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ArNoS

ARCHIVIO NORMANNO-SVEVO

Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII

del Centro Europeo di Studi Normanni

Texts and Studies in Euro-Mediterranean World during XIth-XIIIth Centuries

of Centro Europeo di Studi Normanni

2 2009

Miscellanea Giovanni Orlandi

Autori, redazioni, trasmissioni, ricezione.

I problemi editoriali delle raccolte di dictamina di epoca sveva e dell'epistolario di Pier della Vigna

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Finito di stampare nel dicembre 2010

ArNoS

ARCHIVIO NORMANNO-SVEVO

Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII

del Centro Europeo di Studi Normanni

COMITATO SCIENTIFICO

G. Arnaldi, Th. Asbridge, P. Bouet, M. Caravale, G. Coppola, M. D’Onofrio, H. Enzensberger, S. Fodale, C.D. Fonseca, J. France, G. Galasso, V. Gazeau, E.C. van Houts, Th. Kölzer, C. Leonardi (†), O. Limone, G.A. Loud, J.M. Martin, E. Mazzarese Fardella, F. Neveux, M. Oldoni, A. Paravicini Bagliani, A. Romano, V. Sivo, W. Stürner, A.L. Trombetti, H. Takayama, S. Tramontana

REDAZIONE

L. Russo, T. De Angelis

COMITATO DI DIREZIONE

A. Cernigliaro, E. Cuozzo, E. D’Angelo, O. Zecchino

Editrice Il Girasole Napoli

info@editriceilgirasole.it

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1Sulla sua vita cfr. soprattutto J.L.A. HUILLARD-BRÉHOLLES,Vie et correspondance

de Pierre de la Vigne, Paris 1865; H.M. SCHALLER, Della Vigna Pietro, in

Dizio-nario Biografico degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 776-784; F. DELLE

DONNE, Nobiltà minore e amministrazione nel Regno di Federico II. Sulle origini

e sui genitori di Pier della Vigna, «Archivio Storico per le Province Napoletane» 116, 1998, pp. 1-9.

AUTORI, REDAZIONI, TRASMISSIONI, RICEZIONE. I PROBLEMI EDITORIALI DELLE RACCOLTE DI DICTAMINA DI

EPOCA SVEVA E DELL’EPISTOLARIO DI PIER DELLA VIGNA

FULVIODELLEDONNE

Tra le fonti relative all’età di Federico II di Svevia e dei suoi successori al trono del Regno di Sicilia, un ruolo di preminente importanza va attri-buito, senz’alcun dubbio, all’epistolario di Pier della Vigna, in quanto per-mette di approfondire la conoscenza e la comprensione di quell’epoca non solo dal punto di vista istituzionale, amministrativo o politico-ideologico, ma anche da quello culturale e letterario. Tuttavia, le conoscenze che si pos-sono rica vare dai testi che esso contiene pos-sono rese piuttosto problematiche dalla loro stessa natura, ovvero dal fatto che, concepiti originariamente come epistolaedi tipo ufficiale o privato, sono stati successivamente tra-sformati in dicta mina, ovvero in modelli esemplificativi di tipo retorico-formale o argomen tativo-politico, e quindi decontestualizzati e spesso privati degli iniziali rife rimenti più contingenti. Infatti, l’epistolario di Pier della Vigna, o meglio il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna contiene circa 550 dictaminatra manifesti, mandati, epistole e documenti di vario ge-nere risalenti al periodo che va dal 1198 al 1264 e oltre: molti di essi, dun-que, sicuramente non po tettero essere scritti dal dictator capuano, che dovette entrare a far parte della cancelleria federiciana intorno al 1220 e morì all’inizio del 12491.

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al-2Cfr. H.M. SCHALLER, Zur Entstehung der sogenannten Briefsammlung des

Pe-trus de Vinea, «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters» 12, 1956, pp. 114-159 (ristampato in H.M.S., Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, Hannover 1993, pp. 225-270); H.M. SCHALLER, L’epistolario di Pier della Vigna, inPolitica e

cul-tura nell’Italia di Federico II, cur. S. Gensini, Pisa 1986, pp. 95-111 (ristampato in tedesco in SCHALLER, Stauferzeit, pp. 463-478). H.M. SCHALLER,

Handschriften-verzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea, Hannover 2002, descrive, in totale, 246 manoscritti.

3La prima edizione (contenente solo 33 lettere del libro I) venne stampata a

Ha-genau nel 1529, ed. Johannes Setzer (Secerius). Altre edizioni, complete, furono stampate a Basilea nel 1566, stampatore Paul Queck (Paulus Quecus), editore Simon Schard (Schardius); ad Amberg nel 1609, stampatore Johannes Schönfeld, editore (probabilmente) Melchior Goldast; a Basilea nel 1740, editore Johann Ru-dolf Iselin (Iselius; ristampa anastatica con introduzione di H. M. Schaller, Hilde-sheim 1991).

4Cfr. SCHALLER, Zur Entstehung, passim; SCHALLER, L’epistolario, pp. 103-105.

l’incirca, che hanno la forma di frammenti e florilegi estratti da raccolte or-dinate. Accanto a questo tipo di tradizione si pone quella non sistematica (o, più semplicemente, “stravagante”), attestata da un’altra trentina di mano -scritti, nonché da altri 80, circa, che riportano lettere singole spesso non comprese nelle raccolte sistematiche. Altri 50 manoscritti, circa, sono infine andati dispersi o distrutti in epoca moderna2.

Il motivo per cui le lettere di Pier della Vigna abbiano goduto, antica -mente, di tanta fortuna, non solo manoscritta ma anche a stampa3, risiede

non solo nel loro significato politico e quindi storico, ma anche e soprattutto nel loro particolare rilievo retorico. Non sappiamo, tuttavia, né quando, né dove l’epistolario sia stato riunito e redatto. I testi in esso contenuti presen -tano caratteristiche troppo varie per pensare che possano essere stati raccolti da destinatari, anch’essi, del resto, troppo numerosi. Le lettere, quindi, dove vano essere già inserite in registri o in quaderni, oppure dovettero es-sere riu nite da uno o più funzionari della cancelleria sveva, che, forse, di-sponevano di quel materiale per uso personale.

Il tentativo, o meglio i tentativi di raccogliere quei documenti in ma-niera più o meno sistematica, comunque, non dovettero necessariamente avere luogo nella cancelleria del regno. Anzi, in base agli studi condotti da Hans-Martin Schaller, l’ipotesi più probabile è proprio quella che un primo lavoro di redazione e codificazione sistematica sia stato compiuto negli ul-timi de cenni del Duecento presso la curia papale4, e non tanto per studiare

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5Per i caratteri e per la composizione di questa redazione cfr. SCHALLER, Zur Ent

-stehung, pp. 121-123, con l’elenco dei manoscritti; SCHALLER, L’epistolario, p.

109, dice che i codici che contengono la raccolta grande in sei libri sono 12, senza però elencarli.

6SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 129-131. 7SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 130-132,

8SCHALLER, Zur Entstehung, p. 134. Per questa redazione, come anche per le altre, i manoscritti variano il contenuto in maniera più o meno sensibile, o per lacune mec-caniche, o per interventi attribuibili al copista o all’organizzatore della raccolta. 9SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 130-131; SCHALLER, L’epistolario, pp. 108-109.

momento che l’epistolario è giunto secondo quattro tipologie di redazione sistematica ben distinte: la «grande in sei libri» (M6), tramandata da 11 co-dici, che contiene un numero massimo di 477 lettere5; la «piccola in sei

libri» (P6), che ha goduto della maggiore diffusione in quanto tramandata da circa 95 codici e che riporta in genere 366 lettere6; la «grande in cinque

libri» (M5), tramandata da 7 codici, che accoglie in genere 279 lettere7; la

«piccola in cinque libri» (P5), tramandata da 3 codici, che riunisce in genere 133 lettere8. Tutti questi gruppi sono naturalmente legati tra loro, ma non è

ancora chiaro il modo in cui essi si vennero a formare. Hans-Martin Schal-ler ha avanzato con cautela l’ipotesi che le redazioni in cinque libri siano le più antiche, e che la redazione “grande in sei libri” sia quella più recente, for matasi come un ampliamento della redazione “piccola in sei libri”, pur senza escludere del tutto il percorso inverso9.

