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Regola e le costituzioni del primo secol

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PIETRO MARANESI

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Il rapporto tra la Regola di Francesco e le costituzioni emanate dai frati minori divenne, a partire da Bonaventura, una relazione tanto necessaria per la vita dell’Ordine france-scano quanto difficile nel suo continuo ripensamento e aggiu-stamento. Che la Regola non fosse sufficiente a regolamentare la vita dei frati e a dare ordine ad un gruppo ormai troppo esteso, sia nello spazio geografico che negli impegni pastorali e culturali, era diventata una chiara ed accettata evidenza. Il testo fondativo dell’identità dell’Ordine doveva essere affianca-to da un documenaffianca-to giuridico ulteriore che potesse adeguare le richieste della Regola, tanto fondamentali per l’identità dei frati quanto, però, anche vaghe, alle diverse e urgenti esigenze con le quali si stava confrontando la fraternità minoritica.

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tempo-rale legandole alla città dove si svolse il capitolo genetempo-rale da cui furono emanate: Narbona (1260), Assisi (1279), Strasbur-go (1282), Milano (1285), Parigi (1292-5), Padova (1310) As-sisi (1316) Lione (1325), Perpignan (1331), Benedettine (1336), Quercy (1337), Assisi (1340), Venezia (1346), Lione (1351), Assisi (Farineriane) (1354). È chiaro che non è possi-bile operare una lettura globale e integrale di una quantità così grande di documenti. Inoltre occorre tener presente la difficoltà nel reperire i testi in questione. Solo recentemente, è stata pubblicata una edizione critica integrale delle prime 5 costituzioni composte nel secolo XIII1, mentre delle altre si

hanno ancora solo delle edizioni parziali sparpagliate in diver-si lavori appardiver-si nella prima metà del ‘900 nella rivista “Ar-chivum Franciscanum Historicum”2; tale situazione mette in

1Cfr. Constitutiones generales ordinis fratrum minorum, I (Saeculum XIII), cura et studio fratrum C. CENCI e R.G. MAILLEUX(Analecta Franciscana, XIII. Nova Series. Documenta et studia, I), Grottaferrata 2007, di essi ricordiamo le pagine: Narbo-na: pp. 69-104, Assisi: pp. 109-148, Strasburgo: pp. 157-217, Milano: pp. 225-275, Parigi: pp. 285-364.

2Costituzioni di Padova (1310): C. C

ENCI, Le costituzioni padovane del 1310, in Id. L’Ordine francescano e il diritto. Testi legislativi dei secoli XIII-XV, (Bibliotheca eruditorum, 14), Goldbach 1997, pp. 217-270; Costituzioni di Assisi (1316): A. CARLINI, Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae, in AFH, 4 (1911), pp. 276-302, pp. 508-526. Costituzioni di Lione (1325): A. CARLINI, Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae, inAFH, 4 (1911), pp. 526-536. Costituzioni di Perpignan / Perpiniane (1331): S. MENCHERINI,Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum a capitulo Perpiniani an-no 1331 celebrato editae, in AFH, 2 (1909), pp. 276-292, pp. 412-430, pp. 575-598. Costituzioni di Assisi / Benedettine (1336): M. BIHL, Ordinationes a Benedicto XII pro Fratribus Minorum promulgatae per bullam 28 Novembris 1336, inAFH, 30 (1937), pp. 332-390. Costituzioni di Quercy (1337): M. BIHL,Constitutiones Genera-les editae in capitulis generalibus Caturci an. 1337 et Lugduni an. 1351 celebratis, in

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evidenzia quale preziosità avrà il secondo volume in cui Cenci e Mailleux, i due curatori del precedente, stanno riunendo tutte le costituzioni del secolo XIV3.

Cosciente dell’ampiezza del materiale, è necessario più che mai stabilire un preciso punto di osservazione intorno al quale organizzare la presente indagine. Esso si può sintetizzare in una domanda che costituirà come il filo conduttore dell’inda-gine: se la Regola ha avuto bisogno delle costituzioni per esplicitare la sua forza normativa, quali sono stati gli elementi caratteristici della formulazione grazie ai quali queste hanno assolto alla loro funzione integrativa a vantaggio del testo le-gislativo di Francesco?

