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La Mascalcia di Giordano Ruffo nei piu a

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nei più antichi manoscritti in volgare conservati a Firenze

SANDRO BERTELLI Université de Lausanne

Il libro del nobile maniscalco dell’imperatore Federico II di Svevia sull’arte di allevare e di curare i cavalli, scritto molto probabilmente in latino subito dopo la morte dello stesso Imperatore (ossia tra il 1250 e il 1256)1, può essere a ragione considerato come uno dei primi trattati di arte veterinaria dell’Italia medievale, essendo privo di qualsiasi riferimento a pratiche magi-che o a superstizioni, così come non concede alcuno spazio all’improvvisa-zione2.

L’opera conobbe un successo tanto immediato quanto straordinario, come si può facilmente dedurre sia dalle numerose traduzioni (per l’area romanza, oltre al volgarizzamento italiano, si ricorda la versione francese, la

proven-1 Il 1256 è l’anno in cui Giordano Ruffo fu fatto prigioniero dalle truppe di

Man-fredi e torturato con la privazione della vista. Per la versione latina dell’opera, si ri-manda a Jordani Ruffi calabrensis Hippiatria,nunc primum edente H. Molin, Patavii 1818: uno strumento – com’è noto – poco affidabile, tra l’altro realizzato sulla base di un solo ms., il Marciano Lat. VII. 24 (= 3677). Di questo strumento esiste anche una versione italiana con glossario, per cui si veda Nelle scuderie di Federico II imperato-re, ovvero L’arte di curare il cavallo di Giordano Ruffo, traduzione e glossario di M. A. Causati Vanni, Velletri 20022 («Arte, costume, storia»).

2 Sull’argomento e in qualità di contributi recenti ed aggiornati, si vedano per lo

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zale, la catalana, la siciliana e quella – di recente acquisizione – galego-porto-ghese)3, sia dall’ingente numero di manoscritti – talvolta anche molto antichi (vale a dire ancora duecenteschi)4 – finora individuati (oltre 160 unità, ma il numero è destinato certamente ad aumentare qualora si conducesse una veri-fica puntuale e sistematica dei luoghi di conservazione)5.

3 La versione francese è stata pubblicata da B. Prévot, La science du cheval au Moyen Âge. Le «Traité d’hippiatria» de Jordanus Rufus, 2, Paris 1991 («Les belles lettres. Sapience»). L’edizione del volgarizzamento occitanico è stata invece annun-ciata da Patrizia Arquint, che presso l’Università degli Studi di Siena ha discusso, in data 4 aprile 2007, una tesi di dottorato dal titolo: Il volgarizzamento occitanico del «Liber de medicina equorum» di Giordano Ruffo: edizione critica. Alla stessa studio-sa si deve anche l’edizione dell’Arte veterale sulla cura dei cavalli del napoletano Pi-gnatelli (cfr. Giovan Battista PiPi-gnatelli, L’arte veterale: sopra il medicare et altri se-creti bellissimi de’ cavalli, a cura di P. Arquint – M. Gennero, Bracciano 2001) e uno studio sui freni dei cavalli in epoca tardo-medioevale (cfr. P. Arquint, «Poi che ponesti mano alla predella». Studio sui freni dei cavalli ai tempi di Dante, «Studi di filologia italiana», 62, 2004, 5-90). Per la versione galego-porteghese, si veda G. Pérez Barca-la, Apéndice. Proposta de edición, in Tratado de Albeitaria, introdución, transcrición e glosario de J. L. Pensado Tomé, révisión para a imprenta e edición en apéndice de G. Pérez Barcala, Santiago de Compostela 2004, 371-414. Su quella in siciliano, con relativa bibliografia, si veda S. Rapisarda, Breve repertorio bibliografico dei testi in materia scientifica in volgare siciliano medievale, «SicGymn», n.s. 53, 2000, 461-481: 477-478. Si segnala, in fine, l’oggetto della tesi di dottorato di Antonio Montina-ro (in corso d’opera presso l’Università del Salento), ossia l’edizione di un Volgariz-zamento inedito da Giordano Ruffo: Cola de Jennaro, Della natura de cavallo e sua nascita (Tunisi, 1479) contenuto nel Vaticano latino 10001, per cui si veda, in questi stessi Atti, a 471-530.

4 Basti ricordare, oltre al Laurenziano Strozziano 183 (cfr. Appendice nr. 2), il

co-dice Berlinese del Kupferstichkabinett78 C 15, anch’esso – come lo Strozziano – scritto in area pisana verso la fine del sec. XIII.

5 La stima di 162 unità, tra manoscritti latini e volgari, è stata dichiarata da

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Jorda-Nella cospicua produzione letteraria che ebbe luogo dentro e intorno alla corte federiciana, l’opera di Giordano Ruffo si affianca naturalmente ad altre più celebri trattazioni, che anch’esse avevano avuto come oggetto gli animali: basti ricordare la traduzione di Michele Scoto del De animalibus di Avicenna e, ovviamente, il De arte venandi cum avibus dello stesso Imperatore6. Tutta-via, com’è noto, risalire ai modelli o alle fonti utilizzate da Giordano rappre-senta un’operazione non facile, anzi, al contrario, piuttosto ardua, poiché il testo è stato scritto in prima persona mettendo in rilievo la lunga esperienza acquisita dall’autore nelle scuderie imperiali e omettendo qualsiasi riferi-mento ad eventuali modelli7. Nonostante ciò, secondo quanto emerso da studi più o meno recenti, sembra che si possa escludere il contatto con la Mulome-dicina di Vegezio, utilizzata forse per la prima volta dal domenicano Teodori-co Borgognoni sullo sTeodori-corcio del seTeodori-colo XIII8; molto dubbie sembrano anche

nus. Tractatus de morbo et sanitate equorum [in italiano col titolo:] Arte di conoscere la natura dei cavalli, trad. Gabriele Bruno. Venezia, Piero Quarengi, [1493]. 4°, got., ill. (esemplare conservato a Bologna, presso la Biblioteca Comunale dell’Archigin-nasio). Altra importante edizione veneziana uscì, per i tipi di Melchiorre Serra, nel 1508, col titolo Libro de la natura di cavalli & el modo di rilevarli & domarli & co-gnoscerli & quali son boni & del modo de farli perfecti & trarli da i vicii... Et de qual sorte morsi alor si conviene secondo le nature vicii o qualità di quelli... item in simel modo tratta de la natura di rilevar medicar governar & mantenir spalivieri astori fal-coni & simili (44 c.: ill.; 4°; segn.: A-L4).

6 Per una panoramica d’insieme, si veda A. De Stefano, La cultura alla corte di Federico II imperatore, Bologna 1950 (prima ed. Palermo 1938; successivamente an-che Parma 1990), 84 e ss. Sulla traduzione di Mian-chele Scoto, si veda A. M. I. Van Op-penraaij, Michael Scot’s Latin Translation of Avicenna’s Treatise on Animals. Some Preliminary Remarks on the Future Edition, in Tradition et traduction. Les textes phi-losophiques et scientifiques grecs au Moyen Age latin. Hommage à Fernand Bossier, éd. par R. Beyers - J. Brams - D. Sarré - K. Verrycken, Leuven 1999 («Ancient and Medieval Philosophy. De Wulf-Mansion Centre. Series I», 25), 107-114. L’autore se-gnala 33 codici (di cui 28 completi): il testimone più affidabile sembra essere il Vati-cano Chigiano E.VIII.251. Sul De arte venandi cum avibus, si veda la recente edizio-ne di A. L. Trombetti Budriesi, Federico II di Svevia. De arte venandi cum avibus. L’arte di cacciare con gli uccelli. Edizione e traduzione italiana del ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna collazionato con il ms. Pal. lat. 1071 della Bi-blioteca Apostolica Vaticana, prefazione di O. Zecchino, con la collaborazione di V. Braidi, Roma-Bari 2000 («Centro europeo di studi normanni. Fonti e studi», 10).