Nelle raccolte in sei libri, le lettere di Pier della Vigna sono divise se-condo la seguente tipologie generale:

Libro I: lettere e manifesti di protesta e di polemica scritte in occasione dello scontro con il papato;

Libro II: lettere di narrazione di battaglie e di vittorie;

Libro III: lettere sulla nascita dei figli dell’imperatore; commercio epi-stolare, di argomento privato, tra Pier della Vigna e l’arcivescovo di Capua; elogi di Federico e di Pier della Vigna; lettere sullo Studium di Napoli; esor-tazioni alla fedeltà verso l’imperatore;

Libro IV: lettere consolatorie;

Libro V: lettere e mandati relativi a problemi amministrativi; Libro VI: privilegi ed esordi di privilegi.

In quest’organizzazione, spicca il fatto che il quarto libro è dedicato alle

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10Sulle consolationesmi si consenta il rimando a F. DELLEDONNE, Le

consolatio-nes del IV libro dell’epistolario di Pier della Vigna, «Vichiana» 4, 1993, pp. 268-290. 11Cfr. SCHALLER, L’epistolario, p. 107, H.M. SCHALLER, Einführungalla ristampa anastatica (Hildesheim 1991) dell’edizione Iselin (Iselius) dell’epistolario di Pier della Vigna (Basilea 1740), p. X, dove si ipotizza che la divisione in sei libri possa rimandare allo schema di organizzazione del Corpus iuris canonici (cinque libri di

Decretalese Liber sextus).

12Cfr. SCHALLER, Zur Entstehung, p. 147; SCHALLER, L’epistolario, pp. 103-105. L’ipotesi è ricordata e ampiamente ridiscussa anche in B. GRÉVIN, Rhétorique du

pouvoir médiéval. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage po-litique européen XIIIe-XIVesiècle, Roma 2008, pp. 65-120.

13Cfr. NICOLA DAROCCA, Epistolae, ed. F. Delle Donne, Firenze 2003, pp. LXXX-LXXXII; F. DELLEDONNE, Una costellazione di epistolari del XIII secolo:

Tom-maso di Capua, Pier della Vigna, Nicola da Rocca, «Filologia Mediolatina» 11, 2004, pp. 143-159.

molto importanti per i dictatoresdell’epoca10; infine, che a quel nuovo libro

sia stato attribuito, per omologia con il modello o per comodità di ricerca delle epistole che interessavano, lo stesso numero d’ordine che aveva nel-l’epistolario di Tommaso di Capua11.

L’operazione di costituzione di questi epistolari dovette, in ogni caso, du rare diversi decenni, e c’è da credere che essi arrivarono alla loro più ampia diffusione solo quando vennero impiegati come strumenti finalizzati all’insegnamento e alla trasmissione delle tecniche retoriche: quindi in un’epoca anche molto successiva a quella in cui vissero gli autori a cui le lettere venivano attribuite. Questa circostanza, per un verso, spiega il fatto che la tradizione dell’epistolario di Pier della Vigna si confonde e si inter -seca con quella degli epistolari di altri dictatores, come Tommaso di Capua, oppure Trasmondo, Pietro di Blois, Riccardo da Pofi e Nicola da Rocca: non di rado, infatti, le epistole di uno si trovano nell’epistolario dell’altro. Ma, per un altro verso, rende plausibile l’ipotesi che tutti quegli epistolari furono raccolti nello stesso luogo e forse anche dalla stessa persona: come già detto, non è possibile pensare che siano state raccolte dai destinatari let-tere tanto varie e scritte nell’arco di molti decenni; e non possono essere state raccolte, ovviamente, nemmeno dai mittenti, perché non avrebbero confuso le proprie lettere con quelle scritte da altri. Molto probabilmente quel luogo – come già detto – fu la curia papale. Schaller propone l’ipotesi che a compiere quel la voro di raccolta sia stato Nicola da Rocca, dal mo-mento che, dopo aver lavo rato presso la cancelleria sveva, fino a pochi anni fa si riteneva che negli anni successivi al 1266 avesse offerto i propri ser-vigi presso la curia pa pale12. La lettura completa e approfondita delle lettere

di Nicola da Rocca, tuttavia, ha permesso di correggere quell’ipotesi13.

In-fatti, ci furono due Nicola da Rocca (zio e nipote) e non fu Nicola da Rocca

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Si-14Cfr. NICOLA DAROCCA, Epistolae, p. XX, e le lettere 57, 76, 77, 83 e 84. 15Cfr. soprattutto P. SAMBIN, Un certame dettatorio tra due notai pontifici, Roma 1955; ma si vedano anche le lettere edite in NICOLA DAROCCA, Epistolae, nn. 203

e 214, e in Una silloge epistolare della seconda metà del XIII secolo. I dictamina provenienti dall’Italia meridionale del ms. Paris,Bibl. Nat.,Lat. 8567, ed. F. Delle Donne, Firenze 2007, n. 182.

16Cfr. E. HELLER, Die Ars dictandi des Thomas von Capua, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist. Kl.», 1929, pp. 7-8; H.M. SCHALLER, Studien zur Briefsammlung des Kardinals Thomas von Capua,

«Deut-sches Archiv für Erforschung des Mittelalters» 21, 1965, pp. 407-410.

17Cfr. A. PARAVICINIBAGLIANI, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, p. 17.

18G.B. LADNER, Formularbehelfe in der Kanzlei Kaiser Friedrichs II. und die

‘Briefe des Petrus de Vinea’, «Mitteilungen des Instituts für Österreichische Ge-schichtsforschung. Ergänzungsband» 12, 1933, pp. 92-198: 150-153, parla di una collezione primitiva («Ur-Petrus de Vinea») ricavata sostanzialmente dai registri di cancelleria. Non è da escludere che alcune lettere abbiano quella origine, ma ri-sultano valide le obiezioni di SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 118-120.

19Va considerato, a questo proposito, che la notizia più antica relativa a un mano

-scritto contenente l’epistolario di Pier della Vigna è contenuta in un inventario dei codici posseduti da Pietro Peregrosso, camerario della Chiesa romana, morto nel 1295: cfr. D. WILLIMAN, Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté

d’Avignon, I, Inventaire de bibliothèques et mentions de livres dans les Archives du Vatican (1287-1420), Paris 1980, p. 105; F. CENNI, Il valore del libro ‘vecchio’ a

Siena nel XIII secolo: alcuni esempi e prime considerazioni, in Liber/Libra. Il mer

-mone Paltinerio di Monselice e che dovette lavorare anche al servizio del cardinale Giordano di Terracina14. Il cardinale Giordano di Terracina fu un

influente vicencancelliere della curia pontificia e fu anche un illustre dic-tator15. Inol tre, Giordano di Terracina appare essere il presumibile

racco-glitore delle lettere di Tommaso di Capua16. A questo punto, non appare del

tutto pere grina l’idea che sia stato sempre Giordano di Terracina a organiz-zare la rac colta anche delle lettere di Pier della Vigna, che magari gli erano state date da Nicola da Rocca senioro dal suo omonimo nipote: questo

po-trebbe spiegare non solo la confusione tra le tradizioni degli epistolari di Pier della Vigna e di Tommaso di Capua, ma anche il fatto che alcune let-tere di Nicola da Rocca siano confluite tanto nell’epistolario di Tommaso di Capua, quanto in quello di Pier della Vigna. In ogni caso, il raccoglitore delle lettere di Pier della Vigna – come già visto – non dovette riuscire a ul-timare in maniera de finitiva il suo lavoro, dato che di quell’epistolario esi-stono ben quattro rac colte sistematiche di tipo diverso. E questo potrebbe forse essere dovuto alla morte del cardinale Giordano di Terracina, avvenuta il 9 ottobre del 126917: circostanza che permetterebbe anche di datare, in

maniera più o meno ap prossimativa, una primitiva18organizzazione

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del-cato del libro manoscritto nel medioevo italiano, cur. C. Tristano - F. Cenni, Roma 2005, pp. 31-61, qui 53; inoltre, GRÉVIN, Rhétorique du pouvoir, pp. 108 e 555-556.

I manoscritti datati di cui si ha attestazione sembrano, del resto, rimandare alla curia papale: Paris, BNF, lat. 4042, contenente la redazione M6 e databile, almeno per una sua parte (pur se non quella contenente l’epistolario di Pier della Vigna), al 1294 (cfr. SCHALLER, Handschriftenverzeichnis, n. 155, p. 233); Sankt Gallen,

Stadtbibl., Vadian. Samml. 299, contenente la redazione M5 ed esemplato nel 1303 dallo scriptor papale Nicola Campellensis de Fractis (cfr. SCHALLER,

Handschriftenver zeichnis, n. 196, pp. 329-330); Paris, BNF, lat. 8563, contenente la redazione P6 e databile anteriormente al 1318 (cfr. SCHALLER,

Handschriften-verzeichnis, n. 158, p. 237-238; GRÉVIN, Rhétorique du pouvoir, pp. 510 ss.).