Come si è già osservato, il processo di riscrittura delle co-stituzioni minoritiche è stato segnato da una frequenza di ag-giornamento e trasformazione redazionale che rinvia ad un co-stante bisogno di ridire e ripuntualizzare la vita dei frati. In particolare, guardando ai macro processi editoriali che con-traddistinguono le 15 costituzioni prodotte dall’Ordine nel primo secolo di storia, si nota la presenza di alcuni grandi on-de redazionali legate a significativi eventi storici vissuti dal-l’Ordine stesso nel suo travaglio identitario. Le costituzioni, in qualche modo, ripropongono il difficile processo evolutivo di una autocoscienza minoritica che, già nel primo secolo, è stata spesso chiamata a doversi ridire senza trovare mai un consenso definitivo e stabile. In via generale, si potrebbero in-dividuare tre grandi blocchi di costituzioni quali passaggi di

celebratis, in AFH, 30 (1937), pp. 158-169. Costituzioni di Assisi / Farineriane (1354): M. BIHL, Statuta Generalia Ordinis edita in capitulo generali an. 1354 Assisii celebrato communiter Farineriana appellata, in AFH, 35 (1942), pp. 35-112, pp. 177-253.

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altrettanti travagli storici subiti dall’Ordine: il primo gruppo, composto dalle prime 8 costituzioni, è legato alla tradizione bonanventuriana delle narbonensi, di cui nelle successive co-stituzioni si riprenderà costantemente lo schema, conferman-do, sebbene con degli ampliamenti, le norme di quel testo iniziale. Tale linea durerà fino al 1331, quando vi sarà una specie di parentesi redazionale connessa al testo prodotto nel capitolo di Perpignan, a cui farà seguito le costituzioni ema-nate dal papa Benedetto XII nel 1337: i due testi si distacca-no dalla tradizione giuridica bonaventuriana per assumere un nuovo schema di sviluppo e, in certi casi, nuove linee diretti-va. Le successive ultime 5 costituzioni, terminando con le Fa-rineriane del 1354, operano un progressivo e deciso ritorno al-la tradizione narbonense riprendendo quest’ultima struttura rivisitata, però, sulla base del nuovo materiale giuridico pro-dotto nelle due precedenti grandi costituzioni, quella di Per-pignan e di Benedetto XII. L’individuazione di tre gruppi nel processo evolutivo della tradizione giuridica minoritica dei se-coli XIII-XIV rinvia anche a delle novità concernenti il rap-porto tra testo costituzionale e Regola. L’indagine separata dei tre blocchi redazionali tenterà, in fondo, di appurare ed evi-denziare il processo evolutivo e relazionale, per rintracciare il flusso identitario realizzato dalle costituzioni nella loro diversa riproposta dellaRegola.

1. LA TRADIZIONE BONAVENTURIANA FINO A MICHELE DA CESENA

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inizi. Gli elementi peculiari del testo bonaventuriano varranno in qualche modo anche per le costituzioni che si susseguiran-no fisusseguiran-no al 1325 con il testo emanato al capitolo di Lione.

a.Le costituzioni di Bonaventura

Un’informazione succinta ma di grande valore per la rico-struzione del contesto storico da cui nascono le costituzioni stilate da Bonaventura è fornita da Salimbene da Parma. Il fa-moso cronista, raccontando gli avvenimenti dell’importante capitolo del 1239 svoltosi a Roma, quando cioè venne deposto frate Elia ed eletto Alberto da Pisa, riferisce quanto segue:

In quel capitolo si stilarono anche una grande moltitudine di costituzioni, ma piuttosto disordinate. Più tardi vi mise ordine frate Bonaventura, mi-nistro generale, e vi aggiunse poco di suo, ma determinò in qualche punto le penitenze4.

