Lig. piem. babi, tosc. babbo
di Mario Alinei
Ho presentato altrove (Alinei 1987) l'ipotesi che il lig., piem. e franc. mer. babi "rospo" derivi dal lat. *abavius, da abavus
"antenato". Riassumo qui i principali argomenti, prima di procedere ad illustrare la seconda ipotesi: che il toscano (e corso) babbo abbia la stessa origine.
La i finale di babi non lascia dubbi sulla presenza di una sillaba finale in Latino, successiva alla i, ciò che equivale a dire che prima della caduta di detta sillaba babi in origine era parola proparossitona. Questa sillaba può essere la semplice u(s), formando quindi un iu(s) bisillabico, o costituto da i + cons. + u(s). La regola che ci permette di risolvere questa prima parte del problema è la seguente1: nelle parole proparossitone, la sillaba finale tende a
cadere, dando origine a a parossitone. Se la sillaba mediana finisce in i, e la sillaba finale inizia in consonante, la vocale finale secondaria può essere i (come in mani manico, stomi stom(i)co, tèvi tiepido, erpi erpice, persi persico, previ prevete ecc.; o o (come in asu asino, termu termine, kèrpu carpine, frasu frassino, toso tossico: se invece la u finale segue immediatamente i, la sua caduta avviene prima che la consonante precedente possa formare gruppo con la j e palatalizzarsi, e la i finale resta (Rohlfs §273): piemontese òrdi, ticinese ördi < hordeum, mil albi, piem. arbi < alveus; e cfr. lomb. oli olio, odi odio, stüdi studio dübbi dubbio, conili coniglio, spazzi spazio, soci socio, nibbi nibbio, navili naviglio, Orazzi Orazio, kribi crivello, piem. sibi, emil sübi subbio, toponimi lomb. Intröbi Introbbio, piem. Cüni Cuneo, piem. Cöri Corio, emil. Mnirbi Minerbio. Chiaramente, là dove troviamo un'altra vocale invece della i finale di sillaba, si tratta di uno sviluppo secondario; là dove troviamo una i, come in babi, abbiamo a che fare con una i primaria. Conclusione provvisoria per la prima
1. La regola si lascia ricostruire sulla base delle indicazioni,
astrutturali e quindi sconnesse, fornite da Rohlfs (per es. §148 e § 273).
parte del problema: dobbiamo partire da una forma romanza babiu o babi(?)us, dove la (?) indica una consonante.
In seconda analisi, tuttavia, il tipo ligure affine bagiu e simili, ci assicura che il gruppi biu era primario. Possiamo quindi concludere per quanto riguarda il primo problema: la forma romanza era babiu.
Se passiamo al secondo problema, la b mediana, essa può
derivare dal gruppo bj stesso (dübi, sibi ecc.) ma molto spesso da vj: come ant. mil zobia, jovia, Fibbio affluente dell'Adda in prov. di Bergamo, Carrobbio (Mantova) quadruvium, lomb. Trebbio Trivium, emil. Bebbio Bivium, oltre che i già visti albi arbi alves. Se si utilizza vj si ottiene bavius, e allora è difficile resistere alla tentazione di postulare, per l'animale che si chiama anche lola, da illa avula in Liguria e Emilia, abavius, "antenuato" nel quadro delle diffusione degli zoonimi parentelari.
Accettata questa etimologia di babi, bagiu, e ricostruito un termine parentelare di tipo affettivo, tale cioè da essere usato a scopo ingraziatorio per l'animale tabuizzato, mi chiedo allora se nel tipo parentelare abavius non possa essere cercata la base di babbo. L'etimologia correnbte è quella della duplicazione affettiva, ma questa è una di quelle tesi che io chiamo concettualmente "vuote", cioè fatte senza molta riflessione. Il bambino duplica le sillabe delle parole che ha sentito pronunciare dagli adulti, quando è capace di "significare". Soltanto nella fase precedente la duplicazione può avvenire a caso. Anche mamma non è una duplicazione arbitraria, ma la duplicazione di mater, così come il fr. papa lo è di pater, e i
dialettali zizi lo sono di zio, ecc. Nel nostro caso, non abbiamo una duplicazione pura e semplice, che sarebbe baba, o babba, ma un
secondo luogo potremmo semplicemente spiegare la seconda parte di babbo, partendo da abavius, così come spieghiamo tosc. debbo da debeo, atosc. abbo per habeo.