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13.4 Sisa Tabet Lopez I GRILLI

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Academic year: 2018

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I GRILLI

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Questa è una pagina d'amore piuttosto inconsueta: scritta all'età di ottantacinque anni, nel 1970. Racconta in prima persona come una ragazza agli inizi del secolo incontrò, si innamorò, trepidò e alla fine si fidanzò con un uomo che si chiamava Sabatino Lopez - il commediografo. C'erano diciassette anni di differenza fra i due, e al primo incontro lei era una bimba dai grandi occhi... Pubblichiamo il ricordo autobiografico così come ce lo ha fatto pervenire Guido Lopez, conseguenza (molti anni dopo) di questa vicenda.

Mio fratello Guido si era sposato, e io spesso andavo a Genova, ospite nella sua bella casa, ampia e signorile, di via Interiano. Mi piaceva stare con Guido, Luisa, i loro amici, nell' ambiente caldo, simpatico, giovane della nuova famiglia. Era un piacevole diversivo alla vita che conducevo a casa mia, costretta ad una disciplina familiare rigida che mi toglieva troppo la libertà di pensare e di agire a modo mio anche ora che già da un pezzo avevo l' età di potermi guidare da sola. Mio fratello aveva scelto per moglie una cara e simpatica donna, di straordinaria intelligenza e bontà; avevano due bambini che amavo molto, e la vista della felicità di quel matrimonio dava un volto alla vaga inquietudine, a quel sentimento di vuoto che a tratti mi turbava.

Vedevo gente nuova e tutto mi sembrava più allegro, più giovane e leggero. Spesso con loro andavo a1 teatro, né loro si preoccupavano tanto di giudicare se le commedie che ascoltavo (o i libri che leggevo) fossero del tutto 'per signorine'. E mi permettevano di uscire da sola, e di andare dove mi pareva.

Un giorno — era, mi pare, primavera avanzata — una di quelle giornate in cui tutto sembra bello perché i giardini sono fioriti, perché l' aria è piena di profumi, perchè ero giovane e piena di vitalità, fummo invitati a un garden-party nel bel giardino di un albergo in via Serra. Passeggiavo nei viali con un' amica della mia famiglia quando un signore si avvicinò a noi per salutare la mia compagna. Ma, prima ancora che essa me lo presentasse, egli mi riconobbe, e io lui. Mi guardò un po' stupito, perché certo mi trovava cambiata da quando mi aveva conosciuta la prima volta.

La mia età di allora? dodici, tredici anni, forse anche di meno. I miei cugini ed io, quella sera, non avevamo pranzato con i 'grandi', ma nella stanza da gioco dei ragazzi, con l' istitutrice. C' erano degli invitati di riguardo e — specie i cugini più piccoli — avrebbero disturbato. Dopo cena, però, fummo chiamati in sa1otto per salutare gli ospiti prima di andare a letto. E tra gli invitati c' era anche lui. Io ero la maggiore; entrammo in fila uno dopo l' altro; io avevo un vestito azzurro che mi piaceva molto, ed entrai per la prima. Lo salutai con bel garbo e lo guardai, lui mi sorrise e, mentre proseguivo nel mio giro di saluti, udii che mormorava a mia zia: << Ma che occhi magnifici ha quella bimba! >>. Altri prima di lui aveva osservato che avevo dei begli occhi, perché io, pur essendo un tipo un po' scolorito, pare che avessi degli occhi singolari. Abituata a sentirmi rivolgere quel complimento, non ci facevo più caso. Come mai, dunque, quella volta ne fui particolarmente lieta, e il ricordo di chi me lo faceva non svanì dalla mia mente?

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Ci ripensai qualche anno dopo quando egli, di passaggio a Pisa, invitato da mio padre, venne a colazione da noi. << Oh! la bimba dai grandi occhi >>, disse vedendomi entrare. << Ma come è diventata grande! >>.