Nel breve testo vengono offerte diverse notizie. La prima riguarda la situazione “confusa” delle precedenti costituzioni stilate nel 1239, che necessitavano di un riordinamento. Tale stato durerà fino al 1257, quando nell’altro movimentato ca-pitolo generale di Roma, oltre la deposizione di Giovanni da Parma e l’elezione a generale dell’Ordine del maestro Bona-ventura, si decide di mettere mano alle numerose e confuse costituzioni per dar loro ordine ed efficacia giuridica. L’incari-co viene di fatto affidato al neo eletto generale Bonaventura da Bagnoregio. Il suo lavoro, che verrà presentato e approvato nel capitolo successivo tenutosi a Narbona nel 1260, si quali-fica, secondo la descrizione di Salimbene, come un’opera reda-zionale, nella quale il giovane generale effettuerà un

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mento del materiale precedente, senza aggiungere molto di suo. In un solo ambito, tiene a precisare il cronista, Bonaven-tura intervenne: in quello penale, stabilendo in alcuni casi nuove e più dure “penitentias” per i frati che peccano.

Bonaventura, dunque, chiamato a dirigere un Ordine di grandi dimensioni e con una vitalità pastorale che lo aveva re-so uno dei gruppi religiosi più importanti della Chiesa del tempo, deve subito affrontare due gravi questioni5. La prima

riguardava le dure e violente obiezioni che, proprio in quegli anni, venivano mosse all’Ordine dall’esterno sulla sua legitti-mità ecclesiale; in particolare doppia era la critica: l’Ordine non apparteneva alla struttura della Chiesa, ma costituiva, in qualche modo, una novitas in rapporto la compagine ternaria della Chiesa composta da monaci, chierici e laici; inoltre non era accettabile la pretesa avanzata da quella novità religiosa di vivere una vita più perfetta degli altri ordini a motivo della scelta di povertà non solo personale ma anche comunitaria6.

La seconda, invece, era incentrata nell’altrettanto grave e ne-cessaria riforma della vita interna dell’Ordine; occorreva infatti superare il rischio di una spaccatura tra i frati, divisi da modi non solo diversi ma anche opposti di vedere e vivere la fedeltà a Francesco e al suo ideale.

Il nostro interesse in questo caso si concentra solo sul se-condo ambito legato al servizio svolto da Bonaventura come ministro generale in favore dell’Ordine, impegno che lo occu-pò per il resto della sua vita. Che il giovane generale sentisse forte e urgente il bisogno di una “riforma” della vita condotta dai frati è attestato dal contenuto programmatico da lui con-densato nella sua prima lettera circolare inviata a tutto l’Ordi-ne. In essa Bonaventura stilava gli obiettivi di rinnovamento

5Sulla pluriforme attività di Bonaventura a favore del suo Ordine nel suo ruo-lo di ministro generale cfr. P. MARANESI, Bonaventura ministro generale di fronte al-l’Ordine francescano e alla Chiesa, inDoctor seraphicus, 55 (2008), pp. 17-65.

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dell’Ordine, elencando un’ampia serie di stili di vita assunti dai frati che « offuscavano lo splendore dell’Ordine »7.

L’im-pegno affidatogli dal capitolo del 1257 di redigere nuove co-stituzioni costituiva un’importante opportunità per ridare splendore e lucentezza ad un organismo che si stava opaciz-zando con una vita sempre più distante dagli ideali iniziali. In particolare, attraverso la stesura di un nuovo testo giuridico Bonaventura poteva perseguire contemporaneamente due obiettivi fondamentali del suo progetto di rilancio dell’Ordi-ne: dare continuità al processo evolutivo di tipo pastorale e culturale assunto fin dagli inizi dai frati, mantenendolo però legato ad una sostanziale adesione alla vocazione di povertà e minorità che doveva caratterizzare la fedeltà agli ideali fonda-tivi. Nella conciliazione dei due programmi risiedevano gli obiettivi del santo generale.