20Cfr. SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 124-129; SCHALLER, L’epistolario, pp. 109-110, dove viene avanzata l’ipotesi che la raccolta grande in sei libri sia stata organiz zata presso l’università di Parigi. Su tale ipotesi, tuttavia, cfr. F. DELLE

l’epistolario siano state approntate anche in altri luoghi, diversi dalla curia papale, e forse anche in ambito universitario, dove a quanto pare furono esemplati alcuni manoscritti secondo la tecnica della pecia20.

Comprendere il modo in cui tali raccolte si andarono formando costitui -sce la premessa necessaria alla preparazione di un’edizione critica, che è lo strumento imprescindibile per ogni studio che tenti di esaminare non solo la lingua e lo stile di uno dei rappresentanti più illustri dello stile epistolare del XIII secolo, ma che voglia anche comprendere meglio lo svolgersi degli eventi di quel periodo. Si possono, infatti, riscontrare in ogni lettera del-l’epistolario di Pier della Vigna – allo stesso modo di altre raccolte di dic-tamina attribuite ai dictatores più famosi – differenze anche molto evi denti, di cui, spesso, non si può venire a capo ricostruendo uno stemma codi cum

di tipo tradizionale.

A parte il fatto che, comunque, nel caso di testi dalla tradizione molto va -ria e mobile, come quelli contenuti nelle raccolte di dictamina, risulta, di

fatto, impossibile ricostruire uno stemma codicumvero e proprio. E che, se

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rela-DONNE, Un’inedita epistola sulla morte di Guglielmo de Luna,maestro presso lo

Studium di Napoli,e le traduzioni prodotte alla corte di Manfredi di Svevia, «Re-cherches de Théologie et Philosophie Médiévales» 74, 2007, pp. 225-245, qui 239. 21F. DELLEDONNE, «Per scientiarum haustum et seminarium doctrinarum»:

edi-zione e studio dei documenti relativi allo Studium di Napoli in età sveva, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo» 111, 2009, pp. 101-225, ri pubblicato in volume col titolo «Per scientiarum haustum et seminarium doctrina rum». Sulla storia dello Studium di Napoli in età sveva, Bari 2010, si veda anche G. ARNALDI,

Fondazione e rifondazioni dello studio di Napoli in età sveva, inUniversità e società nei secoli XII-XVI, Pistoia 1982, pp. 81-105 (ristampato in Il Pragmatismo degli in-tellettuali. Origini e primi sviluppi dell’istituzione universitaria, cur. R. Greci, To-rino 1996, pp. 109-23); F. VIOLANTE, Federico II e la fondazione dello ‘Studium’

napoletano, «Quaderni Medievali» 54 2002, pp. 29-33; G. ARNALDI, Studio di

Na-poli, in Federico II. Enciclopedia fridericiana, II, Roma 2005, pp. 803-808. 22Cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 21, p. 203.

23Cfr. l’introduzione a NICOLA DAROCCA, Epistolae, e a Una silloge epistolare.

tivi alle vicende dello Studium di Napoli in epoca sveva21può,

probabil-mente, rendere questo assunto più evidente e chiaro.

Nel cosiddetto epistolario di Pier della Vigna è conservata, come ema-nata da Federico II di Svevia, una lettera (la nr. 67 del III libro) che annun-cia ai maestri dello Studiumdi Bologna l’invio della traduzione latina di

alcuni trattati logici e matematici di Aristotele e di altri autori scritti in greco e in arabo. Tale lettera è riportata solo dalla redazione piccola in sei libri (P6) dell’epistolario di Pier della Vigna, quella che ebbe maggiore diffu-sione, e quindi fu quella che venne maggiormente letta e usata; e secondo questa re dazione la lettera fu prodotta dalla cancelleria di Federico II e scritta da Pier della Vigna, dato che è inserita nel suo epistolario. Tuttavia, questa lettera è riportata anche da un manoscritto “stravagante” rispetto alla tradizione che organizza l’epistolario in maniera sistematica. Secondo que-sto codice, con servato a Parigi (Bibliothèque Nationale Lat. 8567, che pos-siamo siglare P), a far scrivere quella lettera non fu Federico II, ma suo figlio Manfredi, e de stinataria fu non l’università di Bologna, ma quella di Parigi22. E qui nascono i problemi. Quale delle due tradizioni, quella che fa

capo alla redazione si stematica o quella “stravagante”, riporta le informa-zioni corrette? Per com prenderlo, bisogna esaminare attentamente tutto il manoscritto P, che attri buisce la lettera a Manfredi. Facendo questa opera-zione ci si rende conto che questo manoscritto stravagante spesso offre le-zioni più convincenti: ma potrebbe trattarsi di un’impressione. Tuttavia, spesso, questo manoscritto fa conoscere anche il nome dell’autore delle let-tere che riporta: nome che non sempre coincide con quello della tradizione sistematica, ma che risulta cor retto incrociando informazioni prosopogra-fiche e diplomatico-documenta rie23. E questo attribuisce un valore

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Ma nel caso della lettera relativa alle traduzioni, il ms. parigino P non ri -porta il nome dell’autore. Insomma, la lettera fu scritta da Pier della Vigna per conto di Federico II, quindi in un’epoca anteriore al 1249 (come si ri-cava dalla tradizione sistematica), oppure (come afferma il ms. parigino) fu scritta da un ignoto dictator per conto di Manfredi, probabilmente in-torno 126324, quando Manfredi riuscì a ricostituire lo studium di Napoli,

centro in cui fu rono fatte le traduzioni? La questione non è di secondaria im-portanza, so prattutto per chi si occupa di filosofia medievale e dell’influenza che ebbero le traduzioni dei commenti aristotelici; i quindici anni di diffe-renza che, come minimo, intercorrono tra le due possibili datazioni pos-sono sembrare pochi, ma costituiscono un discrimine imprescindibile, tanto che qualche anno fa padre René-Antoine Gauthier ha dedicato alla que-stione un saggio specifico che continua a essere considerato fondamentale25;

e ancora adesso la questione suscita notevole interesse26.

Ora, come si spiega tale divergenza di informazioni tra i manoscritti che riportano la redazione P6 dell’epistolario di Pier della Vigna, che attribui-sce la lettera a Federico II, e il codice parigino che attribuiattribui-sce la lettera a Man fredi? Si tratta di differenti redazioni, di successive riutilizzazioni del-l’epistola, o addirittura di falsificazioni coscienti mirate ad alterare il testo originale, così come ha supposto padre Gauthier? La risposta a tali que-stioni non è semplice, ma è possibile. Però bisogna fare un piccolo passo in-dietro e prendere in considerazione quello che accade nella trasmissione anche di al tre lettere del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna. Per con-tiguità tema tica è opportuno soffermersi su tre lettere che riguardano lo Stu-dium fondato a Napoli da Federico II nel 1224.

Questi tre documenti sono trasmessi da manoscritti che riportano il co siddetto epistolario di Pier della Vigna. Più specificamente, due sono conte -nuti in manoscritti che trasmettono, rispettivamente, ciascuna delle quattro redazioni dell’epistolario organizzato in maniera sistematica, nonché da altri manoscritti che lo trasmettono organizzato in maniera non sistematica (tra questi, per il primo c’è anche il ms. P, lo stesso che riporta la lettera sulle tra-duzioni27): si tratta delle lettere III 12 e III 10 dell’edizione a stampa

del-24Su tale ipotesi di datazione cfr. J.F. BÖHMER- J. FICKER- E. WINKELMANN, Die

Regesten des Kaiserreichs unter Philipp,Otto IV.,Friedrich II.,Heinrich (VII.),

Conrad IV.,Heinrich Raspe,Wilhelm und Richard 1198-1272, in Regesta Imperii, V, 1-3, Innsbruck 1881-1901, 4750, nonché DELLEDONNE, Per scientiarum

haus-tum, p. 202, nota 1.

25Cfr. R.A. GAUTHIER, Notes sur les débuts (1225-1240) du premier “Averroïsme”, «Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques» 66, 1982, pp. 321-374. 26Su tale questione cfr. DELLEDONNE, Guglielmo de Luna, pp. 225-245.

27Il primo documento (III 12) è riportato anche da altri mss. che non contengono

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risul-l’epistolario28. Mentre il terzo documento è trasmesso solo da quattro mano

-scritti che tramandano l’epistolario organizzato in maniera non siste matica29.