7 In questo senso anche Gaulin, art. cit., 427-429.

8 Il Borgognoni (1205-1298) fu autore di un trattato di veterinaria in tre libri, dal

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le identificazioni a suo tempo proposte di alcune singole nozioni prese a pre-stito da Chirone9. Sorte non migliore spetta anche agli agronomi latini, Co-lumella, Varrone e Palladio, che al cavallo avevano dedicato alcuni capitoli all’interno delle loro opere. Di contatti, o comunque di similitudini, si è par-lato invece in relazione all’ippiatria bizantina, grazie al confronto con la tra-duzione latina dei due libri di Ierocle dedicati alla cura dei cavalli (Liber E-raclei o De curatione equorum), realizzata da Bartolomeo da Messina alla corte di Manfredi (dunque tra il 1258 e il 1266)10, e con la traduzione,

numerosi manoscritti: i Vaticani Barberiniano lat. 327 (sec. XVI), Reginense lat. 1010 (sec. XIV) e Reginense lat. 1269 (sec. XIV); il ms. Mutin. !.j.5.18 (sec. XIV); il

codi-ce E.VI.4 della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (sec. XIV); il ms. 72 del-la Biblioteca Universitaria di Pavia (sec. XV); l’Ambrosiano B 91 sup. (sec. XIV); il Parigino Nouvelles Acquisitions lat. 548 (sec. XIV); il Marciano Lat. VII. 25 (sec. XIV) e il ms. di Vienna Vindobonensis lat. 2414 (sec. XIV). Questo trattato fu tradot-to anche in lingua catalana, come testimonia il ms. Español 212 della Bibliothèque Nationale de Paris. Inoltre, agli inizi del Novecento, fu scoperto e pubblicato un suo riassunto in provenzale, conservato nel ms. Claromont. 218 (cfr. A. Thomas, Traduc-tion provençale abrégée de la Mulomedicina de Teodorico Borgognoni suivie de re-cettes pour le vin, «Romania» 40, 1911, 353-370). Sono noti anche dei codici in vol-gare italiano, come i Parmensi 181 e 4286 (sull’opera di Teodorico e sulla sua tradi-zione manoscritta, si veda V. Ortoleva, Per uno studio della tradizione indiretta della «Mulomedicina» di Vegezio: gli «excerpta» di Teodorico da Cervia, «Sileno» 18, 1992, 115-131). Le fonti principali di questo trattato furono il De animalibus di Alber-to Magno, appunAlber-to la Mulomedicina di Publio Vegezio e la Mascalcia di Giordano Ruffo. Sul Borgognoni, molto noto soprattutto per la sua Cyrurgia seu filia principis

(dedicata al suo confratello Andrea Abalate, vescovo di Valenza dal 1248 al 1276), si veda per lo meno La tradizione medico-chirurgica lucchese, a cura di U. Ceccarelli, Pisa 1961, 9-16; e la voce Borgognoni, Teodorico di A. Alecci, in DBI, 12, Roma 1970, 772-773.

9 Cfr. R. Roth, Die Pferdeheilkunde des Jordanus Ruffus, Inaug.-Diss., Berlin

1928, 58.

10 La paternità della traduzione di Bartolomeo da Messina del trattato di Ierocle è

però messa in forte discussione da A. Damico, Un’anonima traduzione latina del trat-tato di veterinaria di Ierocle nel Cod. Vat. Reg. Lat. 1010, «RCCM» 47, 2005, 321-359. Testimone base di questa versione dal greco è il ms. 1383 della Biblioteca Uni-versitaria di Bologna. Su Bartolomeo da Messina, si veda la relativa voce curata da S. Impellizzeri per il DBI, 6, Roma 1964, 729-730. Sul testo in generale, cfr. G. Björk,

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anch’essa latina ma mediata da una versione araba, dell’Epitome del veterina-rio Ippocrate, eseguita da Mosè da Palermo su richiesta di Carlo I d’Angiò intorno al 127711. Emerge quindi chiaramente che le traduzioni latine di que-ste due opere sono poque-steriori alla Mascalcia di Giordano Ruffo, che potrebbe così qualificarsi come il testo che, se non introdusse, per lo meno favorì la conoscenza del sapere ippiatrico nell’Italia meridionale.

1. Struttura dell’opera

Il programma dell’opera, fornito dallo stesso autore alla fine del prologo, annuncia un trattato diviso in sei parti: la prima è dedicata alla fase di ripro-duzione del cavallo; la seconda e la terza trattano invece rispettivamente dell’addestramento del puledro e di quella che di fatto costituisce la ‘manu-tenzione’ del cavallo; la quarta parte è dedicata al riconoscimento delle quali-tà e dei difetti dell’animale; mentre la quinta e la sesta sono indirizzate rispet-tivamente alle malattie e alle cure consigliate per debellarle. In realtà, come già nei modelli arabi, le due parti che trattano delle malattie del cavallo costi-tuiscono il nucleo essenziale, sostanziale dell’opera di Giordano, che assume così i connotati di un vero e proprio trattato di medicina veterinaria (di ippia-trìa).

Ma di quale genere di cavallo si occupa Giordano Ruffo? Certamente non si interessa del cavallo da tiro o da lavoro, che non viene mai menzionato all’interno della trattazione, così come non sono mai chiamati in causa gli a-sini, i muli o i bardotti, che invece, di quando in quando, emergevano nella trattatistica antica, in specie bizantina12. Dunque, l’animale che si trova al centro dell’attenzione nel libro di Giordano è senza dubbio alcuno il ‘cavallo nobile’, ad uso cioè di «coloro ke si dilectano di venire ad honore di

cavalla-Encyclopaedia of Horse Medicine. The Sources, Compilation, and Transmission of the Hippiatrica, Oxford 2007 («Oxford Studies in Byzantium»).

11 Per l’ed. del volgarizzamento, cfr. Trattati di mascalcia attribuiti ad Ippocrate, tradotti dall’arabo in latino da Maestro Moisè da Palermo, volgarizzati nel secolo XIII, messi in luce per cura di P. Delprato, corredati di due posteriori compilazioni in latino e in toscano e di note filologiche per cura di L. Barbieri, Bologna 1865 («Col-lezione di opere inedite o rare»), 203 e sgg. Cfr. G. Björk, Griechische Pferdeheilkun-de in arabischer Überlieferung, «Le Monde oriental» 30, 1936, 1-12; Id., Aspyrtus..., op. cit., 38-40; e A.-M. Doyen, The «Hippiatrica» and Byzantine Veterinary Medici-ne, «DOP» 38, 1983, 111-120: 117-118.

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ria (e) di battaglia (e) assidua bontade cum delectatione»13. Così come risulta altrettanto evidente che questa nobiltà del cavallo corrisponde nella sostanza a quella di coloro che lo utilizzano. Insomma, l’animale che Giordano Ruffo di Calabria conosce, sa allevare, accudire e sopratutto curare è chiaramente un mezzo di distinzione sociale. Infatti, all’inizio del prologo, si legge: «Cumciò sia cosa ché intra tutti li animali dal Som[m]o Operatore creati ma-nifestamente a l’uso del’humana generatione ... neuno animale sia più nobile che cavello, che per lo quale li Principi (e) li Baroni (e) cavalieri dal minori [alcuni codici leggono anche villani o nemici] sono congnosciuti», cioè sono distinti14.

Ma l’opera fu scritta anche per l’«utilitade di coloro che continuamente [i codici leggono anche cotidianamente o quotidianamente] usano li cavali»15. E questo spiega, almeno in parte, l’eccezionale diffusione del testo e delle numerose traduzioni che ben presto se ne fecero nelle più diverse lingue ro-manze. Proprio a causa di questa sua funzione essenzialmente pratica, la Ma-scalcia di Giordano Ruffo presenta non pochi problemi a livello interpreta-tivo e soprattutto di inquadramento filologico. Infatti, come accennato, l’opera si propagò molto rapidamente, nel tempo e nello spazio, grazie ap-punto ai varî volgarizzamenti che, se da una parte ebbero l’indiscusso merito di rendere il testo più facilmente accessibile a dei fruitori spesso tutt’altro che colti, dall’altra contribuirono a generare all’interno dell’opera stessa un certo disordine, poiché i copisti (che nella maggioranza dei casi coincidevano con gli stessi fruitori del testo) non esitavano ad aggiungervi trattatelli, delle vere e proprie ‘regole’ per conoscere i varî accidenti in cui i cavalli incorrevano, rimedî ed altre ricette. Così facendo, il processo eversivo provocato dalla stratificazione delle copie ha talvolta prodotto delle alterazioni sostanziali del testo originario, tanto che in certi casi risulta davvero di difficile individua-zione.

Tale processo si verifica già all’interno di quella che rappresenta la fase più alta, più antica della produzione e diffusione manoscritta dell’opera nella sua veste volgare. E per fase più antica sarà da intendere quella che com-prende un arco cronologico che va dalla seconda metà del Duecento alla pri-ma del Trecento, poiché già a partire dalla seconda metà del secolo XIV (e

13 Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi 184 (cfr. Appendice nr. 3), f. 1rA ll.

19-22.

14 Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi 183 (cfr. Appendice nr. 2), f. 1rA ll.

3-14.

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soprattutto nel corso del Quattrocento) la filiazione dell’opera di Giordano aumenta in maniera consistente e più o meno incontrollata16.

