TRENTA LIRE PER UN FATTORI
1Queste pagine livornesi, che risalgono con la memoria agli ultimi due decenni dell'altro secolo, sono una testimonianza di prima mano: chi le ha scritte si avvia a compiere, nel prossimo ottobre, il suo novantesimo anno di età. Con mente lucida, e con penna non tanto discorde da quella del suo non meno livornesissimo marito, il commediografo Sabatino, ecco la signora Sisa rievocare fatti e fatterelli relativi ai bagni di Pancaldi e alla retata dei grandi pittori maremmani e toscani di quegli anni.
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i dicono che il quadro più importante di Niccolò Cannicci — a sua volta tra i pittori oggi piu quotati del secondo Ottocento italiano — sia rinchiuso in una cassaforte in Svizzera, e che il suo attuale proprietario — un industriale del Varesotto — per ottanta milioni non lo cederebbe; neppure per cento, dicono. Però, a tenerlo in vista non si fida (troppo alto il rischio del furto, e quindi il prezzo di una polizza): né a casa propria, né in prestito per mostre pubbliche.
Capisco e non capisco. Il risultato, comunque, è che mi tocca rassegnarmi all' idea di andarmene all' altro mondo senza più rivederlo. Mi spiace non soltanto perche è un bel quadro — lo pubblicò per primo Ugo Ojetti, includendolo nei duecentotrenta capolavori dell' Ottocento italiano esposti alla Biennale veneziana del 1928, — ma anche, e soprattutto, perché di quelle tre sorelle sedute alla << rotonda >> di Pancaldi — in abito di città, naturalmente, nell' attesa di uno spogliatoio libero per fare il bagno — quella col giacchino a righe che lavora ad ago è mia Madre; quella dal vestito bianco è mia zia Sisa Carmi; quella in nero col ventaglio sul grembo è la zia Marietta Mieli. La Sisa si ripara dal sole con l' ombrellino aperto, un altro ombrello posato sulla sedia; su tutte e tre piove una luce afosa di pieno luglio. La data: 1880.
Ai bagni di Pancaldi, ombrellini e ventagli
Il nome di Pancaldi, specie per i forestieri, che a quei tempi accorrevano a Livorno per l' estate, era un nome fascinoso, e inscindibile dalla città. Sotto la fitta tenda della sua << rotonda >>, che provvidenzialmente impediva ai raggi cocenti del sole di abbronzare il candore perlaceo delle braccia e delle spalle, si potevano ammirare le più eleganti, ricche, avvenenti dame della città, che facevano mostra dei loro abiti nuovi comprati a Firenze o a Torino, da Ventura o dall' Aloisi, la celebre carissima sarta livornese; e anche quelle di fuorivia, di Parigi, di Vienna, e le artiste che mandavano in visibilio le platee. Era tutto un guardarsi e un farsi vedere. Quelle che si frequentavano per parentela o per stretta amicizia, formavano dei crocchi e, per meglio sentirsi, accostavano le sedie. Probabilmente, quando una di loro si faceva ancora più vicina, coprendosi la bocca con l' ampio ventaglio — a evitare che orecchie indiscrete udissero ciò che veniva confidato — si trattava di svelare e commentare qualche piccante notizia, e il racconto era punteggiato da risatine sommesse, da esclamazioni scandalizzate. Poi, un solo sapiente colpo del ventaglio sul petto, che il busto troppo stretto all vita faceva traboccare verso la scollatura, era sufficiente per richiuderlo; un attimo più tardi, il ventaglio riaperto tornava al suo ufficio di porgere un po' di sollievo al grande caldo. E' andata perduta, oggi, la mimica dei ventagli; una mimica scandita dal ritmo del polso, dal contrappunto delle occhiate, languide, fulminee, aggrondate, ambigue, svenevoli, fra il su e il giù delle grandi ruote multicolori: << Ti amo >>, << Ti odio >>, << Abbi prudenza >>, << Ci vediamo poi >>.
Non proprio tutte le signore e signorine che frequentavano i bagni del sor Pancaldi — o quelli, attigui, del sor Palmieri, più appartati e tranquilli, e che proprio per questo erano prediletti dal Carducci (altri stabilimenti avevano nomi come questi: Scoglio della Regina, Trotta, Sgarallino) — scendevano al mare per esercitarsi nella mimica del ventaglio. Quelle che avevano i figli giovinetti, presto abbandonavano la compagnia delle amiche e i discorsi di gruppo, per sorvegliare i figli nei loro giuochi. I maschietti, fra le braccia di Tenebrone, il marinaio che insegnò il nuoto a metà dei bambini che frequentavano Pancaldi, per lo più guazzavano nel mare o schettinavano sui pattini a rotelle nell' ampio spiazzo apposito della << rotonda >>; le ragazze passeggiavano su e giù, riunite a gruppi di amiche, sbocconcellando magari un pasticcino da cinque centesimi, appena acquistato in Stabilimento.
abiti, giudicava a che punto fosse l' operazione del rivestirsi: << Sono quasi pronte, ora tocca a voi >>, diceva alle signore in attesa sulla terrazza.