Forse fu da quel giorno che mi innamorai di lui. Ma non me ne avvidi. Figurarsi! dovevo avere allora circa sedici anni, e a casa mi trattavano quasi come una bambina; lui, invece, ne doveva avere trentadue o trentatre. I1 doppio della mia età. Era una persona importante già affermata nel1a sua arte, e certo non potevo immaginare che il sentimento che provavo per lui fosse qualche cosa di più, o di diverso, da una semplice simpatia, e dell' orgoglio di sentirmi trattata da lui con tanta cordialità ed interesse.

Sedici anni! Per 1e fanciulle di allora, vissute in un clima di austerità e di ignoranza della realtà — forse eccessiva, come ora forse è eccessiva la troppa sfrontatezza e libertà di modi che tog1ie alla donna un po' del suo profumo — il traguardo dei sedici anni segnava una svolta importante verso il futuro. E perfino i segni esteriori: i capelli rialzati sulla nuca, le gonne discese fino a terra a coprire le gambe, sicché appena lasciavano occhieggiare la punta delle scarpette, sembravano voler significare che non eravamo più delle bambine, ma delle 'signorine'.

Sedici anni! Età sognata, agognata già da molto tempo, finestra aperta sull' avvenire, piena di promesse, piena di speranze.

Speranza di che cosa? Chi mai sognava, allora, tra le ragazze della borghesia ebraica o dell' alta società, specie in provincia, di poter frequentare l' Università o qualche tipo di scuola superiore per poi esercitare una professione alla pari di un uomo? A Pisa c' era una sola signorina che frequentava l' Università, ma era un' inglese. Sì, nelle grandi città, a Milano, a Roma, e specialmente all' estero, si sentiva dire che c' erano delle donne scienziate, dottoresse in medicina, direttrici di grandi aziende. Si sentiva dire che, all' estero, le ragazze uscivano fuori liberamente, perfino di sera, con i compagni di scuola e con gli amici dell' altro sesso senza essere accompagnate dalla mamma o da qualche altra persona adulta.

Da noi, invece, le donne, al massimo, potevano aspirare a prendere la patente di maestra elementare, e se la famiglia era di disagiata condizione economica, andavano ad insegnare in una scuola pubblica, in un collegio o trovavano da occuparsi come istitutrici in qualche casa privata. Oppure se conoscevano bene una lingua straniera, o se erano brave pianiste, trovavano da dare lezioni private. E se ricamavano bene, potevano facilmente vendere i loro lavori. Ma la maggior parte delle 'signorine di buona famiglia' non vedevano aprirsi al loro avvenire, e alla loro libertà, altra strada all' infuori di quella di un matrimonio.

Così, ciò che le ragazze — la maggior parte delle ragazze di allora — sognavano e speravano, era 1a grande avventura che avrebbe loro fatto incontrare un Principe Azzurro.

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mi facessero la 'corte'. Li avrei voluti come camerati, e soprattutto mi sarebbe piaciuto di avere una professione, studiare ed essere libera come un uomo. E purtroppo sapevo che ciò era impossibile.

Ascoltavo 1e confidenze delle mie amiche, ma non dividevo 1a loro mentalità. Esse avevano sempre da raccontarsi i loro romanzetti più o meno frutto della loro fantasia. C' erano le ragazze romantiche che leggendo le stucchevoli, oleografiche vicende dei romanzi 'color di rosa' e con la testa piena di quella stupida 'letteratura per signorine', sognavano strane avventure: colpo di fulmine, l' incontro patetico al capezzale della mamma malata... E ogni ragazzo incontrato per strada che si fosse voltato vedendole passare, poteva essere quello. Altre, invece, più mature, e con maggiore senso pratico, si guardavano intorno seriamente senza pretendere la grande passione, e, magari, se non erano ricche né particolarmente belle, si sarebbero accontentate di un matrimonio combinato dai genitori.