2. I più antichi testimoni fiorentini

La Mascalcia di Giordano Ruffo si presenta quindi come un tipico testo di natura pratica particolarmente predisposto alla corruttela, che agisce sulla struttura dell’opera mediante meccanismi di alterazione e di infiltrazione di altro materiale. Questo comportamento è parzialmente seguibile e verificabile anche all’interno di un gruppetto di 6 codici, molto antichi, conservati a Fi-renze: 3 appartengono alla Biblioteca Medicea Laurenziana e 3 alla Biblio-teca Nazionale Centrale.

I tre codici Laurenziani sono: il Gaddiano reliqui 202 (cfr. Appendice nr. 1), databile al primo quarto del secolo XIV, di probabile origine centro-meri-dionale; e gli Strozziani 183 e 184 (cfr. Appendice nr. 2 e nr. 3), rispettiva-mente databili, il primo alla fine del secolo XIII, di provenienza pisana, men-tre il secondo è ascrivibile al primo decennio del Trecento, appartenente in-vece ad area linguistica fiorentina.

I tre codici Nazionali sono: il Magliabechiano classe XVa codice nr. 180 (cfr. Appendice nr. 4), datato all’anno 1319 e proveniente da area aretina; il manoscritto Nuove Accessioni 424 (cfr. Appendice nr. 5), sottoscritto, datato all’anno 1337 e proveniente da Orvieto; e, in fine, il Palatino 744 (cfr. Appen-dice nr. 6), databile al secondo quarto del Trecento, anch’esso di origine pi-sana.

Le tavole sotto riportate mostrano il comportamento dei 6 testimoni sia nell’organizzazione della macrostruttura testuale (relativa alla parte ippia-trica), sia nel microcosmo del capitolo che introduce alla cura delle malattie del cavallo (ossia nel De verme):

BML

Gaddiano 202, ff. 11r-12v Strozzi 183,BML ff. 8vA-9rA Strozzi 184, ff. 7vB-8rABML Nr.

cap.

Rubrica Nr.

cap.

Rubrica Nr.

cap.

Rubrica

1 De verme de lo capo 1 Del verme 1 Del verme

16 Tra i codici fiorentini in volgare, oltre a quelli studiati e descritti in Appendice,

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2 Dellu verme vola-14 Dellu accalmatu et

dilu siccatu da intro 14 De lo iscalmato dentro 14 De lo scalmato

19 Delle ’nfermità delli ochi

21 Delle omne lisione de dossu

scrofole 25 De li baroni (e) scarbonchi 25 Delli spallaccii 26 De ronnia prodore et

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32 De gerda i nellu

per traverso 46 De la gamba intrante

47 De seta 47 Del cancero 47 De la forma

50 De superposta i nel-la corolnel-la dell’ongia

53 De le inchiavatura

che rompe 53 Del chiavature ke tochano

54 De spontatura dell’ongia

54 De la corona del piedi

54 Del vivo dell’unghia

55 De dessolare l’ongia 55 Del fico di sucto

suolo del piede 55 De le chiavature, le quali non tochano 56 Della mutatione de

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piede 59 [D]i mutare

l’unghie 59 De le sputature dell’unghie 60 Del sobatuto sotto

l’unghia del piede

de seccato dentro 14 De lo scalmato overo di seccato dentro

14 Et lo male de lo scalmato uvero di-seccato dentro 15 De lo adrabattato 15 De l’araggiato 15 Et lo male de lo

af-17 In questo manoscritto la Tavola delle rubriche viene ripetuta per due volte:

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fredito

26 Et lesione dell’ancha

27 Del male ke si dae

29 Et agraviassione del pecto 31 Del gravamento del

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41 De li crepacci 41 De crepacci 41 Et tutte le infias-sione de le gambe 42 De la startilgliatura 42 De la sterliatura 42 Et trunco del lengno

u de la spina che

l’unghie 51 De le offensioni dell’unghie 51 Et le chiavature che rompepeno la co-rona del piede

53 De le inchiavature che toccano il vivo dell’unghia

53 Et le psontature dell’unghie

54 De la chiavatura che

rompe la corona 54 De le inchiavature che non toccano il vivo

55 De le inchiavature che rompono la 57 Del sobattuto sotto

l’unghia del piede

57 De le spuntature

58 Del disolamento de

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Si noterà, anzi tutto, che il numero complessivo dei capitoli non soltanto è in generale disomogeneo, ma differisce, nel caso del Gaddiano (56 capitoli) e del codice Palatino (62 capitoli), di ben 6 unità. Tale indicazione potrebbe naturalmente rivelarsi, alla luce di un’indagine estesa ad un maggior numero di testimoni, come un elemento molto utile per stabilire le parentele tra i co-dici, tanto fra quelli volgari, quanto fra quelli latini (sebbene l’elenco delle rubriche sia spesso molto mosso e di fatto variabile praticamente di testimone in testimone)18. Sembra comunque abbastanza chiaro che il numero comples-sivo dei capitoli si attesti intorno alle sei decine di unità (e non solo tra i co-dici più antichi), sulle quali intervengono – come si può facilmente verificare dalla tavola – molteplici forme di corruttela (soprattutto spostamenti, ma an-che omissioni, aggiunte o accorpamenti).

Non molto diversa appare anche la situazione a livello microtestuale, co-me dimostra il seguente confronto: illu pectu dellu cavallu, or inter le cosse adtornu alli cavallu naturalemente in illu pectu appressu allu core...

Del verme

Accidentale infirmitate sì è la quale si chiama in volgare verme, lo quale si comincia in del pecto del

Accidentale infermità è quella la quale in volgare è decta verme, la quale s’incomincia nel pecto del cavallo, overo ne li fra-cassi apresso li coglioni, e chinde discende ne le gambe, universalmente le crepature (e) le ferite pas-sando (e) pertusciando, lo quale verme si cria (e) nasce di soperchi (e) ca-lidi omori per lungo tem-po raunati et conchiusi, et poscia una ghiandorla, la quale ànno tutti li cavalli entra l’una parte (e) l’altra

18 La forbice risulta infatti piuttosto ampia: per esempio, il codice Marciano Lat.

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lo cuore naturalmente... del pecto, naturalmente De le ’nfermità del verme

Acidentalemente enfertade è quella la quale è decta verme volgare, la quale se comincia nel pecto del cavallo, overo ne’ fracassi a lato i coglioni, e di quinde discende nelle gambe, universalmente le crepatura e le ferite

pas-Una infermità accidentale sì è la quale volgarmente si chiama verme, e comin-ciasi nel pecto del cha-vallo, overo intra le coscie intorno a’ colglioni, di-naturalmente intra l’una parte e l’altra del petto tiene el corpo e ancora intra le coscie intorno a’ colglioni per alcuno do-lore che viene accidental-mente...

De lo male de lo verme Acidentalmente infirmita-de vengnano a lo cavallo infirmitade una la quale si chiama verme, lo quale si incumi[n]cia dal pecto del cavallo, uvero intra le co-scie appresso li collioni, et possa discende a le gam-be, et falle infiare d’ongna intorno le gambe fae na-scere cecchi forti dolorosi et ronpeno per sei mede-smo, lo quale verme nasce di mali homori lunguo

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(ossia due testimoni pisani, uno fiorentino e uno aretino)19 e due manoscritti dell’Italia centro-meridionale, tra cui uno sicuramente proveniente da Orvie-to.

Balza subito agli occhi anche l’assenza di codici illustrati, rappresentanti cioè quella tipologia di produzione manoscritta che potrebbe essere definita come ‘didattica’ per eccellenza, spesso costituita di codici miniati provenienti da ricche biblioteche signorili o addirittura principesche, dove magari i mae-stri di stalla potevano anche consultare altri testi, classici o moderni, dell’arte veterinaria20. Tipici rappresentanti di questa specie di manoscritti sono, per esempio, il Laurenziano Pluteo 45.19 (sec. XIII ultimo quarto), contenente – nella sua veste latina – la Mulomedicina di Vegezio (prodotto di una bottega dell’Italia centrale, forse proveniente dalla Toscana meridionale)21, il Vatica-no Urbinate latiVatica-no 252 (databile alla metà del sec. XIV), contenente invece il

Liber marescalciae equorum di Lorenzo Rusio (di fattura bolognese)22, il

19 Si tenga però presente che l’indagine è stata condotta a Firenze, vale a dire in

un centro gravitazionale di primaria importanza per il deposito e la conservazione di tutto il patrimonio culturale locale e regionale (e non solo).