Da una parte, infatti, l’evoluzione dell’Ordine, assunta dopo la morte di Francesco in direzione cultuale e pastorale, non dove-va essere giudicata un tradimento degli ideali iniziali, ma un so-stanziale sviluppo e progresso dei medesimi: l’organizzazione de-gli studi e l’espansione del potere missionario a favore della Chie-sa costituivano per Bonaventura un segno sicuro di una storia guidata e voluta da Dio, alla stregua proprio dell’evoluzione av-venuta nella Chiesa che era nata da poveri pescatori e si era

evo-7Cfr.

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luta verso grandi dottori8. D’altra parte, però, tale sviluppo non doveva contrapporsi o abbandonare i caratteri peculiari di una vocazione rivelata da Dio a Francesco fondata sulla povertà, scel-ta, appunto, che rendeva l’Ordine “più perfetto” degli altri per-ché più evangelico. La conciliazione di questi due aspetti costi-tuiva non solo il nucleo portante del programma pastorale di Bo-naventura ma anche una grande sfida di porre insieme due esi-genze tra loro non sempre armonizzabili.

GLI OBBIETTIVI IDEALI DELLE COSTITUZIONI: IL PROLOGO

Il prologo con il quale il santo Dottore apre le sue costi-tuzioni costituisce la sintesi degli obiettivi da lui perseguiti nella stesura del suo testo giuridico. Dei tre paragrafi che compongono la breve introduzione programmatica, il primo rappresenta quello essenziale per comprendere il valore asse-gnato da Bonaventura al documento che stava offrendo ai suoi frati in rapporto alla loro vocazione minoritica e dunque a vantaggio della fedeltà verso la Regola.

Poiché,come dice il Sapiente, dove non c’è siepe, la proprietà viene saccheggiata,

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per custodire illeso il prezioso possesso del regno dei cieli, dove si entra attraverso lo spirito di povertà è necessario circondarlo con la siepe della disciplina. Le osservanze regolari, infatti, non costituiscono affatto un inu-tile criterio di comportamento, non solo per il fatto che favoriscono la concordia, il decoro e la custodia della vita spirituale, ma, soprattutto, co-me avviene il più delle volte, in quanto si mantengono nell’alveo della so-stanziale perfezione e purezza dellaRegola professata. È necessario che que-ste osservanze si conoscano accuratamente, affinché per l’oscurità dell’igno-ranza, non si caschi nella fossa della trasgressione9.

La prima preoccupazione di Bonaventura è quella di stabi-lire una precisa relazione tra osservanza della Regola e osser-vanza delle costituzioni. Le norme giuridiche non sono solo funzionali ad una vita ordinata e pacifica dei frati, ma soprat-tutto rappresentano, per chi le osserva fedelmente, la possibi-lità concreta di un’osservanza « sostanziale » della Regola.

Stra-tegico, dunque, nel testo è il rapporto tra “regulares observan-tiae” e “perfectionis et puritatis Reguale promissae substan-tiam”: l’osservanza “accurata” (regolare) delle norme garantisce l’osservanza della “sostanza” della Regola.

Se si volesse tradurre in altre parole la stretta continuità tra osservanza regolare e sostanziale fedeltà allaRegola si potrebbe di-re che per il ministro generale le norme delle costituzioni per-mettono al frate il giusto collocamento (la posizione media) tra due pericolosi estremi che serpeggiavano in seno all’Ordine: da una parte lo spiritualismo contrario ad ogni evoluzione dell’Ordi-ne e, dunque, avverso alle scelte culturali e pastorali effettuate dalla grande comunità minoritica, dall’altra il lassismo teso ad una vita agiata e disimpegnata che trasformava quello che sareb-be dovuto essere un esempio di perfezione evangelica in scandalo per tutta la Chiesa10. Le costituzioni volevano essere dunque la

9Costituzioni generali dei Frati Minori, Prol. 2, in ibid., p. 127.