E poi c' erano le civette: quelle che, più ancora di trovare un marito, ambivano di essere corteggiate. Nonostante la sorveglianza rigidissima delle mamme che non le lasciavano mai uscir sole, esse trovavano il mezzo, con un sorriso, con un rapido sguardo consapevole, con una paroletta mormorata in un ritrovo in casa di amici, di accalappiarsi gli adoratori, per menar vanto con 1e amiche delle loro conquiste.

Questo gioco di vanità mi ripugnava, e per tema di lusingare qualcuno che mostrava della simpatia per me, non avendo nessun desiderio di sposarmi, diventavo scontrosa e fredda, sicché mi ero fatta la fama di essere superba e un po' oca.

Ma certo, quella mattina a colazione in casa nostra a Pisa, non mi passò per la mente che quel simpatico signore che guand' ero bimba si era pronunciato con un complimento sui miei occhi, potesse provare per me un sentimento diverso, o maggiore, di una semplice simpatia. E dalla sua simpatia mi lasciai trasportare: la sua affabilità, la sua gentilezza, le cose interessanti che raccontava mi affascinavano. Con nessun' altra persona estranea mi sentivo a mio agio come con lui, e anche lui sembrava che si divertisse a parlare con me, a ridere con me. Era come se lo avessi conosciuto da tanto tempo. Da sempre.

Ricordo che, quando andò via, appena si fu congedato, corsi in giardino e mi arrampicai sul tronco di un albero che sporgeva dal muro verso la strada e, come facevo da bambina quando volevo seguire con lo sguardo la mamma che esciva senza di me, stetti a guardarlo finché non disparve allo svolto della via. Quando non lo vidi più, una strana idea mi traversò la mente: << Chissà se avrà un' innamorata? >>. E in quel momento desiderai di essere una ragazza grande e non un' insulsa signorinella di sedici anni, tanto più giovane di lui.

Ed ora egli di nuovo, qui a Genova, era apparso davanti a me, e, nel vederlo, con una strana immediatezza il ricordo ormai sbiadito di quei due primi incontri con lui mi si riaffacciò alla mente come un avvenimento del giorno prima. Forse perché lui, all' infuori di una Ieggera pennellata grigia sulle tempie, che sembrava esser messa lì per civetteria, non appariva affatto cambiato da allora.

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ventiquattro anni e lui era un uomo di quarantun anni, nella pienezza della sua vita di uomo e di artista. Correvano circa diciassette anni di differenza fra lui e me: parecchi, ma non poi così tanti, adesso: era come se il tempo avesse accorciato le distanze e fosse trascorso più veloce per me che per lui. Non ero più la ragazzetta dai begli occhi con la quale un adulto si compiaceva di scherzare; adesso si rivolgeva a me come ci si rivolge a una donna. E a una donna che piace. Quel giorno l' incontro fu breve, ma era destino che ci dovessimo ritrovare di nuovo presto assieme.

Fu poche sere dopo, al teatro. Durante il primo intervallo, lo scorsi dall' altra parte della platea: in piedi tra le poltrone, discorreva con un signore. Anch' egli ci vide, e venne a salutarci nel nostro palco. Al momento dei cerimoniali, mio fratello gli disse: << Perché non vieni domenica a pranzo da noi? >>.

Durante i due o tre giorni che precedettero quella domenica, l' idea che l' avrei rivisto, e che per una serata intera saremmo stati insieme, mi riempiva l' anima di gioia. Che cosa stava succedendo in me? Ma davvero stavo prendendomi una cotta per una persona che certo non pensava a me, così come se la prendevano certe ragazze che conoscevo e che mi sembravano tanto sciocche? Che strana cosa! del resto poi, poco male. Ancora pochi giorni e sarei ripartita per Pisa, non l' avrei più rivisto e, tornata a casa, non ci avrei pensato più.

Potevo pure lasciarmi andare alle mie fantasticherie. Mi era sempre piaciuto di fantasticare. Quando ero bimba mi piacevano le favole, e mi raccontavo tante favole inventate da me, e la protagonista ero sempre io. Ecco, ora mi stavo raccontando una bella favola per persone grandi. Mi raccontavo che lui si innamorava di me.

