a mezzo giorno”18.

Incontrò maggiore fortuna – se tale possa essere considera-ta – il geometra Giuseppe Migliazza, autore nel 1810 della mappa di Arina, riscontrata gravemente imprecisa e alla cui correzione, dopo un infruttuoso tentativo consumato nel me-desimo anno dal geometra Luigi Picchioni, venne chiamato nel 1811 addirittura da Milano, come s’è visto sopra, l’in-gegner Carlo Fossatti, il cui diario ufficiale è conservato fra gli atti della revisione. A fine lavoro vennero addebitate al Migliazza 19 giornate di lavoro del Fossatti, mentre “non si è creduto di caricare” anche i sette giorni di viaggio da Mila-no a Feltre e quello delle operazioni preliminari con l’ispet-tore, dal momento che Fossatti era stato trattenuto in zona, passando a rilevare la mappa della non lontana Soranzen.

17. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di San Vito di Valdobbiadene con Funer, con allegati, 24 settembre 1810, revisore l’inge-gner Pietro Locatelli, ibidem, b. 16, provincia di Treviso, distretto di Valdob-biadene.

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Incarico faticoso, questo del milanese, sin dal principio: la strada da Feltre ad Arina, “per la maggior parte montuosa”, fu costretto a “camminarla a piedi, e far trasportar tutti gli effetti censuari a spalla d’uomini”; e lavoro disagiato, quello addossatogli, come non mancò di annotare: “La località tutta montuosa e difficile da praticarsi ralenta alquanto l’operazio-ne”. Venutone a capo, relazionò anche sulle molteplici cause delle gravi inesattezze riscontrate: “Apparivano le differenze la maggior parte provenienti dalla diversa direzione di due zone constituenti detta mappa, le restanti per realtà di misu-ra”. Anche della fallita revisione di Picchioni aveva scoperto la ragione: “Il revisore nel riprendere la misura in campagna, l’aiutante per isbaglio vi ha messa la palina sopra un falso picchetto propinquo al vero della revisione, e ne dipende da ciò la differenza”19.

In molti altri casi errori di minor rilevanza, rilevati dagli ispettori, potevano venir corretti dagli stessi autori. Mappa “eseguita mediocremente” giudicò nel 1808 l’ingegner Ga-etano Bellati quella di Rottanova con Pettorazza Papafava “sinistra”, sottolineando “in generale una cattivissima scrit-tura ne’ numeri progressivi, li quali verranno alla meglio corretti e rischiariti, e segnatamente nel paese, ove attesa la negligenza con cui vennero scritti, reccano un poco di con-fusione”. Peggio: ad alcune particelle era stato attribuito, con modalità del tutto irregolare, “più di un numero, perché cadente sopra più fogli, così li numeri superflui si sono can-cellati sulla mappa; e sul sommarione si sono marcati colla parola soppressi”20.

Mediocre anche la mappa di Cava Zuccherina a destra di Pia-ve Pia-vecchia, sempre nella valutazione del Bellati nel medesi-mo anno, che lamentava inoltre “una costante trascuratezza

19. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Arina, con allegato il diario del geometra, cit.

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nella politezza dei fogli, e questa dipendente dal geometra medesimo”21. Imprecisioni nella misura aveva poi

riscontra-to, ancora nel 1808, nel rivedere quella di San Michele del Quarto con Portegrandi, alcune “rilevantissime e tali da far dubitare che alcuni perimetri siano stati chiusi malamente”; inoltre non gli era “stato possibile di far combaciare perfet-tamente sulla mappa la linea transversale AB”, pur “asse-condando la mappa, la quale sembra aver preso una piccola inclinazione in causa del bussolo dalla parte di ponente”: pretese perciò molte correzioni, che poté verificare solo dopo diversi mesi22.

Molti difetti rilevò nel 1811 l’ingegnere revisore Giambattista Bonfiglio nel sommarione di Loreo, infarcito di “termini tratti dall’idioma del paese”, in luogo del lessico appropriato im-posto dalle Istruzioni, e con “alcune intestazioni erronee”23. E

ancora il sommarione dovette essere trascritto integralmen-te nel 1809 a Borgoforintegralmen-te, nel Conselvano, in quanto “scritto scorretto e di carattere non abbastanza chiaro”24 e lo stesso fu

prescritto dal revisore, l’ingegner Zerbi, per quello di Noale: “Stante le molteplici correzioni occorse per diffetto d’indica-zione, il sommarione da tavolo è reso deforme a segno che devo ordinare all’aiutante del geometra assistito dall’assisten-te comunale l’indall’assisten-tero rifacimento”.