20 Sul rapporto tra testo e illustrazioni nei codici di mascalcia, si veda il recente

contributo di L. Brunori Cianti, Testo e immagine nei codici di mascalcia italiani dal XIII al XV secolo, «Rivista di storia della miniatura»,1-2, 1996-1997, 249-255. Alla stessa autrice, sempre in chiave iconografica, si deve uno studio sulla diffusione dell’equus signorum, ossia l’immagine del cavallo illuminato dai raggi solari, ognuno dei quali tocca un segno zodiacale posto sul corpo dell’animale, nei codici di mascal-cia prodotti nel sec. XV in area napoletana e padana (cfr. L. Brunori Cianti, Elementi classici nell’immagine dell’«equus signorum» nei codici di mascalcia, in La tradizio-ne classica tradizio-nella miniatura europea. Atti del V Congresso di Storia della Miniatura, Urbino 24-26 settembre, 1-2, Firenze 2000 [= «Rivista di Storia della Miniatura», 4, 1999, 61-72]).

21 Secondo il parere di Brunori Cianti, Testo e immagine..., art. cit., 254-255 n. 7,

che parla, dal punto di vista iconografico, di «un prodotto assai raffinato di fine ’200, proveniente da una bottega dell’Italia centrale, probabilmente circoscrivibile alla To-scana meridionale, in quel territorio in cui confluirono elementi propri della cultura senese, aretina ed umbra». Sulla tradizione della Mulomedicina di Vegezio, si veda V. Ortoleva, La tradizione manoscritta della «Mulomedicina» di Publio Vegezio Renato, Acireale 1996.

22 Cfr. Brunori Cianti, Testo e immagine..., art. cit., 255 n. 8 («un tipico prodotto di

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Malatestiano S.XXVI.2 (databile agli inizi del sec. XV), contenente anch’esso il trattato del Rusio (di produzione lombarda)23, oppure il già ri-cordato Berlinese Kupferstichkabinett 78 C 15 (fine sec. XIII), contenente proprio la Mascalcia di Giordano Ruffo (di provenienza pisana)24.

Malgrado questo vuoto, i sei codici sott’inchiesta mostrano comunque di poter essere ricondotti a due diverse tipologie di produzione manoscritta, en-trambe sostanzialmente finalizzate ad un utilizzo pratico dell’opera, ma molto probabilmente destinate ad un pubblico diverso e forse anche piuttosto di-stante nella gerarchia della scala sociale dell’epoca: la prima, che per como-dità potrebbe essere definita come medio-alta, è rappresentata dal Laurenzia-no StrozziaLaurenzia-no 184 e dal Nazionale Nuove Accessioni 424, che recaLaurenzia-no delle caratteristiche formali tali da poter essere tranquillamente considerate assimi-labili a quelle dei coevi manoscritti letterari; mentre la seconda, che si attesta su standard qualitativi decisamente più bassi, è costituita dagli altri quattro testimoni, che sembrano essere stati concepiti esclusivamente per una funzio-ne pratico-operativa.

Il Laurenziano Strozziano 184 (cfr. Appendice nr. 3) è un codice membra-naceo, scritto in area fiorentina nei primissimi anni del Trecento, contenente, oltre alla Mascalcia di Giordano Ruffo, che si trova in apertura del mano-scritto, una serie di altri piccoli testi dedicati alla cura dei cavalli e, in chiusu-ra, un Trattato sugli sparvieri (anch’esso «composto a petitione di domino lo ’mperadore Frederigo», così come recita la rubrica del prologo, al f. 68vA). Il manoscritto si presenta accuratamente preparato in tutte le sue parti. La scrit-tura è una littera textualis piuttosto formale, perfettamente inquadrata all’in-terno dei confini stabiliti dalla mise en page. L’apparato decorativo, sebbene non terminato, suggerisce comunque una certa ambizione nel progetto esecu-tivo, poiché il copista aveva previsto (forse per il collega miniatore) lo spazio necessario per eseguire un’iniziale decorata (come del resto era di uso norma-le in apertura di libro), presumibilmente a motivi vegetali, così come si può ancora intravedere dallo schizzo (Tav. V). Le partizioni dei varî capitoli sono invece segnalate mediante delle iniziali rubricate rosse e azzurre alternate: del medesimo colore sono anche i segni paragrafali, che scandiscono le divisioni più minute all’interno dei singoli capitoli. La legatura stessa, antica in cartone

del volgarizzamento del Rusio, cfr. La mascalcia di Lorenzo Rusio. Volgarizzamento del secolo XIV messo per la prima volta in luce da P. Delprato, aggiunto il testo latino per cura di L. Barbieri, Bologna 1867 («Collezione di opere inedite o rare»).

23 Cfr. Brunori Cianti, Testo e immagine..., art. cit., 255 n. 9 («raffinato prodotto di

scuola lombarda, riconducibile alla cultura malatestiana e riferibile al primo quarto del XV secolo»).

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ricoperto di marocchino bruno con decorazioni dorate, cornici e fregi arabe-scati, impreziosisce notevolmente il codice: è opera del legatore vaticano Niccolò Franzese (attivo fin verso il 1570 circa)25. Insomma, un aspetto for-male che suggerisce chiaramente un destinatario del manoscritto non comu-ne, molto probabilmente un committente abituato a maneggiare altre tipolo-gie librarie, alle quali questo testimone della Mascalcia di Giordano è stato evidentemente equiparato. Non sarà quindi un caso che il codice, al di là del primo possessore (l’ancora trecentesco Bartolomeo maniscalco, così come si legge nella nota di possesso al f. 72v), appartenne prima alla nobildonna e poetessa Eleonora Cybo da Massa Carrara (1523-1594)26 e poi all’aristo-cratica famiglia fiorentina degli Strozzi (sec. XVII)27. Dal punto di vista te-stuale, è da notare l’attribuzione dell’opera all’imperatore Federico II (nella rubrica al prologo si legge: «Incomincia lo libro de la Maliskalcharia de’ ca-valli composto da lo ’mperadore»), anche se poi, all’interno dello stesso pro-logo, si ha un’immediata rettifica e la restituzione della paternità a Giordano Ruffo. Ma il codice si segnala anche per un’altra caratteristica, ovverosia la presenza di alcuni rimedî ed altre ricette per cavalli all’interno del testo, che nulla però hanno a che vedere con l’opera del maniscalco calabrese. Questi inserimenti, che ovviamente destabilizzano l’assetto e la bontà del testo (co-me a suo luogo già osservato), sono rilevabili: il primo tra la tavola delle ru-briche che scandiscono le malattie del cavallo e il capitolo iniziale di queste (il De verme); mentre il secondo, più comprensibilmente, si è verificato in chiusura del trattato, ovverosia subito dopo la parte che concerne gli accidenti che capitano alle unghie dell’animale (capp. 51-62). In effetti, questa lunga tavola che indicizza le malattie del cavallo (come si è visto, una sessantina di voci) viene frequentemente interpretata come l’inizio vero e proprio del trat-tato. E in parte lo si può anche facilmente comprendere, qualora cioè il fruito-re del codice fosse intefruito-ressato alla sola porzione curativa dell’opera di Gior-dano, come avviene, per esempio, nel manoscritto Nuove Accessioni 424 del-la Biblioteca Nazionale (cfr. Appendice nr. 5).

Si tratta di un codice membranaceo, scritto ad Orvieto nel 1337 dal «ma-gister Iohanninus filius domini Cabrini de Abundia de Bononia publicus

Im-25 Cfr. Le amanti del libro. Catalogo della Mostra tenutasi a Milano, Castello

Sforzesco. Sala del tesoro, 26 marzo-18 aprile 1999, a cura di R. Farina, [Milano] 1999, 22 e fig. 14.

26 Sulla cui figura, si veda la relativa voce curata da F. Petrucci per il DBI, 25,

Roma 1981, 242-243.

27 Per la Vita di Palla (1372-1462) e degli altri componenti della famiglia Strozzi,

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periali auctoritate notarius» (f. 49v). Dunque, un notaio, vale a dire un perso-naggio culturalmente ed istituzionalmente molto importante della società, in-teressato a possedere un testimone della Mascalcia di Giordano, che però si presenta nella forma che di fatto si potrebbe definire ‘breve’, cioè limitata alla parte ippiatrica dell’opera. Infatti, il codice si apre con la tavola delle ru-briche che riguardano le infermità del cavallo, per poi passare regolarmente in rassegna tutte le varie malattie. Segno evidente, quindi, che già nella prima metà del Trecento circolavano delle versioni ridotte dell’opera di Giordano Ruffo. Inoltre, è da notare che anche in questo testimone si verifica una par-ziale introduzione indebita di un breve testo, uno scongiuro che solitamente trovava posto in chiusura dei trattati di medicina veterinaria per cavalli, ossia lo «sperimento provato contra lo verme», che il copista inserisce sul margine inferiore di f. 3r, cioè all’inizio della trattazione28. Ecco come si presenta il testo dello ‘sperimento’ nel codice della Nazionale:

Verme maledetto contradetto, io ti schong[i]uro per la luna e per lo sole et per tutti li sancti che al mondo et im Paradiso sonno et furo, et per quello panno rossato dove il nostro Signore Ieso Christo fu involto et fasciato, et per quella messa sancta che lo Natale se chanta, et per quella sancta messa che ne lo Natale fo detta, che tu ne vada in mare et colglia rena et sale, verme maledetto contradetto. Et volsi tenere in mano nove pietrelle, e come detto lo canto, e tu gitta una di quelle pietrelle, et vuolise dire nove volte in fino a nove dì, et vuolise gittare l’aqua fredda in quello male, cioè nel petto et a’ colglioni nove volte, et vuolisi fare la mane, anti che si lievi il sole chol segno della Santa Croce et con nove invenie.