Per quanto riguarda quest’ultimo documento, tutti i manoscritti – che, va ribadito, contengono l’epistolario organizzato in maniera non sistematica – fanno riferimento a Salerno come sede dello Studium che è stato rifor-mato, ovvero riorganizzato30; due manoscritti31, poi, ricordano nella rubrica

che il mittente dell’epistola fu Corrado, mentre gli altri codici ne omettono il nome32. Dunque, da questa lettera si viene a sapere che Corrado riformò

lo Studium e lo spostò a Salerno: e questo è un primo dato di fatto.

tare evidente leggendo gli apparati all’edizione contenuta in DELLEDONNE, Per

scientiarum haustum, n. 13, pp. 186-188. Anche il secondo documento (III 10) è ri-portato da un certo numero di mss. che non contengono redazioni sistematiche, ma per evitare elenchi (che qui risulterebbero inutili) e confusioni, si farà riferimento a due soli di essi: Wroclaw (Breslavia), Biblioteka Uniwersytecka, R 342, che è an-dato perso, ma di cui, per il documento in questione possediamo la trascrizione di P. SCHIRRMACHER,Die letzten Hohenstaufen, Göttingen 1871, pp. 590-591 (lo

si-gleremo R); e Città del Vaticano, Vat. Lat.4957 (S). Per questo documento si veda anche l’edizione in DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 15, pp. 190-194.

28Per l’edizione a stampa dell’epistolario di Pier della Vigna si fa riferimento a

quella curata da Johann Rudolf Iselin (Iselius), Basilea nel 1740. Queste lettere sono state edite anche in DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, come indicato

nella nota precedente.

29Si tratta dei seguenti codici: Berlin, Staatsbibliothek, Lat. fol.188 (B); Cam-bridge, University Library, Add.3040 (C); Leipzig, Univ.-Bibilothek, 1268 (L); Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 526 (V). I primi tre manoscritti risul-tano strettamente connessi tra loro. Si veda anche l’apparato all’edizione in DELLE

DONNE, Per scientiarum haustum, n. 14, pp. 189-190.

30Così si dice: «cumque noster animus secum ipse disceptarit interdum, ubi studium

fundare predictum et eius sedem statuere deberemus, fidelem civitatem nostram

Salerniamenitate situs, fertilitate rerum et habilitate loci singulariter refulgentem gimnasiorum hospitium, immo propriam domum eligimus ad eorum stabilem in-colatum, ubi doctores et discipulos universaliter singulos et singulariter universos omni gaudere volumus privilegio libertatis, qua dudum per dominum augustum clare memorie dominum patrem nostrumin Neapolitano et Salernitano studio ute-batur, preter illud quod eis favorem nostrum, honorem et gratiam pollicimur»: DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 14, p. 189. In corsivo sono state

se-gnalate le parti che fanno riferimento alla città e al sovrano che ha emanato il do-cumento. Sulle riorganizzazioni dello Studium in epoca sveva cfr. DELLEDONNE,

Per scientiarum haustum, pp. 109-111.

31Sono quelli che nella nota 29 abbiamo siglato B e C. La loro rubrica è la

se-guente: «invitat rex Conradus studentes ad scolas quas statuerat in Salerno». 32Il ms. che nella nota 29 abbiamo siglato L scrive: «Invitat rex studentes ut vadant

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Per i primi due documenti, invece, la situazione è più complessa, sia per il numero dei testimoni che li trasmettono, sia per la loro differente carat-terizzazione. Infatti, alcuni dei manoscritti che contengono l’epistolario di Pier della Vigna organizzato in maniera non sistematica, ma non tutti, fanno riferimento a Salerno come sede dello Studiumriformato, e a Corrado come mittente; mentre gli altri testimoni parlano di Napoli come sede e di Fede-rico II come mittente33.

Ci si trova, insomma, nella stessa situazione della lettera relativa all’in-vio delle traduzioni dal greco e dall’arabo dei trattati logici e matematici. E anche a questo proposito la questione, naturalmente, assume un significato preponderante per la storia istituzionale del Regno di Sicilia, per quella delle università medievali, per quella della cultura dell’epoca, etc. Perché dalla soluzione di questo problema ne dipendono altri, relativi non solo alle vicende amministrative del Regno o alla ideologia politico-culturale sveva, ma anche alla struttura organizzativa dello Studium, alle materie che vi ve-nivano insegnate, alla presenza o meno di scuole locali, alla sopravvivenza della scuola medica salernitana, e così via.

Dunque, il problema può e deve essere risolto. E, attraverso l’esame del contenuto delle lettere, si deve concludere che i due documenti non potet-tero certamente essere scritti per conto di Federico II, perché in essi il mit-tente dice di voler seguire l’esempio dei progenitori nella gestione dello

Studium34, e si richiama al tempo in cui regnava il padre, che viene definito

anche divus Augustus35. Dunque, se si fa riferimento a un predecessore nella

gestione dello Studium, colui che emanò il documento non può certamente essere Federico II, che fondò lo Studium e quindi non ebbe predecessori. Per cui, per riconoscere il mittente e le lezioni “corrette”, bisogna affidarsi

sen-33Cfr. gli apparati in DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 13, pp. 186-188, e nr. 15, pp. 190-194. I mss. che menzionano Salerno e Corrado sono P per il primo documento; e quelli che nella nota 30 abbiamo siglato R e S per il secondo docu-mento. Come già detto, tali documenti sono riportati anche da altri mss. che con-tengono l’epistolario di Pier della Vigna organizzato in maniera non sistematica. 34Nel primo documento (III 12) si dice: «ad quod licet progenitorum nostrorumnos clara prioritas invitet exemplis [...]» (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum haustum,

n. 13, p. 187); e nel secondo (III 10): «ad quod, etsi progenitorum nostrorumnos memoranda prioritas invitet exemplis [...]» (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum

haustum, n. 15, p. 191).

35Nel secondo documento (III 10), «te igitur, quem antique fidei prescripta

since-ritas et prestita dudum felicis memorie domino patri nostrograta servitia nobis ef-ficaciter recommendant [...]», scrivono concordemente tutti i mss. che qui abbiamo preso in esame (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 15, p. 193). Nel

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ma-z’altro a quei testimoni “stravaganti” che riportano come mittente un so-vrano diverso da Federico II, e cioè Corrado IV.

Questi testimoni, costituiti da manoscritti che contengono il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna organizzato in maniera non sistematica, oltre a farci sapere questo, ci dicono anche che la sede dello Studium riformato era, in quell’occasione, Salerno e non Napoli36, e, in un caso, fanno sapere

anche il tempo e il luogo in cui il documento fu emanato, ovvero «in obsi-dione Neapolis»37: dato omesso dagli altri codici. Se a tali manoscritti

bi-sogna necessariamente concedere la preferenza per quanto riguarda il nome del mittente, logica vuole che lo stesso criterio spinga anche a pensare che il nome corretto della città sia quello di Salerno, e che esso sia stato modi-ficato in Napoli nelle redazioni sistematicamente organizzate dell’epistola-rio di Pier della Vigna. Del resto, si sa da una fonte normativa che Corrado IV ebbe effettivamente l’intenzione di spostare da Napoli a Salerno la sede dello studium38. Quindi, incrociando dati filologici e storici, si può

conclu-dere che la lettera scritta «in obsidione Neapolis» risalga al periodo com-preso tra il maggio e l’ottobre del 1253, quando Corrado, appunto, assediò Napoli, dopo che si era ribellata39. E che le altre scritte in suo nome

risal-gano a quello stesso periodo: per inciso, il 21 maggio 1254 Corrado muore. Come si spiegano queste differenze così notevoli tra diversi manoscritti e diverse tradizioni? Lo si vedrà tra poco, dopo essere tornati alla lettera da cui siamo partiti, quella relativa alle traduzioni dal greco e dall’arabo.

gistros quoslibet et scolares hilariter invitamus, fidelitati tue mandantes quatenus presens beneplacitum nostrum per iurisdictionem tuam solemniter studeas publi-care, firmam singulis fiduciam oblaturus, quod immunitates et libertates omnes, quibus olim tempore divi Augustitam in Neapolitano quam Salernitano studio uti et gaudere sunt soliti, faciemus universis et singulis illuc ire volentibus inviolabi-liter observari», dove, comunque, «tempore divi Augusti» viene riportato solo da P (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 13, p. 188).

36Nel primo documento (III 12), seguendo il ms. P si arriva a questa edizione:

«vo-lentes itaque super hoc antiquorum gratam renovare temperiem, et regni nostri fa-stigia tripudialibus novitatis nostre primitiis augmentare, universale studium in civitate nostra Salerni, consulta nuper deliberatione, providimus reformandum» (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum haustum, n. 13, p. 188). Nel secondo (III 10),

seguendo R e S, si può leggere: «civitatem Salerni[...], generale studium in civi-tate ipsa mandavimus reformari [...]» (cfr. DELLEDONNE, Per scientiarum

hau-stum, n. 15, pp. 192-193).