Sempre a Noale la mappa, disegnata nel 1810 da Bernardo Salomoni – che l’anno seguente avrebbe rilevato quella del-la città di Treviso, del-la cui base cartografica sarebbe servita in

21. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Cava Zuc-cherina a destra di Piave vecchia, autore della mappa il geometra Luigi Conti, 17 novembre 1809, ibidem, distretto di San Donà.

22. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di San Mi-chele del Quarto con Portegrandi, autore della mappa il geometra Antonio Giacomelli, 9 dicembre 1808, ibidem.

23. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Loreo, au-tore della porzione di mappa il geometra Gaspare De Rii, 14 novembre 1811, ibidem, distretto di Loreo.

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seguito per due fortunate incisioni a stampa pubblicate nel 1824 e nel 182625 – presentava parecchi difetti, originati dai

“cilindri incurvati” della tavoletta pretoriana, e alcune, rime-diabili, omissioni: non era tracciato in inchiostro il confine con il censuario di Briana (probabilmente Salomoni attendeva di confrontarlo con il collega), risultava “mancante delle linee punteggiate dei comunelli costituenti insieme il territorio di Noale […], della squadratura del complesso […], del cartelli-no della decartelli-nominazione della mappa, quello delle sottoscri-zioni, quello della scala e quello della direzione dei venti”26.

Situazioni analoghe si ripetevano in svariati altri luoghi: a Ta-glio di Po, ad esempio, la seconda “sezione” di mappa “trova-si mancante di tutte le denominazioni di strade e scoli, nonché il colorito del fiume Po. E rispetto alla III si è trovata tutta in matita, e senza numeri, essendovi però scritto il possessore e qualità nella prima porzione, e la seconda trovasi ancora da compilare, la quale non mi è stata consegnata”. Così verbaliz-zava il revisore, Eutimio Ripamonti il 22 dicembre 1816; ed il lavoro richiese ancora due mesi, venendo ultimato il 24 feb-braio 181727.

La ricerca di uniformazione, che rappresentava la cifra delle

Istruzioni, poteva produrre anche effetti paradossali a causa della diversa provenienza regionale degli operatori censua-ri: lo zelo dell’ingegner Zerbi, lo stesso con cui aveva dovuto fare i conti Salomoni, si spinse ad ordinare alcune rettifiche al sommarione di Silvelle, pretendendo addirittura d’italianiz-zare cognomi e nomi veneti. “Non si scrive Tron, ma Troni”, prescrisse; Gargani, e non Gargan; Trevisani, e non Trevisan; ed inoltre, perentoriamente, “non si scrive Alvise, ma Luigi”;

25. Atlante Trevigiano. Cartografie e iconografie di città e territorio dal XV al XX secolo, a cura di M. Rossi, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche - Antiga edizioni, 2011, pp. 36-39.

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non “Pasqualin, ma Pasquale o Pasqualino”; e poi non “abbi-tazione, ma abitazione”28.

Le peculiarità locali, tuttavia, si rivelarono almeno in un caso insuperabili: nel 1808 la mappa di Pellestrina, sul litorale ve-neziano, venne approvata dall’ingegner Bellati, benché pri-va di alcune linee di confinazione tra proprietà pripri-vate, con quest’avvertimento:

N.B. Non è possibile marcare tutte le divisioni che s’incontrano, atteso che elleno non sono marcate sul terreno, e per rinvenirle occorre la presenza di tutti li proprietari, li quali si regolano colle misure loro particolari, o con dei segni di direzione che prendo-no dal prolungamento di certi lati de’ caseggiati che si trovaprendo-no sparsi per questo littorale29.

E nel 1810 si ritenne di poter omettere addirittura la revisione d’intere porzioni di mappa del censuario di San Nicolò, Tolle e Donzelle per causa di forza maggiore, come verbalizzò il revisore, geometra Giulio Lodi:

La somma piena del Po, che ha cagionato una quasi generale innondazione in questa isola, e specialmente presso il mare, non ha permesso di rivedere gli altri due pezzi di mappa, consistenti però in vaste valli di canna, brughiera ed altra sorta di terreno di poca entità e di quattro possessori30.

Le Istruzioni dedicano, come accennato, uno spazio di rilie-vo alla tracciatura, in ogni mappa, delle linee di confine tra

28. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Silvelle, autore della mappa il geometra Gio Batta Mercanti, 29 settembre 1810, ibi-dem, b. 4, provincia di Padova, distretto di Noale.

29. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Pelle-strina, revisore l’ingegner Gaetano Bellati, autori della mappa i geometri Venanzio Mugiasca e Luigi Torti, 8 agosto 1808, ibidem, b. 2, provincia di Venezia, distretto di Chioggia.

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comuni limitrofi (§§ 142-152). Sul piano tecnico si trattava di far collimare esattamente due mappe rilevate quasi sempre da due diversi geometri e in momenti cronologicamente distan-ti. Per questo era prescritta ogni volta la presenza sul luogo degli assistenti o indicatori di entrambi i comuni e la realiz-zazione, da parte dei singoli geometri, di appositi “tipi della linea conterminale”, da recapitare agli ispettori, per facilitare la futura revisione, ma anche perché li consegnassero agli altri geometri interessati, “all’oggetto di fare con essi gli opportuni riscontri”.

Ma, oltre al problema tecnico, poteva essere sollevata spesso una vertenza confinaria tra comuni, che avanzavano prete-se sugli stessi lembi di territorio, eventualità ancor più facile a verificarsi tra enti che per la prima volta vedevano dise-gnare in piante dettagliate gli ambiti geografici della propria competenza. In questi casi le Istruzioni affidavano un primo tentativo di conciliazione della vertenza agli stessi geometri, mentre il decreto 9 ottobre 1807, di cui s’è detto sopra, aveva previsto anche l’intervento conciliatore dell’ingegnere dipar-timentale, il quale avrebbe rimesso il giudizio al prefetto in caso d’insuccesso.

In una specifica serie archivistica di Questioni relative ai confini

territoriali si conserva la documentazione delle oltre 1200

ver-tenze (quasi la metà nella sola provincia del Friuli) occorse e risolte31. Mentre sul dettaglio degli aspetti tecnici ci

soccorro-no, ancora una volta, i verbali delle revisioni. La mappa di Rio San Martino (allora in provincia di Padova) sembra in questo senso una delle più difettose: nel 1810 per ammetterla alla ve-rifica l’ingegner Giuseppe Sovico ordinò al geometra Giovan-ni MarsoGiovan-ni di “riffare con misura il confine di Cappella per la vistosa differenza” accertata e, ancora, di correggere le linee confinarie con Scandolara e Scorzè, mentre prendeva atto del previsto incontro con il geometra di Sant’Alberto, essendosi ravvisata anche lì l’esigenza di eseguire congiuntamente “una

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misura lungo il confine”32.

A Castelvecchio di Valdagno nel 1816 fu lo stesso revisore, il geometra Antonio Toffoli – nel quale già ci siamo imbattuti quand’ebbe l’incarico di rifare la mappa di San Vito di Val-dobbiadene – a intervenire e modificare di proprio pugno il rilievo di Maurizio Azzolini, spiegando che “il confine territo-riale di Righello, sezione di Altissimo, non combina in niuna parte, e ciò per esser stato rilevato sopra punti ed andamenti eronei cagionati da mala indicazione, fu ribatuto dal revisore e ratificato dal medesimo sopra la mappa”33. Viceversa, nel

Feltrino, l’ispettore Francesco Peluti spedì il 14 novembre 1810 “di buon mattino” il geometra Giovanni Menegazzi in cima al monte Avena, con il compito di “ribatere e verificare” la linea di confine tra Faller e Fonzaso. Il diario ufficiale di Menegazzi dà conto dell’operazione: l’incaricato proseguì il lavoro l’indomani ancora all’aperto (“non abbandonando mai la più scrupolosa precisione, cercai d’accelerare per quanto mi fu possibile, benché il vento e la neve da qualche giorno cadu-ta m’apporcadu-tassero non piccolo impaccio”), e il 16 novembre al tavolo, “nel segnar gl’andamenti ieri rilevati, nel tirare in nero, colorire, unire i fogli e far tutte l’operazioni necessarie al completamento di detta linea”. Rientrato a Feltre e sotto-posto il 17 il proprio “tipo” a Bellati, osservarono assieme che la mappa di Fonzaso presentava solo “diferenze negligibili”, mentre in quella di Faller riscontrarono “qualche notabile dif-ferenza”, che richiese quella e altre due giornate di lavoro per essere emendata34.

32. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Rio San Martino, 5 ottobre 1810, ASV, Processi, b. 4, provincia di Padova, distretto di Noale.

33. Processo verbale di revisione della mappa del censuario di Tomba di Castelvecchio di Valdagno, 16 gennaio 1816, ibidem, b. 13, provincia di Vicenza, distretto di Valdagno.

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