E poi? Già, e poi davvero mi sarebbe piaciuto di sposarlo se mi avesse chiesto per moglie? Già. Con lui doveva essere diverso. Anche le faccende di casa non mi sarebbero parse tanto ingrate; anzi, a pensarci bene, mi apparivano perfino piene di poesia.

Sì, ero proprio una grande sciocca.

E così quella famosa domenica arrivò. La mattina, mentre conducevo a passeggio un mio nipotino di tre anni, incontrai lui per la strada. Ma io non lo vidi perché ero chinata a legare una scarpetta del bimbo, e non mi accorsi di lui che passava dall' altra parte del marciapiede di fronte e si era fermato a guardarmi. Quando mi rialzai forse era già andato via, o forse io non guardai dall' altra parte del marciapiede, ma lui, la sera a pranzo, mi disse che mi aveva visto e che si era fermato a guardarmi. Non c' era nulla di strano che mi dicesse questo: strano fu che io volessi attribuire un significato particolare alle sue parole.

Tutto ciò che avvenne e fu detto quella sera mi è rimasto impresso nella memoria come un bel sogno. Perché davvero sembrava di interessarsi molto a me. E anche quando discorreva con le altre persone avevo la sensazione che il suo sguardo mi seguisse.

(5)

giugno: tra un mese, forse due mesi, lo avrei dunque rivisto. Per quanto dicessi a me stessa che non dovevo farmi delle illusioni, non polevo fare a meno di pensare a lui. Gli amici dicevano che il soggiorno in una città di mare mi aveva giovato alla salute, che ero persino imbellita, e effettivamente ero diventata più socievole, più allegra, e quella timidezza che mai avevo potuto vincere, si era ammorbidita in una maggiore espansività che rendeva più caldi i miei rapporti con gli altri.

E venne il mese di luglio e poi l' agosto e lui non comparve a casa nostra. Sì: era stato a trovar suo fratello, ma con noi no, non si era fatto vivo.

E così, tutto quel mio castello in aria crollava. Ma come potevo essermi illusa che si fosse potuto innamorare di una ragazza insignificante come ero io? Lui, che per il suo mestiere di commediografo viveva tra tante donne belle, celebri, di costumi più liberi di una povera provincialetta come ero io.

Non dovevo pensarci più. Era stata una bella favola che mi ero ingenuamente raccontata, simile a quelle che tante altre ragazze di mia conoscenza si raccontavano. Poi anche loro si accorgevano di essersi illuse e, per lo più, invece del Principe Azzurro si accontentavano di sposare un marito qualunque. In quanto a me, mai e poi mai mi sarei sposata senza una vera simpatia per l' uomo con il quale avrei dovuto trascorrere tutta la vita.

D' altro canto, il sogno era stato troppo bello perché ora potessi trovare un' altra persona che mi piacesse come mi era piaciuto lui.

Intanto, quasi un anno era trascorso. Capivo che in casa mia cominciavano a preoccuparsi per il mio avvenire, e a desiderare che mi sposassi. Qualche volta indovinavo la loro manovra per farmi incontrare con un giovane che poteva essere un marito per me.

Da parecchio tempo c' era un giovane che mi stava d' intorno. Persona molto ammodo, fratello di una mia carissima amica, ci conoscevamo sin dall' infanzia, quante mai volte avevamo giocato insieme. Troppe. Mi sarebbe sembrato di sposare un parente prossimo. Insomma, l' idea di averlo per marito non mi andava per nulla, e lo dissi chiaro e tondo a sua sorella: << E' un ottimo ragazzo, gli sono molto affezionata, lo sai. Ma sposarlo, no >>. Non volevo si facesse inutili illusioni. Tutto chiaro. Però, nel nostro gruppo di ragazzi si era sparsa la voce che tra noi fosse nato un flirt, e un flirt a quei tempi voleva dire prossimo fidanzamento, nove volte su dieci.