Occorre dire che gli spogliatoi erano fatti a forma di piccoli padiglioni di tela bianca e sistemati su una palafitta: le signore vi entravano con l' ombrellino, il cappellino, il ventaglio e tutto il resto << da città >> si slacciavano e toglievano il busto, sostituivano il vestito << da terra >> col vestito << da bagno >>, quindi si lasciavano scendere per una scala al rettangolino di mare sottostante la cabina, e da quel quadratino — a meno che non sapessero nuotare verso il largo — non si muovevano per niente, sempre lì, a mollo.
A sua volta, il costume << da bagno >> non era affatto concepito per sposarsi con l' acqua, né per esporre la pelle al sole (soltanto i facchini del porto si lasciavano abbronzare viso e braccia) né tanto meno — Dio ne liberi — per sottolineare le fattezze delle bagnanti. Il costume da bagno << era un vero e proprio vestito che non lasciava in vista, del corpo, nemmeno un pezzetto così. Gli stessi calzoncini, che giungevano fino a metà del polpaccio addentato da un elastico, venivano coperti più per eccesso di pudore che per pretesa eleganza, dalla sottana di una specie di redingote non rigorosamente chiusa sul davanti, la quale sottana cadeva, con certa burlevole illogicità, da una specie di marinaretta accollata, con grazioso motivo delle àncore ai due lati della pistagna >>. La descrizione, dovuta alla penna più nostalgica che ironizzante di Marino Moretti, rievoca il costume da bagno portato da sua madre sulla spiaggia di Cesenatico; ma si attaglia anche ai costumi di Pancaldi, metà e fine secolo, confezionati in una speciale stoffa nera o di un blu scurissimo, che, per la sua rigida natura, anche bagnata non aderiva al corpo. Aggiungete al tutto le calze, 1' ampio cappello e la cuffietta, ed eccovi l' imbacuccata ondina livornese del Granducato di Toscana e della Nuova Italia. E se a Livorno vigeva la promiscuità dei sessi, gli stabilimenti balneari di Marina di Pisa e dell' Adriatico tenevano ben distinte le fila di cabine per gli uomini da quelle per le donne; e anche il mare antistante era accuratamente suddiviso fra i due sessi. Luogo d' incontro promiscuo restava, per lo più, un gran salone centrale, dove ci si fermava a fare quattro chiacchiere, prima e dopo il bagno, mangiare un bombolone, ordinare una bibita, un sorbetto; purché, si intende, uomini e donne si fossero accuratamente vestiti o rivestiti da città. Proprio, insomma, come mia madre e le sue sorelle nel quadro del Cannicci.
Lo zio che posò per Ximènes
dello Ximenes: fracasso di cocci con accompagnamento di carillon, esultanza dei bimbi, proteste della Mamma.
Mio padre e gli amici << macchiaioli >>
Ma, per tornare alle << Tre sorelle >> del Cannicci, oggi intristite nella cassaforte, io penso che quel quadro sia stato commissionato al pittore da Adolfo stesso, un po' per il piacere di averlo, un po' per aiutare il pittore economicamente. Come tutti — o quasi — i suoi colleghi, Cannicci era molto povero, e affetto da una incoercibile forma di timidezza. Nativo di Firenze, dove aveva studiato, per gran parte dell' anno tuttavia lo trovavi piuttosto a Montemiccoli, presso S. Gimignano, installato in due povere stanze, avendo per compagna — come Ojetti ricordava — una civetta. Gli amici gli dicevano: << Màndala via; puzza! >>. E lui, << Ma no, poverina, quando mi sveglio mi dà il buongiorno >>. Lui stesso ci raccontò, nostro ospite a colazione, di avere una volta saltato il pasto per colpa di Ferdinando Martini venuto apposta a S. Gimignano per rendere visita al pittore; o piuttosto per colpa del proprio esagerato ritegno. Martini era, a quel tempo, personaggio di grosso rilievo. A vederselo inaspettatamente in studio, Cannicci si sentì travolgere dalla confusione. Invitato in trattoria da Martini, in un assalto di autolesionismo disse: << No grazie, non si disturbi: ho mangiato da poco >>. Con il che, dovette poi fargli da guida per tutto il pomeriggio con una sola scodella di caffelatte nello stomaco: quella del risveglio.