Rappresentanti della seconda ‘categoria’ di manoscritti, quella che si po-trebbe definire di livello qualitativo medio-basso, destinati alla pratica quoti-diana dell’arte veterinaria, sono invece il Laurenziano Strozziano 183 e il Magliabechiano XV.180, che dal punto di vista formale risultano essere ma-noscritti molto affini.

Il codice Strozziano (cfr. Appendice nr. 2), membranaceo, databile alla fi-ne del Duecento, di chiara provenienza pisana, mostra un assetto testuale piuttosto fermo, o comunque sia decisamente più regolare rispetto a quello in cui spesso si ha l’occasione di imbattersi sfogliando i testimoni del volgariz-zamento italiano dell’opera di Giordano Ruffo. In questo codice, le numerose aggiunte – di rimedî e di scongiuri varî – sono non soltanto relegate in

chiu-28 Il Laurenziano Strozziano 183 (cfr. Appendice nr. 2), infatti, reca questo

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sura del volume, ma anche opera di diverse mani posteriori, e dunque facil-mente individuabili. Infatti, la scrittura di questo manoscritto appare alquanto caratterizzata, notevolmente arcaica e contraddistinta dalla irregolarità e dalla disarticolazione dei singoli tratti delle lettere, forse in quanto opera di una persona poco attenta ad una sua esecuzione formale, oppure in quanto inade-guata allo scopo per mancanza di specifica formazione. Si tratta evidente-mente della mano di un artigiano, forse proprio di mestiere maniscalco, co-munque molto più interessato alla bontà del suo codice – anch’esso indispen-sabile strumento di lavoro – che non all’aspetto formale del manoscritto. Pas-sato attraverso le mani di numerosi possessori (facilmente individuabili pro-prio grazie alle scritture che questi hanno lasciato in chiusura del volume), il codice Strozziano si trovava sicuramente a Firenze già nel 1485, essendo in possesso di Giovanni d’Amerigo Benci (come risulta dalla nota che questi ha lasciato sulla controguardia anteriore del codice)29. Successivamente, nel XVII secolo, il manoscritto entrò a far parte di ben altra collezione, quella del senatore Carlo di Tommaso Strozzi.

Diverso, ma altrettanto interessante, è il caso del Magliabechiano classe XVa, codice 180 (cfr. Appendice nr. 4). Questo testimone, scritto nel 1319 in area aretina30, si distingue sia per la ripetizione della tavola dei capitoli che riguardano le malattie del cavallo (il copista, cioè, dopo aver trascritto questa tavola ripete di fatto una seconda volta tutte le rubriche, con qualche aggiunta ed errore di numerazione), sia per la presenza nella parte finale del trattato di una serie di ‘regole’ che illustrano alcuni accidenti in cui il cavallo incorre (le ultime delle quali, per esempio, riguardano i cavalli ammalati: «Lo cavallo ch’àe lo dolore nel corpo», «Lo cavallo ch’àe enfiato l’enteriore», «Lo caval-lo ch’àe l’enfermità della cimora»). Al termine di questa enumerazione, l’amanuense si sottoscrive (f. 30vA): «Iste liber est Cracasonis Diucii quon-dam domini Carcasonis de Feranaldis de Arecio», che purtroppo – a quanto pare – non ha lascito altre testimonianze scritte. La stessa mano, dopo la sot-toscrizione, prosegue trascrivendo un breve trattato di «medicina e domamen-to de tutti gli ucelli rapaci» (f. 30vB), che ad un primo sondaggio del tesdomamen-to,

29 La famiglia Benci era un’importante casata fiorentina di mercanti, logicamente

alquanto interessata a gestire e tutelare al meglio quello che di fatto doveva costituire il proprio ‘capitale equestre’. Su Giovanni d’Amerigo Benci, si veda G. Tanturli, I Benci copisti, «Studi di filologia italiana» 36, 1978, 197-313: 198-199 n. 2.

30 Nella rubrica contenente la datazione, si legge: «in Casteglione». Si tratta forse

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pare essere diverso dal Trattato sugli sparvieri che si trova conservato nel codice Strozziano 184 (cfr. Appendice nr. 2).

Anche gli altri due testimoni di questa seconda ‘categoria’ di manoscritti, dalle finalità appunto essenzialmente pratiche, ossia il Gaddiano reliqui 202 e il Palatino 744, recano – come il codice Strozziano poc’anzi ricordato – una versione dell’opera ben individuata e, per così dire, piuttosto lineare nel suo svolgimento testuale.

Il codice Gaddiano (cfr. Appendice nr. 1), membranaceo, ascrivibile al primo quarto del Trecento e probabilmente proveniente dall’Italia centro-meridionale, è caratterizzato dalla presenza di una prefazione al prologo dell’opera in versi, che di fatto, per lo meno tra i codici fiorentini – antiquio-res e no –, lo rende un unicum. Nella rubrica che introduce la prefazione, si legge: «Incipit liber Iordano de l’Amantèa / sci so’ clamato / et dentro na Ca-labria fuy nato»; mentre il testo della prefazione stessa inizia con una classica invocazione divina: «Christo Singnore / Patre omnipotente / Rege creatore / de la humana gente». Ma l’aspetto più singolare di questo testimone è rappre-sentato proprio dalla patina linguistica, che da una parte mostra dei fenomeni chiaramente riconducibili ad area centro-meridionale, dall’altra invece reca delle forme tipicamente toscane. Alla categoria delle forme centro-meridionali appartengono sicuramente gli esiti a lu usu, granni e ço (Tav. I, rispettivamente ll. 5, 7 e 15). Infatti, per l’articolo maschile singolare lo (che deriva ovviamente dall’antico pronome dimostrativo ille), il Meridione (come anche il còrso) ricorre di preferenza alla forma lu, ben attestata nel manoscrit-to, anche se non prevalente rispetto all’esito toscano. Inoltre, sono molto fre-quenti le uscite in -u, come in cavallu (sebbene la forma più ricorrente sembri essere cavallo), cancru, spinu, ossu, oppure pectu, oculu, cornu (ma in alcuni casi si tratta appunto di evidenti latinismi). La forma granni (-e, anche alla Tav. II, l. 2), provocata dall’assimilazione del nesso consonantico nd in posi-zione media, risulta ampiamente documentata nel Mezzogiorno e in partico-lare nel dialetto romanesco31. Molto interessante è anche la forma ço (che sta ovviamente per ciò), presente, oltre che nel napoletano, anche nel dialetto ca-labrese. E gli esempi in questa direzione potrebbero naturalmente continuare. Ma come si può vedere anche a colpo d’occhio (Tavv. I e II), il manoscritto reca dei fenomeni grafici (e non solo) tipicamente toscani, quali ad esempio il raddoppiamento fonosintattico (Tav. I, l. 8 si sseparo; Tav. II, l. 8 ke ssia, l. 14 ke ll’aqua) e la presenza piuttosto sostenuta del grafema k in luogo del ch

31 Cfr. A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, 1, Introduzione,

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(ampiamente attestato in Toscana fin dai più antichi documenti)32. Inoltre, affiorano anche alcune tipiche sonorizzazioni (si veda, per esempio, la forma

fatiga, alla Tav. II, l. 2), che sembrerebbero suggerire una provenienza del codice dalla Toscana occidentale33. Questo per dire che le numerose occor-renze delle -u finali di parola, che in effetti pullulano all’interno del codice, potrebbero anche risultare, ad un esame linguistico più approfondito, come il frutto di una generica imitazione o l’influsso da parte di un antigrafo marca-tamente meridionale. Se questo risultasse vero, il luogo di copia di questo te-stimone Laurenziano andrebbe chiaramente ricondotto ad area toscana.