37Si tratta dell’epistola III 10, dove la data è fornita dai mss. R e S: cfr. DELLE DONNE, Per scientiarum haustum, n. 15, p. 194.

38Nella Curia di Foggia del febbraio 1252 viene deliberato «quod studium, quod

regebatur apud Neapolim, regatur in Salerno»: cfr. B. CAPASSO, Historia

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Seguendo il criterio esposto riguardo alle lettere relative allo Studium

di Salerno, si può concludere che anche la lettera relativa alle traduzioni venne inviata da Manfredi e non da Federico II, e che la versione del testo più vi cina all’originale, come nel caso delle lettere relative a Salerno, sia quella trasmessa dal manoscritto che tramanda una raccolta di dictamina

organiz zata non sistematicamente (P). Innanzitutto, come si è appena visto, anche altrove P riporta in maniera corretta il nome del mittente. Inoltre, congruen temente con l’attribuzione a Manfredi o a Federico, nel finale della lettera, il ms. che trasmette la raccolta non organizzata sistematicamente (P) invita i maestri e gli studenti parigini ad accogliere con gratitudine il dono inviato dall’amicus rex («libros ipsos tamquam amici regis enxenium gratanter acci pite»), mentre nei manoscritti che trasmettono l’epistolario di Pier della Vigna organizzato in maniera sistematica si parla dei Bolognesi e del dono offerto dall’amicus cesar, con un appellativo, cesare, che si adatta a un impe ratore e non a un “semplice” re40. Quindi, attribuendola a

Manfredi, la lettera in questione si può datare al 1263, circa, in una fase in cui Manfredi inter venne per ristrutturare lo Studium, che frattanto era tor-nato da Salerno a Napoli41.

Ma se questa è la situazione che caratterizza la tradizione di queste let -tere, è necessario capire perché essa si è verificata. E bisogna tornare alla domanda che è stata posta prima: tali divergenze che appaiono macroscopi che quando si tratta di nomi, ma che riguardano anche lezioni apparente -mente meno significative, costituiscono la spia di differenti redazioni, di successive riutilizzazioni, di falsificazioni coscienti?

Come si è visto, il cosiddetto epistolario di Pier della Vigna, quello si -stematicamente organizzato, contiene molte lettere che sicuramente furono scritte in periodi che non concordano con gli anni in cui egli fu attivo presso la corte sveva, e che quindi non potettero certamente essere scritte da lui. Ma perché potessero essere inserite nell’epistolario che venne trasmesso sotto il suo nome, dovevano essere necessariamente modificate in maniera tale da ri sultare congruenti con il contesto e con il contenuto dell’epistola-rio prodotto da chi, di fatto, resse la cancelleria di Federico II. Dunque, in concreto, per fare riferimento agli esempi sopra proposti, i manoscritti che riportano l’epistolario di Pier della Vigna organizzato in maniera sistema-tica mutano i nomi di Corrado e di Manfredi in quello di Federico II, per-ché Pier della Vigna lavorò per Federico II e non per i suoi figli; trasformano Salerno in Napoli, perché in quella città, e non a Salerno, Federico II – al quale aveva prestato i suoi servizi Pier della Vigna – aveva fondato lo Stu-dium; Parigi in Bologna, perché con l’università di Bologna Federico II

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ebbe rapporti frequenti, anche se non sempre pacifici42. Invece, in genere,

i manoscritti che tramandano le lettere in maniera non sistematicamente or-ganizzata sono quelli che riportano le informazioni esatte e trasmettono i testi in una versione più vicina all’originale, perché i loro copisti o orga-nizzatori, non dovendo costringere le lettere entro le strutture di una raccolta sistematica da attribuire a un ben determinato dictator, non sentirono la ne-cessità di operare modifiche e adeguamenti. Si è detto in genere perché ca-pita anche che i manoscritti che riportano raccolte non sistematiche abbiano antologizzato lettere prese proprio dalla raccolta sistematica. Per cui va sempre valutato con attenzione ogni singolo manoscritto e ogni singolo do-cumento in esso contenuto, e non bisogna cadere nell’errore di considerare sempre più attendibile il codice che tramanda la raccolta non sistematica; tanto più che anche le raccolte non sistematiche possono risultare “corrette” solo per alcune lettere, ma non per tutte. Pur se,in linea di massima, so-prattutto nei casi in cui si riscontrino divergenze nei nomi di persona o di luogo, spiegabili secondo i criteri prima proposti, si può attribuire una mag-giore “affidabilità” a quelle raccolte non sistematiche di cui si sia riuscita a dimostrare una generale attendibilità.

Insomma, le lettere organizzate in raccolta sistematica di dictamina fu rono trasmesse sotto il nome di Pier della Vigna, perché egli fu considerato a lungo un maestro indiscusso di dictamen, e il suo stesso nome costituiva, da solo, una garanzia di bellezza stilistica e perfezione formale. Pertanto, le modifi-che modifi-che si possono riscontrare nei testi risultano motivate da esigenze di adat-tamento a una collezione resa forzatamente unitaria dall’attribuzione a un unico autore; e tali modifiche sono, inoltre, giustificate dal fatto che, nel-l’intenzione del suo organizzatore (o dei suoi organizzatori), l’epistolario di Pier della Vigna doveva essere usato, dai contemporanei, non come fonte di informazioni storiche, ma come raccolta di lettere-modello, ovvero come “manuale” di bello stile per maestri e studenti di retorica. Quindi, quell’epi-stolario, così come quello di altri illustri dictatores dell’epoca, funse sem-plicemente da collettore di epistole ritenute utili dal punto di vista reto rico, e di cui poteva essere imitato lo stile. Questo spiega perché – come si è già detto – alcune lettere dell’epistolario di un dictator sono presenti anche nel-l’epistolario attribuito a un altro dictator, e fa sospettare che tali raccolte si-stematiche trovarono tutte una primitiva organizzazione nello stesso luogo, e probabilmente presso la cancelleria papale, il luogo verso cui, come si è vi sto, portano alcune tracce, e il principale luogo, del resto, in cui, in quel-l’epoca, c’era l’organizzazione e l’interesse ad approntare tali raccolte.

D’altronde, la natura di modello retorico di tali testi è

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mente confermata dal modo in cui essi furono messi assieme: non secondo una consequenzialità cronologica, ma secondo la loro contiguità tematica, e, non di rado, si riscontrano successioni di lettere che recano all’incirca lo stesso incipit. Dunque, la costituzione dell’epistolario di Pier della Vigna – così come quello di altri eminenti dictatores– dovette essere inizialmente deter minata soprattutto da un’esigenza pratica e funzionale, innanzitutto profes sionale e, solo in seconda battuta, didattica. Simili compilazioni do-vevano essere considerate alla stregua di prontuari, da tenere a portata di mano, in nanzitutto, nelle cancellerie, e poi (o, magari, anche nello stesso tempo) nelle scuole finalizzate essenzialmente alla preparazione dei notai. Probabilmente molti notai se ne fabbricarono uno a uso e consumo perso-nale, specifica mente adatto al proprio ufficio e ai propri corrispondenti, riu-nendo lettere proprie mischiate a quelle di altri dictatores, magari anche attingendo, tal volta, direttamente ai registri di cancelleria. Non è detto, però, che tali copie fossero esemplate sulle redazioni definitive, quelle ultimate dagli autori delle epistole. È possibile, infatti, che alcuni manoscritti atte-stino una redazione primitiva, quella di una minuta che sarebbe stata sotto-posta a ulteriore revi sione: eventualità che probabilmente si può riscontrare nel ms. P a proposito dell’elogio di Pier della Vigna scritto da Nicola da Rocca, dictator a cui sembra che si possa ricondurre, in definitiva, quel co-dice43. Tale possibilità, che già mette fortemente in crisi il sistema ecdotico

tradizionale in situazioni più semplici, finisce per rendere addirittura im-possibile pensare – come ab biamo già anticipato – di poter mettere ordine con uno stemma codicumtra dizionale a un intrico di tradizioni testuali che si pongono su più livelli. Tanto più che la situazione è complicata ulterior-mente dalla natura pubblica di molti documenti, che vennero prodotti in un ufficio che proprio in epoca federiciana venne organizzato in maniera sem-pre più tecnica.