Questa voce arrivò presto agli orecchi di una mia cugina: bella e più che bella, per il suo fascino sin da giovinetta aveva avuto chi si innamorava a prima vista di lei. Eccellente pianista (io arrivavo appena a strimpellare) di carattere del tutto diverso dal mio; non ostante questo, ci amavamo teneramente. Sposatasi molto giovane con uno dei suoi più affascinanti corteggiatori, dopo un anno di matrimonio era tornata a vivere con i suoi, a turbare altri cuori. Stupita, dunque, che alla mia età non avessi avuto nessuna passioncella, lo fu ancora di più quando, a proposito della presunta simpatia fra me e il mio amico d' infanzia, le risposi che consideravo il mio 'pretendente' nulla più che un amico.

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qualcosa, poi si alzò, si sedette al pianoforte e attaccò un indiavolato preludio di Chopin. Io intanto fantasticavo. Pensavo che era passato un anno da quando avevo incontrato colui che mi sarebbe piaciuto di sposare. Se non avessi avuto paura che mia cugina mi giudicasse una sciocca, avrei voluto dirle tutto e mi avrebbe fatto bene confidarmi con qualcuno.

Ero così persa nei miei pensieri, quando ad un tratto lei interruppe bruscamente di suonare, e si voltò verso di me, sullo sgabello del pianoforte, e a bruciapelò mi domandò se sapevo, se i miei mi avevano detto che l' anno prima qualcuno aveva richiesto ai miei di sposarmi, e mia madre aveva giudicato che non fosse stato un uomo adatto a farmi felice.

E allora, quasi a mia insaputa, il nome che mi bruciava le labbra mi escì di bocca. Lei mi guardò stupita. << L' hai saputo o non l' hai saputo? O sei stata tu a rifiutare? >>.

No. Non mi avevano detto nulla. Perché non mi avevano detto nulla? Perché avevano rifiutato? Per la grande differenza di età? Perché gli artisti hanno fama di non essere buoni mariti?

Ma allora non mi ero ingannata. Non era un sogno. Dio! come ero felice! << E allora perché non dici a tua madre che lo ami? >>.

Erano altri tempi, allora, tanto diversi dai nostri, e forse io ero particolarmente timida e timorosa della mia mamma. Probabilmente anche a quei tempi un' altra ragazza avrebbe avuto il coraggio di parlare con i suoi genitori. Ma io quel coraggio non l' avevo.

Lo ebbe la mia buona cugina.

Ci fidanzammo il sei di agosto di quello stesso anno: 1909. Non esiste più, ora, lo sconquassato trenino a vapore col quale egli doveva partire la sera stessa per andare a trovare la sua Mamma che era in campagna, e comunicarle la notizia che si era fidanzato.

E nemmeno saprei ritrovare la piazza, gialla di gramigna arsa dal sole, dove andammo, lui ed io, in quel luminoso tramonto d' estate. Forse, a farla scomparire e a renderla irriconoscibile saranno state le nuove costruzioni, ma solo che io rievochi il passato, e agli occhi della mente tutto ciò riappare come era allora, per quel prodigioso miracolo della natura e di Dio che fa continuare immutati, nel ricordo, avvenimenti già vissuti, suoni, sentori scomparsi da tanto tempo ma vivi e indistruttibili in noi; solo che io ripensi a quel giorno, tutto resuscita in me e mi riappare vivo come allora.

Odo l' erba secca che scricchiola sotto i nostri piedi e vedo le cavallette che schizzano impaurite sotto i nostri passi, e lui che mi cammina accanto e non parla e nemmeno io parlo, perché l' emozione e la gioia sono troppo grandi per esprimersi. Sento il profumo di salsedine e di resina che giunge a noi dalla pineta e dal mare, e odo il frinire dei grilli che cantano la loro gioia di vivere.

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