Il Palatino 744 (cfr. Appendice nr. 6), membranaceo, scritto probabilmente a Pisa nel secondo quarto del secolo XIV, mostra la stessa struttura testuale del codice Magliabechiano XV.180, contenente cioè, in chiusura del trattato, una serie di ‘regole’ che descrivono alcuni accidenti del cavallo, come quelle che nel cap. XXVI della rimaneggiata edizione Veneziana del 1561 (uscita per i tipi di Rutilio Borgominiero) sono definite per «conoscere i cavalli quando sono ammalati»34. Si tratta in questo caso di sette avvertimenti (piut-tosto che di ‘regole’) – alcuni dei quali già ricordati – che illustrano altrettan-te patologie, in gran paraltrettan-te molto gravi e talvolta letali. Eccone qualche esem-pio: «Il cavallo che ha dolori nel corpo et ha le orecchie fredde e le nari e gli occhi cavati nella testa, mezzo vivo si giudica et è vicino alla morte»; oppure: «Il cavallo che ha il mal dello sforato, che butta sterco continuamente liquido, che quasi niente gli rimane in corpo, se non trova infonditura, si giudica mor-to»; in fine: «Il cavallo che ha gli stranguglioni, e con gravezza e suono di nari e del gozzo et è enfiato e grosso, se camparà sarà miracolo». Dopo il co-lophon, che si presenta piuttosto esteso, nella forma comunque comune a molti altri testimoni35, si trovano anche due rimedî: un «Unguento forte,

buo-32 Numerosi esempi si possono vedere scorrendo le tavole pubblicate in I mano-scritti della letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, a cura di S. Bertelli, Firenze 2002 («Biblioteche e Archivi», 11).

33 Cfr. A. Castellani, Pisano e lucchese, «Studi linguistici italiani» 5, 1965, 97-135

[poi in Id., Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), 1, Roma 1980, 283-326: 302].

34 Cfr. Crupi, Ruffo. Mascalcia, 50.

35 Ai ff. 66v-67r: «Questo libro compuose con grande studio uno cavalieri di

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Im-no et provatissimo per sanare li cancri et fistule», e l’altro per il «cavallo fe-roce» (quest’ultimo decisamente più interessante e più raro nei codici rispetto al precedente), entrambi legati alla Mascalcia di Giordano Ruffo da una ru-brica finale: «Explicit liber Mariscalcie equorum» (f. 67v).

Emerge dunque un panorama alquanto variegato e complesso, che richie-derebbe ovviamente una visione e una conoscenza più approfondita dei te-stimoni e della loro ricezione, per poter valorizzare al meglio un’opera di grande importanza per tutta la letteratura scientifica in àmbito volgare, per precisarne il senso della sua ampia diffusione, per chiarirne i legami che vin-colano la Mascalcia di Giordano Ruffo ad altri testi, per arrivare – insomma – a comprendere il significato di un’opera che, nonostante la sua straordinaria fortuna, non ha mai incontrato il favore degli studiosi.

Appendice

Descrizione dei codici36

1. BML,Gaddiano rel.202

(Italia meridionale, sec. XIV primo quarto) [Tavv. I-II]

GIORDANO RUFFO DI CALABRIA, Mascalcia (ff. 2r-70v), mutilo; precede il prologo in versi (f. 1r-v). Inc.: (rubrica al prol.) «Incipit liber Iordano de l’Amantea, sci so’ clamato, et dentro na Calabria fuy nato»; (prol.) «Christo singnore, Patre omnipotente, Rege creatore, de la humana gente»; (rubrica al testo) «Incipit liber Merescalsie domini Iordani Rufi militis de Calabria»; (te-sto) «Con ce ssia cosa ké inter tucte le altre bestie create da Deu, e ssugecte alu usu de la humana generatione, nulla bestia sia plu nobile ke lo cavallo»; expl.: (cap. LXIV, de la serca) «Deiase fare uno unguento in tale modo de cera unça II, de sevo de montone unçe IIII».

Membr.; ff. III, 70, V’; fasc.: 1-88, 96*; richiami variamente ornati e toc-cati di giallo o di rosso (quello del fasc. 6, in forma di pesce; quello del fasc. 7, raffigura la testa di un uomo); mm 170 ! 121 = 12 [123] 35 ! 16 [78] 27; rr. 23/ll. 22; rigatura a inchiostro. Scrittura: littera textualis; sporadiche note

peradore per grande tempo dimor[...] in s[ua] corte» (il supporto danneggiato dai tarli rende alcune parole non intelligibili).

36 La bibliografia dei codici è in questa sede offerta in forma necessariamente

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di due mani del sec. XV; rare indicazioni di nota. Iniziale grande bipartita rossa e azzurra filigranata al f. 2r; iniziale grande azzurra filigranata al f. 1r; iniziali medie rosse, talvolta brevemente ornate; rubriche; maiuscole toccate di giallo; segni paragrafali rossi; segni riempitivi ed indicazioni dei capitoli (in numeri romani) in rosso; al f. 2v, al centro del margine esterno, un dise-gno a penna rappresentante un busto di giovane donna; letterine maiuscole variamente ornate. Legatura moderna in pergamena semifloscia (molto allen-tata). I ff. 51-70 sono stati gravemente colpiti da un principio di incendio, che ha provocato una parziale perdita di testo (ai ff. 62-70); diffuse macchie di umidità, che nei fogli iniziali ha provocato la caduta dell’inchiostro, com-promettendo seriamente la corretta interpretazione del testo; buchi e strappi al supporto (ricuciti ab antiquo); alcuni fogli sono allentanti dalla legatura; all’interno della legatura si nota che i fascicoli furono rinforzati con strisce pergamenacee (visibili alcune tracce di scrittura).

Al f. Ir, verso l’angolo superiore sinistro, l’indicazione di mano moderna di una precedente segnatura gaddiana: «G[addi] 1028»(ripetuta al centro del margine superiore della coperta anteriore sotto all’indicazione di un altro numero, «1026», depennato in quanto evidentemente errato). Sempre al f. Ir, nell’angolo superiore destro, l’indicazione della stessa mano moderna di una precedente segnatura magliabechiana: «D»(con segno abbreviativo al centro della lettera) «101»; poco sotto, a matita di altra mano, l’indicazione del con-tenuto e quella della classe magliabechiana di appartenenza: «XV» (cfr. Ca-talogo dei manoscritti Magliabechiani, V, 141). Al centro della controguardia anteriore, una cedolina cartacea con l’indicazione: «Francisci Caesaris Augu-sti munificentia»(Francesco Stefano di Lorena, 1708-1765). Il codice passò alla Biblioteca Laurenziana in seguito alla morte del Targioni (1783), quando Angelo Maria Bandini reclamò da Ferdinando Fossi (successore del Targioni alla Magliabechiana) un numero elevato di codici già provenienti dalla Bi-blioteca Mediceo-Lotaringica-Palatina (passata in blocco alla Magliabechia-na), ottenendo 316 manoscritti, insieme ai quali riuscì ad avere anche 235 Gaddiani e 37 Biscioniani (quest’ultimi, detti Biscioni secondi, vennero ag-giunti ai 73 codici già passati nel 1756 alla Laurenziana, per i quali cfr. Gre-co, Biscioni primi, 10-21; su tutta la vicenda, cfr. Schiavotti Morena, Mano-scritti Biscioni, 430-433).

Bibl.: Bandini, Supplementum, 2, coll. 198-199; Pintaudi-Tesi-Fantoni, Bandini. Princìpi e progressi, 265; Crupi, Ruffo. Mascalcia, 144.

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2.BML,Strozzi183

(Pisa, sec. XIII ex.) [Tavv. III-IV]

GIORDANO RUFFO DI CALABRIA, Mascalcia (ff. 1vA-40rB), precede il prologo (f. 1rA-B). Inc.: (rubrica al prol.) «Incipit liber Marischie equorum»; (prol.) «Cum ciò sia cosa ché intra tutti li animali dal Somo Operatore creati manifestamente a l’uso de l’humana generatione senso nessuno meço sugecti, neuno animale sia più nobile che cavello»; (rubrica al testo) «De le creatione (e) de le na[ti]vitate delli cavalli»; (testo) «Imprimeramente scrivendo dico de la creatione (e) de la nativitate che imprima lo cavallo de’ essere ingenerato da lo guarangno».

Membr.; ff. VI, 40 (44)*, V’; numerazione antica in cifre arabiche, sul

recto, nell’angolo superiore destro dei fogli (con diverse correzioni); fasc.: 1-58; richiami incorniciati di rosso; mm 250

! 162 = 20 [190] 40 ! 20 [50 (14)

50] 28; rr. 32/ll. 32; rigatura a secco. Scrittura: littera textualis; di mano coe-va o di poco posteriore la numerazione dei capitoli; prove di penna ai ff. 41v-42v. Iniziale grande azzurra filigranata al f. 1r; iniziali medie rosse e azzurre alternate e variamente filigranate; rubriche; iniziali piccole rosse; rare maiu-scole toccate di rosso; segni riempitivi in rosso. Legatura moderna in perga-mena semifloscia; dorso in cuoio molto danneggiato.