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veneran-giusta misura offerta alla vita del frate per conseguire con co-scienza retta e serena la fedeltà nell’osservanza dellaRegola: coloro che seguivano con attenzione e precisione quelle norme potevano avere la certezza morale di essere « nell’alveo della sostanziale perfezione e purezza della Regola professata ». Insomma, si tratta-va di conciliare il semplice ma fondativo dettato della Regola con la grande diversità di situazioni e impegni che gravavano sull’Or-dine; tale operazione avrebbe reso possibile stabilire una prassi si-cura nella quale le scelte pastorali e culturali dei frati sarebbero state garantite nella loro fedeltà all’ideale minoritico. Per Bona-ventura era dunque questo il valore risolutivo delle costituzioni : da esse dipendeva la possibilità di osservare sostanzialmente la

Regola nonostante le diversità e le novità di scelte non contem-plate nel testo fondativo dell’identità dell’Ordine. Tramite esse i frati dovevano ritrovare non solo la loro personale serenità ma an-che unità e pace nel leggere e vivere laRegola.

Nel secondo e terzo paragrafo del prologo Bonaventura si preoccupa di offrire un ulteriore motivo per convincere i frati ad una osservanza regolare delle costituzioni.

2. Nessuno, pertanto, pensi di gloriarsi in cuor suo del possesso della virtù se col proprio comportamento si costituisce distruttore della siepe.Se qual-cuno, infatti, teste la Scrittura, pensa di essere religioso e ingannando il proprio cuore, non frena la propria lingua, la sua religione è vana.

3. È necessario, pertanto, che la siepe costruita con la rettitudine di rego-lari statuti intorno alla bocca e agli altri sensi, intorno agli atti, ai gesti e ai costumi, non venga distrutta, ma preservata dagli uomini retti, affinchè, mentre si distrugge la siepe, non si venga morsi dal serpente, secondo la sentenza della Scrittura. Non senza pericolo, infatti, può farsi oggetto di disprezzo ciò che attraverso tante difficoltà, fatiche e perplessità, viene sta-bilito per la salvezza delle anime con tante e tali delibere dal Capitolo ge-nerale, presso il quale risiede la più alta potestà di governo dell’Ordine. Se qualcuno, invero, reputa troppo gravosa l’osservanza di questi Statuti,

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fletta tra sé e sé, che, secondo l’Apostolo ogni correzione sul momento non è causa di gioia, bensì di tristezza,ma successivamente, arrecaun frutto di pace e di giustizia a coloro che si sono lasciati trasformare.

Non solo le norme contenute nelle costituzioni assicurava-no ai frati l’osservanza sostanziale della Regola, ma erano il frutto di un comando venuto dal capitolo generale nel quale « residet auctoritas ordinis gubernandi ». Disprezzare quanto veniva ordinato in quel testo significava, dunque, porsi fuori dell’obbedienza oltre che cadere nel pericolo di distruggere la siepe « regularium statutorum » costruita intorno « ori et ce-teris sensibus et actibus et gestibus et morius », disprezzare o non osservare quelle leggi significava perdere la vera e unica difesa dei frati contro il morso del serpente antico.

Di fatto alla base ideale per la valutazione del testo giuri-dico vi era l’asserto secondo cui non era possibile dare ordine e sicurezza alla vita religiosa senza una legge chiara e ferma, da tutti osservata come guida sicura. In particolare, mi sem-bra di grande interesse il termine “statuti regolari” “regularia statuta” che in qualche modo viene a porsi in parallelo e in stretta continuità con la “Regula”: di fatto le costituzioni sono l’esplicitazione articolata di quel testo fondativo iniziale, per dare vita, insieme, all’unico testo normativo.

Nel prologo, dunque, Bonaventura determina dove risieda il valore principale delle costituzioni in rapporto all’ideale della vita minoritica: esse offrono al frate la possibilità di realizzare l’osser-vanza “sostanziale” cioè regolare della Regola. Indubbiamente le

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LA LOGICA STRUTTURALE DELLE DODICI RUBRICHE IN RAPPORTO ALLA REGOLA

La domanda che a questo punto sorge nella lettura dei do-dici capitoli componenti le costituzioni riguarda l’articolazio-ne concreta attraverso cui è realizzato il legame tra i due testi; in particolare sarà interessante appurare come Bonaventura or-ganizzi la stesura del suo testo legislativo mostrando la sua capacità di assicurare la “sostanziale” osservanza dellaRegola.