Non minore era l' insormontabile soggezione di Cannicci davanti alle signore dell' aristocrazia (tanto che le sue modelle erano per lo più contadinotte); e di quel suo difetto spesso rideva con i miei genitori e con tutti noi. Peccato: il quadro di Pancaldi — che rimase in casa Belimbau sino alle gravi ristrettezze delle << leggi razziali >> e della seconda guerra — ci dice quale splendido interprete di costume egli avrebbe potuto essere: con quale freschezza di sguardo.
alla fine, eccolo col suo foglio da cinquanta per ritirare il quadro. E il Fattori: << Ma come?! non si era stabilito dieci? >> << Sì, ma io non sono un ladro. Prendi >>. << Non le prendo >>...
Una villa in regalo al pittore Corcos
Sempre a quei tempi, nella zona di Castiglioncello si davano convegno — oltre ai pittori — cacciatori e gitanti da Livorno, per via della bellezza del paesaggio, ma anche per merito di una eccellente trattoria ai bordi della pineta. Il rumore del mare, l' urlo del libeccio nelle giornate ventose, di tratto in tratto il fischio del treno, scuotevano la quiete di quei luoghi, il sottofondo continuo delle cicale. Proprietari di gran parte della zona erano i conti Ginori; ma un certo Pasquini2 aveva avuto l' infelice idea di costruirsi per abitazione un finto
castello medioevale circondato da mura così alte da impedire la vista, secondo la moda allora in voga soprattutto in Piemonte (e così, quando si parlò di costruire una stazione dove i treni sbarcassero i nuovi villeggianti, anche la stazione fu costruita come un edificio del Trecento).
Il Pasquini era particolarmente appassionato di pittura, e amico dei pittori. Non fece in tempo (altra generazione) a farsi mecenate di Fattori o di Cannicci, ma il suo << protetto >> fu un altro toscano, un livornese purosangue, Vittorio Corcos. Corcos era essenzialmente un ritrattista, assolutamente infallibile nelle somiglianze, disputato dalle famiglie bene (il suo ritratto della zia Marietta ha varcato l' oceano per l' America del Sud con gli eredi Mieli; quello dell' amico Adolfo credo sia rimasto in casa di mio cugino, a Firenze) e più volte chiamato a Corte, non soltanto da quella dei Savoia a Roma, ma da Guglielmo II a Berlino e da Alfonso XIII, l' ultimo Re di Spagna. << Le nostre cerimonie sono molto fastose, e val la pena di vederle — gli fece sapere il sovrano Spagna — Le manderò l' invito per la prossima, con privilegio di tenere il cappello in testa in mia presenza. Non si lasci sfuggire l' occasione — aggiunse — temo proprio che questo invito sarà anche l' ultimo ricevimento della mia Corte >>. E lo fu, infatti.
Corcos era un arguto parlatore, un vero uomo di mondo e un mostro di eleganza. In un quadro che a suo tempo fu largamente ammirato (dovrebbe trovarsi tuttora alla Galleria d' Arte Moderna a Roma) e che si intitola Sogni, è ritratta la sua musa ispiratrice, Elena Vecchi. Il padre di lei, ufficiale di marina, era noto come autore di libri per ragazzi e opere d' argomento marinaresco, firmate Jack la Bolina. In casa del nonno di lei, a Quarto, si era radunato il quartier generale della spedizione garibaldina per la Sicilia. Noi eravamo grandi amici di Corcos, di Jack la Bolina (che, bontà sua, mi aveva soprannominato << la principessina >>), di Elena Vecchi; più tardi, d' una delle figlie del pittore, la Memmi (il figlio maschio, Pimpi, morì di malattia, al fronte, nel corso della prima guerra mondiale). Della loro madre — e moglie ufficiale di Corcos — sapevamo che era una basbleu che
2Il castello fu costruito dice il Dini da un certo Patrone, genovese, che proveniva
vantava amicizie epistolari con il Pascoli, amicizia intellettuale — forse più — con Padre Pistelli, l' autore delle Pìstole d' Omero, un libro garbatamente satirico (con protagonista uno scolaretto delle elementari Omero Redi) che ebbe un lungo periodo di celebrità.
Non so precisamente come sia avvenuto l' incontro fra Vittorio Corcos e quel tal signore che si era fatto costruire la villacastello ai bordi della pineta. Certo è che questi, passeggiando un giorno in vista del mare, che a Castiglioncello si frange contro scogliere rivestite di arbusti e di ginepri, improvvisamente gli espose un suo generoso proposito: << Ti regalo un terreno qui, che tu possa costruirci una casa con giardino e con tutto lo spazio e la luce che vuoi per il tuo studio >>. Corcos sorrise, puntò il dito verso la punta della scogliera, al termine di una larga insenatura, e disse: << Ecco, quello sarebbe il punto che sceglierei. Quello o nessun altro. Ma cosa me ne faccio di un terreno? dove trovo i soldi per costruire la casa? >>. L' altro lì per lì non disse nulla; ma l' estate successiva Corcos ricevette un cartoncino con una chiave: la sua << casetta >> era già bell' e pronta.
Amedeo Modigliani il << marrano >>