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Bibl.: Bandini, Supplementum, 2, coll. 590-591; Crupi, Ruffo. Mascalcia, 145 (cit. err.).

* I ff. I’-IV’, membr. ant., numerati 41-44.

** Per il quale, si veda Tanturli, Benci copisti, 198-199 n. 2.

3. BML,Strozzi184

(Toscana, sec. XIV primo quarto) [Tav. V]

1.GIORDANO RUFFO DI CALABRIA, Mascalcia (ff. 1rB-36rB), precede il prologo (f. 1rA-B). Inc.: (rubrica al prol.) «Incomincia lo libro de la Mali-skalcharia de’ cavalli composto da lo ’peradore»; (prol.) «Con ciò se cosa ché intra l’altre bestie (e) animali. Sappie ke lo ’mperatore (e) lo maestro ke ’l fece (e) evidentemente el trovò posto al viso de l’humana generaçione. Sap-pie ke neuno animale ne altra bestia sia tantto gentile come elliè lo cavallo»; (rubrica al testo) «Del nascimento del cavallo anco è da vedere»; (testo) «In-prima de la creatione del cavallo (e) de la sua nativitade scrivo. Dico ke lo cavallo imprima die essare igienerato allo stallone»

2. Rimedio contro la scabbia (f. 36vA-B). Inc.: «Pigla cera rossa oncie tre»

3. Pratica dei cavalli (ff. 36vB-58rA). Inc.: (rubrica) «Incomincia la prati-ca de’ prati-cavalli, ad operare loro cure in loro malitie»; (testo) «[A] sanare la piagha. Fa unguento d’olio, aceto mele, grascia vechia, sale, savone, et ogne cosa mesta insieme»

4. Libro degli esperimenti e delle cure dei cavalli (ff. 58rA-68rB). Inc.: (rubrica) «Incomincia lo libro del medicamento de’ cavalli. Imprima ad uci-dare li vermi»; (testo) «[I]n nomine Patris (et) Filii (et) Spiritus Sancti. A-men. Al nome del nostro signore Iesu Christo occidiamo questo verme ke noi avemo trovato»

5. Trattato sugli sparvieri (ff. 68vB-72rA), precede il prologo (f. 68vA-B). Inc.: (rubrica al prol.) «Incomincia el libro delli sparvieri, composto a petitio-ne di domino lo ’peradore Frederigo (e) fu translatato di greco in latino»; (prol.) «[I]Nn ebreo caldeo et Appollonio magiore. In greco Alexandro ma-giore (e) Machabeo. In latino traslatato per parole di Tholomeo imperadore delli egypti»; (rubrica al testo) «Questo è lo’ncominciamento dele medicine dello sparviere. Et di tucti li altri sparvieri ed ucelli di quelli ke sopraprendo-no. Et di ciascheduno diremo la sua progenie et la sua qualità. Capitulo primo dello sparviere, come si die nutricare (e) guardare»; (testo) «Dicemo se sa-ranno pulcini, né troppo caldi né troppo freddi, siano guardati».

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1-98; richiami, talvolta variamente incorniciati e toccati di rosso; mm 222 ! 161

= 13 [175] 34 ! 18 [55 (11) 55] 22; rr. 35/ll. 34; rigatura a secco. Scrittura: littera textualis; rare correzioni ed integrazioni di mano del copista; segni di nota. Iniziali medie rosse e azzurre alternate, talvolta brevemente ornate; ini-ziali piccole rosse e azzurre alternate; rubriche; maiuscole toccate di rosso; segni paragrafali rossi e azzurri alternati, talvolta brevemente ornati; letterine maiuscole variamente ornate; spazi riservati per le iniziali grandi ai ff. 1r (forse preparata per ricevere una decorazione), 7v, 8v (forse preparata per ri-cevere una decorazione), 34r, 36v e 58r; spazio riservato per due iniziali me-die al f. 32r; sporadiche indicazioni per il rubricatore di mano del copista. Legatura antica in cartone ricoperto in marocchino bruno con decorazioni do-rate (cornici e fregi arabescati). Diffuse macchie di umidità e cadute di in-chiostro, anche con perdita di testo; al f. 63v, una macchia di umidità e una voluta cancellazione per inchiostramento impediscono la lettura di undici li-nee di scrittura.

Al f. 72rB, di mano corsiva coeva o di poco posteriore a quella del testo, un rimedio in latino (inc.: «Ad curandum schinellam»). Al f. 72v, di altra ma-no corsiva di poco posteriore, una ricetta in latima-no (inc.: «Unguentum ad omnia plaga»), e la nota: «Iste liber est Bartholomeis marescalchis. Deo gra-tias. Amen». Sempre al f. 72v, di mano recenziore (ma ancora trecentesca), alcune annotazioni e un nome: «Simone». Appartenne alla nobildonna mas-sese Eleonora Cibo (Massa Carrara 1523-Firenze 1594; al centro del piatto anteriore, la scritta «LEO/NORA/CIBO», al centro del piatto posteriore «BA/SSV/S»)*. Al f. 1r, al centro del margine superiore, l’indicazione di ma-no moderna di due precedenti segnature strozziane: «N° 4» (depennata) e «633». Il codice è passato alla Biblioteca Laurenziana nel 1785 (per ulteriori informazioni, si veda quanto detto alla scheda precedente).

Bibl.: Bandini, Supplementum, 2, coll. 591-593; Amanti del libro, 22; Crupi, Ruf-fo. Mascalcia, 145.

* Lo stesso tipo di legatura – opera attribuibile al legatore vaticano Niccolò

Fran-zese (attivo fin verso il 1570 ca.) – protegge il ms. Strozzi 88 (sec. XII e XIII), conte-nente varî opuscoli di natura medica (cfr. Amanti del libro, 22 e fig. 14).

4. BNC,Magliabechiano XV.180 (Toscana), 1319 [Tav. VI]

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anima-le ne altra bestia non è tanto gentianima-le come lo cavallo»; (rubrica al testo): «Del nascimento del cavallo»; (testo): «Et imperciò è da vedere e da conoscere imprima de la creatione e del nascimento del cavallo. E di po’ questo dovemo vedere de l’aprendimento e del domamento. Terço de la guardia e de l’amaestramento. Quarto di conoscere la belleçça del corpo e de le membra e de la sua factura. Quinto de le infermitadi sue e quali sieno dette e siano utili e buone»

2. Trattato sugli sparvieri (ff. 30vB-32vB). Inc.: (rubrica al prol.) «Qui comincia la medicina e domamento de tutti gli ucelli rapaci»; (prol.) «Teodo-sio imperadore grandissimo e g[lo]rio«Teodo-sio, magnifico spagnolo medico mio famigliare, la questione a la grandeçça o al deletamento proposto avegna che in qua dietro non si trovi scrito, ma io la trovay magiormente, ch’io la presi resplendiente savere e sotilitate facesse alquanto de ucielli»; (rubrica al testo) «Del domamento de lo sparviere»; (testo) «Se tu voli domare lo sparaviere incontanente che tu l’ài preso, legalo presso al fantino della culla per 3 dì a ciò he si domi più tosto».

Membr.; ff. II, 32, I’ (f. II palinsesto, con tracce di scrittura latina); fasc.: 1-48; richiami; mm 247 ! 167 = 15 [200] 32 ! 15 [58 (10) 60] 24 (f. 6r); rr.

37/ll. 36 (f. 6r); rigatura mista a secco e a piombo. Scrittura: littera textualis, con forti oscillazioni nel modulo e nella cura formale; rare correzioni interli-neari della stessa mano del testo; al f. 32vB, di mano del sec. XV: «Expricit liber mascalciarum». Iniziale rubricata grande colorata di rosso e di giallo al f. 1r; iniziali rosse variamente ornate; iniziali rosse; rubriche; rare maiuscole tratteggiate di rosso. Legatura moderna di restauro in cartone colorato, dorso ricoperto in pergamena.

Al f. 1r, margine superiore, sottoscrizione di mano del copista: «Questo ene lo libro de la Marischalcharia de’ cavalli secondo el buon Giordano. Scritto negli anni Domini M°CCC19 in Casteglione a[…]. Amen». Al f. 30vA, sempre di mano del copista, altra sottoscrizione: «Iste liber est Craca-sonis Diucij quondam domini CarcaCraca-sonis de Feranaldis de Arecio, fidei (et) veritatis anime (?)».

(28)

Bibl.: Catalogo codici Libreria Strozziana, 1, 328; Bertelli, Manoscritti delle Ori-gini, 133-134 nr. 76 e fig. 98.