A partire dal 1220, con Federico II, viene sviluppato un efficiente uffi-cio di scrittura nell’ambito della curia, strettamente legato soprattutto al-l’amministrazione centrale delle finanze44. E il frammento di registro di

43Sull’ipotesi che per tale elogio il ms. P presenti una fase redazionale primitiva del

testo cfr. l’introduzione a NICOLA DAROCCA, Epistolae, pp. LXXII-LXXIV.

44Cfr. gli elenchi dei notai in K.A. KEHR, Die Urkunden der

normannisch-sicili-schen Könige, Innsbruck 1902, pp. 64-65; ENZENSBERGER, Beiträge zum

Kanzlei-und UrkKanzlei-undenwesen der normannischen Herrscher Unteritaliens Kanzlei-und Siziliens, Kall-münz 1971, pp. 50-52; T. KÖLZER, Urkunden und Kanzlei der Kaiserin Konstanze,

Königin von Sizilien (1195-1198), Köln-Wien 1983, pp. 52-55; H.M. SCHALLER, Die

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can celleria del 1239-124045, che contiene più di mille registrazioni per soli

sette mesi, attesta l’aumento della mole di lavoro, che da un lato testimo-nia le tecniche di registrazione, con l’adozione di sistemi di semplificazione e di snellimento procedurale, come l’accorciamento o la totale omissione delle parti protocollari ed escatocollari, come l’intitulatio, l’inscriptio, la

salutatioo la datatio46, che si riscontra anche nelle raccolte di dictamina47;

dall’altro spiega il motivo per cui si dovette ricorrere a una precisa regola-mentazione. Così, già negli anni Quaranta del Duecento, furono emanate da Federico specifiche Ordinanzedi cancelleria, che permettono di conoscere, sia pure non nei più minuti dettagli, l’iterche le pratiche avrebbero dovuto com piere48. In tali ordinanze viene stabilito il modo in cui petizioni e lettere

deb bono essere accolte davanti alla cancelleria; quello con cui si devono pren dere decisioni per la risposta, che vengono appuntate summatimsul retro della petizione; e sul modo in cui devono essere distribuite ai notai perché essi redigano il documento. Dopo la stesura, i documenti dovevano essere letti ancora una volta («littere vero omnes relegentur») dinanzi ai due giudici della magna curia, Pier della Vigna e Taddeo di Sessa, e muniti del loro si gillo personale a garanzia della regolarità dell’atto. Infine, tutti i documenti ultimati venivano portati ai sigillatores, e convalidati dal cap-pellano Filippo, che apponeva sul documento la sua parafa. Insomma, l’iter

era abbastanza complesso, e prevedeva diverse fasi di scrittura, lettura e ri-lettura, che, evi dentemente, comprendeva anche occasioni di correzione o riscrittura dei do cumenti. In quelle prime Ordinanzenon si fa menzione di un obbligo di te nere registri, che pure doveva essere implicito, dal momento che parte delle scritture ufficiali accompagnava la corte nei suoi sposta-menti, mentre un’altra parte rimaneva in sedi fisse49. Del resto, dopo la

con-quista di Lu cera, nell’agosto del 1269, Carlo I d’Angiò incaricò Innocenzo

pp. 207-286, qui 258-260; la seconda parte dell’articolo è apparsa nel volume suc-cessivo della stessa rivista, 4, 1958, pp. 264-327. Su tali questioni, inoltre, si veda R. DELLEDONNE, Le cancellerie dell’Italia meridionale (secoli XIII-XV),

«Ricer-che Stori«Ricer-che» 24, 1994, pp. 361-388.

45Cfr. C. CARBONETTIVENDITTELLI, Il registro della cancelleria di Federico II del

1239-1240, Roma 2002.

46Cfr. CARBONETTIVENDITTELLI, Il registro, pp. LXIII-LXV.

47Questo non significa, però, necessariamente, che i dictamina delle raccolte siano stati tratti direttamente dai registri di cancelleria. Tale prassi “compendiaria” do-vette essere senz’altro comune ai notai di quella e della successiva epoca, che, come vedremo, furono tra i principali organizzatori e fruitori di quelle raccolte. 48Cfr. E. WINKELMANN, Acta imperii inedita, I, Innsbruck 1880, n. 988, pp. 733-737. 49Cfr. CARBONETTIVENDITTELLI, Il registro, pp. L-LI. Del resto, già nelle prime

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de-di Termoli, Iozzolino ed Angelo della Marra de-di recarsi a Lucera, Canosa e Melfi, per cercare i registri dei sovrani svevi custoditi in quei castelli e por-tarli a corte50. In ogni caso, in un’ordinanza del 1268 relativa all’ufficio del

protonotario, Carlo I d’Angiò, rifacendosi alle prassi procedurali della pre -cedente tradizione sveva51, stabiliva così: «Item prothonotarius habebit rege

-strum in cancellaria pro habenda noticia negociorum et precedencium littera rum»52. E in un’altra ordinanza di cancelleria, probabilmente risalente

al 1272, si prescriveva che «omnes insuper littere tam patentes quam clause, que pondus important, regestrentur in tribus registris, quorum unum habeat cancellarius, aliud magistri rationales et reliquum prothonotarius»53. Può

darsi che questa prescrizione sia stata applicata solo sotto Carlo II54, ma

forse non è assolutamente impensabile che già in epoca sveva potessero esi stere prassi di registrazione multipla. E se così fosse, si moltiplichereb-bero i possibili punti d’origine della tradizione dei dictamina contenuti nelle varie raccolte organizzate o meno in forma sistematica.

Comunque, una volta ultimato l’iter strettamente amministrativo, tali let tere erano ancora lungi dall’aver compiuto il loro percorso. Infatti, al di là dei registri ufficiali, si è già detto che i notai dovettero approntare raccolte di dictamina da utilizzare come modelli nello svolgimento del proprio la-voro: dictamina esemplati direttamente dalle stesure in mundum del docu-mento, da quelle compendiate riportate nel registro o nei registri di cancelleria, o anche dalle minute del singolo scriptor. Ma, molto presto do-vette accadere anche che le lettere venissero, per dir così, antologizzate ad uso degli studenti delle piccole scuole locali di retorica, a cui attinsero sia

scritta da Francesco Pipino e la sede della cancelleria imperiale, «Studi Medie-vali» 38, 1997, pp. 737-749 (ripubblicato con lievi modifiche in F.D.D., Politica e letteratura nel Mezzogiorno Medievale, Salerno 2001, pp. 111-126).

50Cfr. E. STHAMER, Die Reste des Archivs Karls I. von Sizilien im Staatsarchive zu

Neapel, «Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken» 14, 1911, pp. 124-125.

51Cfr. E. STHAMER, Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter

Kai-ser Friedrich II. und Karl I. von Anjou, Leipzig 1914, pp. 27-28, 84; E. STHAMER,

Bruchstücke mittelalterlicher Enqueten aus Unteritalien, «Abhandlungen der preu-ßischen Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist. Kl.», 2, Berlin 1933, p. 14. L’idea della continuità tra regno svevo e regno angioino risulta, del resto, è riaffermata co-stantemente in Le eredità normanno-sveve nell’età angioina. Persistenze e muta-menti nel Mezzogiorno, cur. G. Musca, Bari 2004.

52WINKELMANN, Acta, n. 990, p. 741. 53WINKELMANN, Acta, n. 992, p. 745.

54Cfr. P. DURRIEU, Les Archives angevines de Naples. Étude sur les registres du roi

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la cancelleria papale, sia quella regia dell’Italia meridionale. Risulta essere avvenuto piuttosto di fre quente, almeno per la Terra di Lavoro, che i notai più eminenti della cancel leria imperiale costituissero proprie scuole per l’in-segnamento del dicta men55, generando quella tradizione retorica che

im-propriamente è stata defi nita “capuana”56. Questa prassi può spiegare

probabilmente l’esistenza di quei manoscritti che non offrono gli epistolari organizzati in maniera siste matica per autore (ma che pure presentano una sia pur minima struttura in terna) e che forniscono testi più vicini alla forma originaria. Mentre i mano scritti contenenti le epistole organizzate entro una precisa e sistematica struttura, probabilmente, devono la loro più tarda dif-fusione (si badi, non ne cessariamente l’origine) soprattutto al fatto che fu-rono usati, e modificati, presso studia o università. Anche se, pure in seguito a questa nuova fase, continuarono a essere prodotte “antologie” più o meno ampie, che univano le lettere prese dalle raccolte sistematicamente orga-nizzate ad altre ricavate da altre fonti.