Senza voler effettuare un’analisi dettagliata sull’intero ma-teriale, cosa d’altronde difficile in poco spazio, è sufficiente a mio avviso proporre alcuni rilievi generali che permetteranno di avere delle preliminari chiarificazioni sulla relazione instau-rata da Bonaventura tra la Regola e le costituzioni.

Il primo aspetto che salta agli occhi è la disconnessione tra le tematiche trattate nelle 12 rubriche delle costituzioni e i 12 capitoli della Regola. La lettura sinottica delle due serie

permette facilmente di cogliere questa particolarità:

Regula bullata Costitutiones narbonenses

I: Incipit vita Minorum fratrum

II: De his qui volunt vitam istam accipere, et qualiter recipi debeant;

III: De divino officio et ieiuno, et quomodo fra-tres debeant ire per mundum;

IV: Quod fratres non recipiant pecuniam; V: De modo laborandi;

VI Quod nihil approprient sibi fratres, et de ele-mosyna petenda et de fratribus infirmis; VII: De penitentia fratribus peccantibus

impo-nenda

VIII: De electione generalis ministri huius frater-nitatis et de capitulo Pentecostes

IX: De praedicatoribus

X: De admonitione et correctione fratrum XI: Quod fratres non ingrediantur monasteria

monacharum;

XII: De euntibus inter saracenos et alios infideles.

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I capitoli nei quali i due testi sembrano generalmente so-vrapporsi nella loro formulazione sono diversi: il II della Rego-la con il I delle costituzioni circa il modo di accogliere i nuo-vi candidati, il IV e parte del VI della Regola con il III della

costituzioni riguardo alla povertà; in qualche modo anche il V della Regola con il VI delle costituzioni sul lavoro sono tra lo-ro relativi; combaciano perfettamente invece sia il VII capito-lo, che in ambedue i testi riguarda la penitenza da dare ai fra-ti peccatori, sia l’VIII sull’elezione dei ministri il quale, nelle costituzioni, si espande in quattro rubriche VIII-XI. Tra i due testi, dunque, se da una parte non esiste uno sviluppo paralle-lo, in cui le costituzioni riprendono alla lettera la successione dei capitoli della Regola, permane tuttavia uno stesso contenu-to di fondo nelle grandi tematiche.

A questa prima osservazione va aggiunta una seconda, strettamente ad essa connessa, che potrebbe essere un’ipotesi di lettura generale del lavoro redazionale effettuato da Bona-ventura: nelle sue costituzioni il generale sembrerebbe voler effettuare una riorganizzazione del materiale presente nella Re-gola dando ad esso una logica di sviluppo assente nel testo di Francesco. Sinteticamente sembrerebbe possibile individuare quattro grandi ambiti dentro i quali si organizzano i 12 capi-toli delle costituzioni:

1. Introduzione: L’inizio della vita

I: De Religionis ingressu; II: De qualitate habitus; 2. L’azione dei frati

III: De observantia paupertatis; IV: De forma interius conversandi; V: De modo exterius exeundi; VI: De occupationibus fratrum; VII: De correctionibus delinquentium; 3. L’amministrazione dell’Ordine

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X: De capitulo provinciali; XI: De capitulo generali; 4. Conclusione: la fine della vita

XII: De suffragiis defunctorum.

Nelle prime due rubriche delle costituzioni si mantiene e viene specificato il II capitolo della Regola dedicato all’entrata dei nuovi candidati. Quel materiale però è diviso in due ru-briche, la prima delle quali centrata sugli aspetti giuridici ge-nerali legati alle condizioni per l’accoglienza dei richiedenti (r. I), la seconda invece connessa con il problema specifico dell’a-bito e le sue caratteristiche esterne (r. II). Quest’ultimo aspet-to, in particolare, affrontato semplicemente e velocemente nel II capitolo della Regola, era invece diventato in seno all’Ordine un tema scottante, legato all’identità dei frati e all’unità del-l’Ordine stesso.