5.BNC,Nuove Accessioni424 Orvieto, 1337 settembre [Tav. VII]

Tavola (ff. 1v-2v)

1. GIORDANO RUFFO DI CALABRIA, Mascalcia (ff. 3r-49v). Inc.: (rubrica) «Del verme. I.»; (testo) «Una infermità accidentale sì è la quale volgarmente si chiama verme, e cominciasi nel pecto del chavallo overo intra le coscie in-torno a’ colglioni»

2. Salve Regina (f. 50r), in latino.

Membr.; ff. II, 50, II' (bianco f. 1r)*; fasc.: 12, 2-78; richiami tratteggiati di rosso; mm 220 ! 160 = 20 [150] 50 ! 22 [108] 30; rr. 21/ll. 20; rigatura a

piombo. Scrittura: bastarda su base cancelleresca**; rare correzioni interlinea-ri di mano del copista; estese note marginali di mano coeva, che al f. 50r, do-po il Salve Regina, scrive alcuni rimedî per i cavalli***; al f. Ir, l’indicazione di mano moderna del contenuto. Iniziali ornate grandi in oro ai ff. 3r (con fregio) e 45v (entrambe forse di aggiunta successiva); iniziali filigranate me-die rosse e azzurre alternate; iniziali piccole rosse e azzurre alternate (tavola); rubriche. Legatura moderna in pelle verde con tagli dorati.

Stato di conservazione: il supporto, nell’angolo superiore esterno della maggior parte dei fogli, è stato sistematicamente asportato e sostituito, ab an-tiquo, con altro materiale pergamenaceo; alcuni fogli sono colpiti da umidità. Al f. 49v, di mano del copista, la sottoscrizione: «Et Ego magister Iohan-ninus filius domini Cabrini de Abunda de Bononia publicus imperiali auctori-tate notarius scripsi mea propria manu in civiauctori-tate Urbisveteris sub annis Do-mini millessimo CCC° trigesimo septimo, indictione quinta, tempore sanctis-simi patris nostri pape Benedicti duodecimi, diebus septembris».

Al f. 49v, una nota di possesso di mano moderna (forse cinquecentesca): «Questo libro […] Antonio» (quasi completamente erasa). Acquistato nel 1915 dalla libreria antiquaria Vittorio Forti di Firenze. Sulla controguardia anteriore, il cartellino dell’attuale collocazione (presente anche sul dorso). Su entrambi i piatti, stemma in oro (non identificato), col motto: «Intaminatis fulget honoribus».

Bibl.: Catalogo Nuovi Acquisti, 1, 175; BNCF, Bollettino 1915, XXXIIII;Bertelli,

Manoscritti delle Origini, 150 nr. 103 e fig. 132.

* Tra la controguardia anteriore e f. I, è stata inserita una cedolina cartacea

(29)

** Al f. 3r, sul margine inferiore, della stessa mano del testo ma di modulo più

pic-colo: «Sperimento provato contra lo verme»; al f. 49v, sempre di mano del copista: «Ego enim sum minimus omnium appostullorum qui non sum dignus vocari appostu-lus»(Epistola Pauli ad Corinthios I cap. XV).

*** «A chavallo che ssi gratta la coda»; «A fare crescere l’unghia»; «A setola»;

«Alla schinella».

6.BNC,Palatino744

(Pisa, sec. XIV secondo quarto) [Tav. VIII]

1. GIORDANO RUFFO DI CALABRIA, Mascalcia (ff. 1r-67r), precede il pro-logo (f. 1r), lacunoso. Inc.: (rubrica al prol.) «Incipit liber Mariscalcie equo-rum»; (prol.) «Con ciò sia cosa ché intra tutti li animali creati da l’Altissimo maestro creatore di tucte le cose, li quali siano soptoposti all’umana genera-tione, nullo animale sia più nobile del cavallo»; (rubrica al testo) «Cap(itolo). I.»; (testo) «Inprimamente è da vedere del creamento [la?] (e) de la nativitade de lo cavallo, segondo come si debbia piglare et domare. Terso de la guardia (e) de la doctrina, lo quarto de lo conoscimento di li membri del corpo (e) de la bellessa de le facture de lo cavallo. Quinto de le infirmitade suoi cusì acci-dentale come naturale. Sexto de le medicine et de li rimedii che vagliano con-tra le dicte infirmitade»

2. Rimedî per cavalli (f. 67r-v). Inc.: (rubrica) «Unguento da rongna»; (te-sto): «Unguento forte buono (e) provatissimo per sanare li cancri et fistule (e) prudure (e) ongna maniera da rongna».

Membr.; ff. II, 66, II’; numerazione antica in cifre arabiche, sul recto, nell’angolo superiore destro dei fogli, da 1 a 67 (da 7 passa a 9, denunciando così la caduta di f. 8); fasc.: 18, 210, 38, 412, 510, 68, 710*; richiami incorniciati, talvolta toccati di rosso; mm 184 ! 132 = 18 [130] 36 ! 18 [92] 22 (f. 13r); rr.

24/ll. 23; rigatura a secco con tracce di colore. Scrittura: littera textualis; rare note e integrazioni di mano del copista. Iniziali rubricate rosse; rubriche; maiuscole toccate di rosso; letterine maiuscole variamente ornate; spazio ri-servato per un’iniziale grande al f. 1r. Legatura moderna in cartone, con piatti marmorizzati; dorso in pergamena.

Al f. 67v, nota di possesso: «Di Bastiano di Antonio Palmieri. 1630». Sul dorso, una cedolina cartaceo con l’indicazione di una precedente segnatura: «26».

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* Al fasc. 1, caduti il secondo (ab antiquo, poiché la numerazione – forse ancora

trecentesca – non computa tale caduta) e il penultimo foglio (caduto conseguentemen-te in un secondo conseguentemen-tempo, appunto dopo la numerazione dei fogli).

Abbreviazioni bibliografiche

Amanti del libro = Le amanti del libro. Catalogo della Mostra tenutasi a Milano, Ca-stello Sforzesco, Sala del tesoro, 26 marzo-18 aprile 1999, a cura di R. Farina, [Milano] 1999.

Bandini, Supplementum = A. M. Bandini, Catalogus codicum manuscriptorum Biblio-thecae Mediceae-Laurentianae. Supplementum, 1-3, Florentiae 1791-1793. Bertelli, Manoscritti delle Origini = I manoscritti della letteratura italiana delle

Ori-gini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, a cura di S. Bertelli, Firenze 2002 («Biblioteche e Archivi», 11).

BNCF, Bollettino = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Bollettinodelle pubbli-cazioni italiane ricevute per diritto di stampa, n. 175 (luglio 1915), XXXIIII.

Catalogo codici Libreria Strozziana = Catalogo dei codici della Libreria Strozziana comprati dopo la morte di Alessandro Strozzi da S. A. R. Pietro Leopoldo Gran-duca di Toscana e passati alla Pubblica Libreria Magliabechiana, compilato dal bibliotecario F. Fossi nel 1789 e trascritto da A. Montelatici secondo aiuto de’ cu-stodi di questa libreria, 1-2 (ripr. fotografica: BNCF, Sala manoscritti, cat. 45).

Catalogo dei manoscritti Magliabechiani = Catalogo generale dei manoscritti Ma-gliabechiani, a cura di G. Targioni Tozzetti, 1-11 (ripr. fotografica: BNCF, Sala manoscritti, cat. 45).

Catalogo Nuovi Acquisti = Catalogo di nuovi Acquisti e Accessioni della Biblioteca Nazionale, 1-4 (ripr. fotografica: BNCF, Sala manoscritti, cat. 72).

Codici Palatini = I codici Palatini della R. Bilioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di L. Gentile, 1-2, Roma 1885-1890 («Indici e Cataloghi», 4).

Crupi, Ruffo. Mascalcia = Giordano Ruffo, Libro della Mascalcia, a cura di P. Crupi, con una nota bibliografica di F. Russo, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2002 («Clas-sici della letteratura calabrese») [il vol. ripropone l’edizione veneziana del 1561, uscita per i tipi di Rutilio Borgominiero, che presenta una versione profondamente rimaneggiata dell’opera di Ruffo, con numerosi inserimenti di ricette per altri a-nimali e di testi di natura astrologica e apotropaica].

Greco, Biscioni primi = D. Greco, I manoscritti «Biscioni primi», «Accademie e Bi-blioteche d’Italia» 59, 1991, 10-21.

(31)

Schiavotti Morena, Manoscritti Biscioni = M. Schiavotti Morena, I manoscritti «Bi-scioni» dalla Magliabechiana alla Laurenziana, «Accademie e Biblioteche d’Italia» 46, 1978, 430-433.

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Referensi

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