Insomma, proprio la complessa e intricata trasmissione di questo tipo di testi rende oltremodo difficile la constitutio textus dei singoli dictamina, ol -tre che quella delle loro raccolte complessive, siano esse di tipo sistematico o non sistematico. Ovvero, è possibile, in via teorica, la ricostruzione degli stemmi delle diverse redazioni sistematiche: cosa comunque resa problema -tica dalle continue e difficilmente riconoscibili interferenze contaminative tra redazioni sistematicamente organizzate, da un lato, e redazioni non si stematicamente organizzate, dall’altro. Ma quand’anche si riuscisse a com -piere l’operazione di ricostruzione stemmatica che seguisse i criteri ecdotici tradizionali, quale testo si riuscirebbe a ricostruire?

La situazione prospettata rende labile il concetto stesso di “originale” e, quindi, anche quello di “autore”57. Si tratta di concetti che già di per se

stessi, nel Medio Evo e in precedenza, risultano problematici, dal momento

55Cfr. F. DELLEDONNE,La cultura e gli insegnamenti retorici latini nell’Alta Terra

di Lavoro, in ‘Suavis terra, inexpugnabile castrum’. L’Alta Terra di Lavoro dal do -minio svevo alla conquista angioina, cur. F. Delle Donne, Arce 2007, pp. 133-157. 56L’espressione “scuola capuana” risale a K. HAMPE, Über eine Ausgabe der

Ca-puaner Briefsammlung des Cod. lat. 11867 der Pariser Nationalbibliothek, «Sit-zungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Kl.», 1910, 8. Per una rettifica e una puntualizzazione della questione, tuttavia, cfr. DELLE

DONNE, Le consolationes, pp. 287-290; DELLEDONNE,La cultura e gli insegnamenti,

pp. 133-157. Sulla diffusione della tradizione retorica campana cfr. da ultimo B. GRÉVIN, Les mystères rhéthoriques de l’État médiéval. L’écriture du pouvoir en

Eu-rope occidentale (XIIIe-XVesiècle), «Annales. Histoire, Sciences Sociales» 63, 2008,

pp. 271-300, qui 278-281; inoltre, GRÉVIN, Rhétorique du pouvoir, pp. 267-270.

57Il concetto di “autore”, tra l’altro, in questo contesto, è complicato ulteriormente

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che chiunque poteva ritenersi libero, senza incorrere in alcuna condanna mo rale o giuridica, di appropriarsi di brani di un’opera altrui, oppure di rico piarli o di riutilizzarli ad altri fini58. Questa libertà nella gestione e

nel-l’utilizzo delle opere spiega, naturalmente, anche le notevoli trasforma zioni dei testi, che intervengono lungo il percorso della loro trasmissione.

Questa sorta di “infedeltà” che, di fatto, rende i copisti, allo stesso tempo, anche “autori”, in quanto scelgono cosa trascrivere, stabiliscono in che modo organizzare i testi e li modificano, probabilmente rende perspicua anche ai nostri dictamina la distinzione, proposta soprattutto per i testi ro-manzi, tra tradizione “quiescente”, che riproduce il testo in maniera mec-canica, e tradi zione “attiva”, che innova continuamente e su larga scala il testo che ripro duce. A distinguere i due tipi di tradizione è essenzialmente l’atteggiamento dello scriba, che nella tradizione quiescente dimostra ri-spetto per il testo e, quando innova, lo fa con uno spirito restaurativo; nella tradizione attiva, invece, il copista ritiene il testo qualcosa di non defini-tivo, e, quindi, lo ricrea attualizzandolo e innovandolo59.

Ma entro quali limiti la tradizione di un testo può considerarsi attiva o personalizzata? Ovvero, è possibile che quella tradizione innovativa e attua -lizzante dia vita a un testo diverso? È difficile rispondere in maniera univoca a queste domande, che comportano, di conseguenza, le scelte editoriali diffe renti a cui si è accennato prima, ovvero mirate alla ricostruzione del-l’originale o alla riproduzione del testo che circolò. È difficile rispondere, perché ogni testo, ovvero ogni manoscritto, andrebbe considerato nella sua specifica natura, nonché nel suo specifico contesto: cosa assai ardua,

per-formale, è il sovrano o l’imperatore che li emana. Per un’analisi del problema del-l’attribuzione a Federico II dei testi tradizionalmente a lui attribuiti cfr. E. D’AN -GELO, Federico II scrittore, Avellino 2006, dove si parla più specificamente della

scrittura giuridica alle pp. 41-60.

58Cfr. L. HOLTZ, Autore, copista, anonimo, in Lo spazio letterario del Medioevo. Il

Medioevo latino, I/1, cur. G. Cavallo - C. Leonardi - E. Menestò, Roma 1992, p. 334. Cfr. anche F. TRONCARELLI, L’attribuzione, il plagio, il falso, nello stesso volume alle

pp. 373-90; P.G. SCHMIDT, Perché tanti anonimi nel medioevo? Il problema della

personalità dell’autore nella filologia mediolatina, «Filologia mediolatina» 6-7, 1999/2000, pp. 1-8; e, per l’età tardo-medievale e rinascimentale, cfr. M. ROSE,

Au-thors and Owners: the Invention of Copyright, Cambridge (Massachusset) 1993, e C.J. BROWN, Poets, Patrons and Printers: Crisis of Authority in Late Medieval

France, Ithaca - London 1995.

59Cfr. A. VARVARO, Critica dei testi classica e romanza, «Rendiconti dell’Accade-mia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli» 45, 1970, pp. 73-117, qui pp. 86-87; inoltre F. DELLEDONNE, Le formule di saluto nella pratica epistolare

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ché quasi mai si riescono a ricavare con precisione assoluta tali informa-zioni. E, oltre a ciò, andrebbe considerato l’atteggiamento del copista-or-ganizzatore, e soprattutto il suo grado di consapevolezza nel compiere l’operazione di co pia, ovvero di riscrittura. Ma forse, se ci si basa soprat-tutto sulla consapevo lezza di tali copisti-organizzatori, si arriva alla con-clusione che essi, quando modificarono i testi, non ebbero mai davvero l’ambizione di farsi “autori”. Almeno non più di un funzionario che tiene in ordine i suoi strumenti di la voro, o di un insegnante che prepara il materiale didattico più adatto ai pro pri studenti, se è vero quanto si è supposto, ossia che furono essenzialmente notai di cancelleria e maestri a organizzare le raccolte di dictaminaal fine di poterne ricavare modelli esemplificativi da utilizzare ogni volta che se ne fosse presentata la necessità.

Questa conclusione, se condivisa, comporta alcune conseguenze non solo sul piano teorico della natura delle raccolte di dictamina, ma anche su quello più concreto del metodo ecdotico da adottare, giacché conduce a escludere che, per l’edizione di testi di questo tipo, ci si possa basare su un unico ma noscritto, sia pure il migliore o l’unico che riporta in maniera esatta alcune informazioni. Questo perché, da un lato, come si è visto, nessun ma-noscritto può considerarsi esente da interventi o rimaneggiamenti di chi lo esemplò o lo organizzò; dall’altro perché nessun manoscritto può dare l’im-magine del testo in un ben determinato momento o in una ben determinata zona, se contemporaneamente ci sono altri testimoni che, nello stesso mo-mento o nella stessa zona, offrono un’immagine diversa.

A questo punto, sia consentita una ulteriore riflessione conclusiva sui problemi connessi col lavoro di edizione del cosiddetto epistolario di Pier della Vigna. Le soluzioni operative, naturalmente, possono essere varie e molteplici, pur se riconducibili, sostanzialmente, a due principali linee: quella che porta alla fase della ricezione e quella che, invece, riconduce al momento della produzione originaria del testo. Il primo tipo di edizione, fa cendo perno sulle redazioni sistematicamente organizzate, o principal-mente su una di esse60, mira a rappresentare l’epistolario come un’opera

struttural mente unitaria, indipendentemente dalla correttezza delle infor-mazioni stori che in esso contenute, dalla datazione delle singole lettere e dalla loro attri buzione a persone diverse da Pier della Vigna o, in ultima istanza, da Federico II; consentirebbe, quindi, di ricostruire – almeno a grandi linee – le influenze culturali esercitate. Il secondo tipo, conferendo il dovuto risalto alla tradizione stravagante, prende in esame le lettere come

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Ger-unità indipen denti dalla loro collocazione all’interno di una struttura siste-matica, permet tendo di evidenziare – come si è visto – le corrette informa-zioni contenute nei documenti ai fini della ricostruzione storica.