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rubri-che (IV-VI) si occupano di diversi ambiti di vita dei frati, distin-guendo la loro esistenza dentro al convento (r. IV: De forma inte-rius conversandi), il loro modo di comportarsi fuori delle mura conventuali, quando sono a contatto con la gente (r. V: De modo exterius exeundi), e, infine, la questione del lavoro (r. VI: De occu-pationibus fratrum). Nelle prime due rubriche si riuniscono e ri-combinano diversi passaggi sparsi soprattutto nel III capitolo della Regola, dove il digiuno era posto insieme alle indicazioni particolari su come andare per il mondo. Alle due rubriche, come si è già osservato, segue quella dedicata al lavoro (r. VI). In tal modo le costituzioni narbonensi effettuano un riposizionamento di questo importante tema, spostandolo dal rapporto poco logico in cui era collocato dalla Regola, tra i due capitoli legati alla po-vertà, per collocarlo, invece, molto più ordinatamente, come pas-saggio particolare delle due precedenti rubriche dedicate alle atti-vità dei frati. Le costituzioni, dunque, creano un blocco di tre ca-pitoli fondamentalmente omogenei tra loro e connessi alla propo-sta positiva del modo di comportarsi e di operare da parte dei frati sia in convento che nel mondo. Ai tre capitoli segue la ru-brica “negativa” con la quale si interviene sui comportamenti “delinquenziali” dei frati (r. VII: De correctionibus delinquentium),

per correggere e impedire scelte che non facciano risplendere la santità dell’Ordine. Il testo è parallelo al capitolo VII della Rego-la, però con una importante differenza strutturale: mentre nel contesto della Regala il capitolo sulle colpe non sembra possedere un rapporto logico con quanto precede e con quanto segue, nelle costituzioni, avendo anticipato le tre rubriche sull’attività dei fra-ti, esso costituisce la chiusura logica del blocco testuale, stabilen-do pene per chi infrange quello stile di vita e quelle scelte operative.

Le penultime quattro rubriche cambiano decisamente te-ma, per raggruppare in un ultimo blocco testuale la questione burocratica e amministrativa dell’Ordine, sviluppando rispetti-vamente i seguenti aspetti: De visitationibus provinciarum (VIII),

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quanto stabilito in via preliminare nell’VIII capitolo della Re-gola e in parte del X , dove si affrontava il problema del go-verno generale dell’intera fraternità minoritica e la visita dei ministri ai loro frati; tuttavia questo importante e complesso problema nella Regola era affrontato in modo molto succinto e insufficiente per un Ordine che era diventato tanto ampio nel-la sua espansione geografica e complesso nelle sue pluriformi attività e condizioni di vita. Le costituzioni prendono atto che la qualità di vita dei frati e la loro possibilità di vivere una vita ordinata e fedele alla loro vocazione dipendeva anche dal-la forza e stabilità organizzativa dell’Ordine.

Nell’ultima rubrica viene affrontato un argomento nuovo, assente nella Regola: De suffragiis defunctorum (XII), un tema connesso ad un Ordine che aveva già tanti fratelli da ricordare nella preghiera.

Questa ipotesi di rilettura strutturale delle costituzioni per-mette di giungere ad una conferma dell’ipotesi di partenza sul rapporto tra le 12 rubriche quando si supponeva che Bonaventu-ra avesse tentato un riordinamento di quanto nella Regola era sta-to detsta-to effettivamente in modo disarmonico. Tuttavia, se questa scelta, da una parte, guadagna in logica strutturale, perde, dall’al-tra, nel contatto con il testo della Regola stessa. Per superare, for-se, lo sviluppo disarmonico della Regola, le costituzioni mettono in qualche modo tra parentesi il valore assoluto della Regola di Francesco. E dunque si può ritenere che, alla base dell’organizza-zione delle costituzioni, non è posta direttamente e puramente la

Regola, ma il principio della funzionalità espositiva per una mi-gliore intelligenza dei diversi e successivi rapporti tra i vari am-biti della vita del frate che il testo di Francesco, invece, pone in-sieme senza una precisa e chiara logica consequenziale.