Le due ipotesi sembrano irrimediabilmente alternative, e il discrimine è costituito dalla funzione preminente che si vuole attribuire alla raccolta, de -rivante dalla caratterizzazione della sua natura come fonte retorico-letteraria oppure storico-istituzionale. Tuttavia, questa apparente impasse metodolo gica può essere risolta seguendo alcune fondamentali indicazioni metodolo -giche offerte da Giovanni Orlandi: «dovendo rassegnarsi a intraprendere edi zioni provvisorie di testi patristici o mediolatini dalla tradizione sconfi-nata [...] una condotta pragmatica come quella del Lachmann, fondata su una scelta anche violenta e talora aprioristica dei testimoni e sul tenersi le mani libere nella constitutio textus(fatta salva l’individuazione dei gruppi princi -pali dei mss. utilizzati, ma senza insistere nel delineare uno stemmatroppo ri-gido) può ancora rendere buoni servigi»61.

maniae Historica: cfr. R. SCHIEFFER, Monumenta Germaniae Historica. Bericht

über das Jahr 2007/08, «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters» 64, 2008, pp. IX-X: «Prof. K. Borchardt hat mit Dienstantritt im Institut die Edition der Briefsammlung des Petrus de Vinea übernommen und unter Verwendung des Nach-lasses von Hans Martin Schaller mit der Bearbeitung der großen sechsteiligen Sammlung begonnen. Angestrebt wird, für das erste Buch einen kritischen Text auf der Basis der elf vorhandenen Handschriften mit Variantenapparat und wenig-stens provisorischem Kommentar zu erstellen, um mit dieser Erfahrung dann den Zuschnitt der genannten Edition festlegen zu können». Questa scelta ha il vantag-gio indubbio di essere più facilmente gestibile, dato il numero piuttosto contenuto di manoscritti che tramandano questa redazione, ma comporta, a mio parere, molti problemi dal punto di vista dei risultati, dal momento che la redazione M6, da un lato, non è quella che circolò normalmente, e che ci permetterebbe di ricostruire – almeno a grandi linee – le influenze culturali che esercitò l’epistolario; dall’altro, non riproduce nemmeno la forma più vicina all’originale, quella che ci consenti-rebbe di usare le informazioni contenute ai fini della ricostruzione storica. Quindi, non fa perno né sul momento della produzione, né, veramente, su quello della ri-cezione, tanto più che i manoscritti che riportano la redazione M6 non presentano tutti la medesima struttura, e che, se risulta condivisibile quanto è stato detto finora, l’organizzatore di quella redazione non aveva neanche l’ambizione di trasformarsi in autore. Oltre a ciò, poi, è da tenere presente che nella redazione grande in sei libri mancano più di settanta lettere rispetto alla piccola in sei libri (quella che ebbe maggiore diffusione), e tra queste anche alcune (nel terzo e quinto libro) che risal-gono al periodo federiciano e che potrebbero essere state compilate proprio da Pier della Vigna, o che, addirittura, risultano proprio da lui scritte in forma privata (come la III 81, indirizzata a Roffredo Epifanio di Benevento).

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nel-Dunque, l’edizione di testi contenuti in raccolte di dictamina può essere approntata con l’intento di dare l’immagine più ampia e, al tempo stesso, più affidabile possibile della complessità della tradizione manoscritta, utiliz -zando solo un numero limitato di manoscritti che contengono le redazioni si stematicamente organizzate62. Data l’intricata e vastissima tradizione di

quei documenti, ad ogni modo, i codici non possono essere scelti a caso: in base alle indicazioni fornite da Hans-Martin Schaller63, andranno presi in

considerazione esemplari rappresentativi di ciascuna delle quattro redazioni ordinate sistematicamente dell’epistolario di Pier della Vigna64. Tuttavia, al

fine di recuperare le corrette informazioni contingenti, va collazionato anche un certo numero manoscritti che recano raccolte non ordinate sistematica -mente. Questo soprattutto in considerazione del fatto che, come si è visto, essi, talvolta, recano i testi in una versione che non ha subìto i pesanti filtri e gli adattamenti (come nei nomi dei sovrani o di luogo, ad esempio) che in vece si riscontrano nei testimoni che trasmettono le organizzazioni più si stematiche, e quindi possono fornire lezioni più vicine a quelle originali: perciò, in alcuni casi ritenuti significativi e spiegabili sulla base di tale prin -cipio, possono essere preferite le lezioni offerte da questo tipo di tradizione.

Una possibile soluzione metodologica consiste nell’impostare l’edizione delle singole lettere finalizzandola, per quanto possibile, alla ricostruzione dell’originale e non della forma che ebbe maggiore circolazione: un’zione “pragmatica” e “non definitiva” (se pure è mai concepibile una edi-zione “de finitiva”), che ha il vantaggio di essere condotta in tempi piuttosto rapidi, e di avere un sufficiente livello di affidabilità e verificabilità, con-servando sempre l’opportunità di recuperare le varianti caratterizzanti di una determinata redazione: infatti, se si segue tale sistema ecdotico, è ne-cessario segnalare in apparato il maggior numero di varianti – a volte deci-samente numerose – giudicate in qualsiasi modo significative, con l’esclusione, natu ralmente, di quelle grafiche relative a nomi non di

per-l’edizione di testi contenuti in raccolte di dictamina: cfr. soprattutto NICOLA DA

ROCCA, Epistolae, Una silloge epistolare, DELLEDONNE, Per scientiarum haustum.

62Considerando sempre come ineludibile l’avvertimento pasqualiano sintetizzato

nella formula «recentiores non deteriores», bisogna, tuttavia, convenire che «il li-mitarsi allo strato dei vetustioresdovrebbe almeno in parte garantire dal deteriora-mento o dall’entropia inevitabile col trascorrere dei secoli» (ORLANDI, Perché non

possiamo, p. 6).

63SCHALLER, Zur Entstehung, pa WINKELMANN, Acta, passim.

64Per la redazione grande in sei libri si potranno, ora, mettere a frutto le importanti

conclusioni raggiunte da A. BOCCIA, La redazione maggiore dell’epistolario di Pier

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sona. Questo perché, non essendo possibile disegnare uno stemma codicum

preciso e affidabile, ogni lezione, anche quella singolare (specialmente se riportata da tradizione stravagante), potrebbe essere importante65.

Quanto alla disposizione delle singole lettere, l’ipotesi più funzionale ed economica, probabilmente, è quella di seguire l’ordine offerto dall’edi-zione a stampa di S. Schard, poi ripreso, con alcune aggiunte, anche da J.R. Iselin (Iselius)66: tale ordine non solo rimanda sostanzialmente alla

reda-zione pic cola in sei libri, quella che ebbe maggiore diffusione, ma costitui-sce anche il punto di riferimento tradizionale per gli studi, sia storici sia letterari, relativi all’epoca sveva. Le altre lettere contenute nelle restanti re-dazioni possono, invece, trovare collocazione adatta in una o più appen-dici, e contestualizza zione adeguata in appositi indici e in tavole di riscontro67. Queste soluzioni avrebbero il vantaggio di coniugare, entro i

li-miti del possibile, l’interesse sia letterario sia storico che hanno quei testi. Testi che ci permettono di ve nire a capo di una tradizione retorica che, svi-luppatasi nell’Italia centro-me ridionale del XIII secolo, si diffuse in tutta Europa68, ma che ci consentono anche di definire con precisione le vicende

istituzionali e politiche che ca ratterizzarono il regno svevo.

65Sull’impossibilità di disegnare uno stemma codicum in senso proprio cfr. anche SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 154-155.

66Iselin aggiunse, dopo la lettera II 37, tre epistole che aveva trovato in un

mano-scritto (Bern, Burgerbibl., 237) da lui utilizzato per migliorare l’edizione di Schard, il quale, a sua volta, aveva inserito, alla fine del primo libro, cinque lettere (35-39), che non sono trasmesse da alcuna raccolta sistematica: cfr. SCHALLER,

Einfü-hrung, pp. XIX.XX.

67Altre soluzioni sono prospettate in SCHALLER, Zur Entstehung, pp. 157-158, dove, tuttavia, sembra prevalere l’orientamento a seguire l’ordine della redazione grande in sei libri.

68Cfr. soprattutto E.H. KANTOROWICZ, Petrus de Vinea in England, «Mitteilungen des Österreichischen Institut für Geschichtsforschung» 51, 1937, pp. 43-88; E.H. KANTOROWICZ, The prologue to ‘Fleta’ and the school of Petrus de Vinea,

«Specu-lum», 32 (1957), pp. 231-249 (i due saggi sono ripubblicati, in ordine inverso, in E.H.K., Selected Studies, Locust Valley - New York 1965, pp. 167-183 e 214-245); H. WIERUSZOWSKI, Rhetoric and Classics in Italian Education of the Thirteenth

Referensi

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