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costituzioni è quello dell’ufficio divino: di fatto nel testo di Bonaventura solo una volta si accenna alla preghiera comuni-taria quando nella rubrica I si comanda ai novizi di non stu-diare, giustificando la richiesta con due motivi: per vivere me-glio e con più intensità quel particolare periodo e anche « ad divinum officium addiscendum » (I, 8). A fianco delle assenze si pongono anche alcune novità tematiche rappresentate, come si è visto, dalle due rubriche “De qualitate habitus” (r. II) e dalle norme per “i suffragi dei defunti” (r. XII). Tutto condu-ce a ritenere che nelle intenzioni del redattore le costituzioni non assumevano la Regola a guida strutturale nella formulazio-ne del suo testo, ma miravano in qualche modo rivisitare e reimpostare il testo fondativo così da offrire una logica più chiara e facile da consultare e osservare.

RELAZIONE TRA COSTITUZIONI E TESTI DELLA REGOLA

Questa prima notazione generale è in qualche modo ulte-riormente specificata mediante una serie di considerazioni sul-l’impiego delle citazioni esplicite della Regola nello sviluppo

delle 12 rubriche. In via preliminare occorre osservare un suo uso molto limitato e, potremmo dire, tangenziale. In genere le varie rubriche sono aperte da un riferimento diretto al capi-tolo della Regola citando di essa solo un breve passaggio, quale introduzione al tema affrontato nella serie di statuti che se-guono. Ma lungo lo sviluppo delle norme essa non è quasi più riproposta. Per illustrare meglio quanto qui notato, riprendia-mo lo schema delle 12 rubriche affiancando ad esse le diverse citazioni esplicite tratte dalla Regola:

I: De Religionis ingressu: n. 5: Rb II 7; n. 6: Rb II 3 II: De qualitate habitus: n. 1; Rb II 16

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IV: De forma interius conversandi: n. 1: Rb III 5-10; n. 10: Rb X 8

V: De modo exterius exeundi: n. 1: Rb III 11; n. 18: Rb III 12

VI: De occupationibus fratrum: n. 1: Rb V 1; n. 10: Rb IX 2

VII: De correctionibus delinquentium: n. 1: Rb VII 1; n. 8: Rb XI 1

VIII: De visitationibus provinciarum: n. 1: Rb X 1 IX: De electionibus ministrorum: n. 1: Rb VIII 2 X: De capitulo provinciali: n. 1: Rb VIII 5 XI: De capitulo generali: n. 1: Rb VIII 2 XII: De suffragiis defunctorum.

Oltre al parziale utilizzo dei capitoli della Regola, non tutti presenti tra quelli a cui le costituzioni si riferiscono, vi è un uti-lizzo di quei testi segnato, come si è già anticipato, da una forma di marginalizzazione del loro ruolo nell’organizzazione delle nor-me. Il dettato della Regola, infatti, non costituisce nell’impianto delle varie rubriche la base organizzativa delle norme. Più in par-ticolare, si può osservare che lo sviluppo delle varie brevi norme, che si susseguono nelle dodici rubriche, non nasce da una preli-minare intelligenza del testo rispettivo dellaRegola, lavoro che al-lora avrebbero fatto di quelle norme un completamento o inte-grazione di quanto non detto nel testo fondamentale. Al contra-rio, la citazione di partenza costituisce una specie di introduzione generale ad una materia che, di fatto, deborda dal contenuto spe-cifico del riferimento di partenza tratto dallaRegola per

espander-si su nuove direzioni e problematiche assenti nel testo di France-sco. In altre parole, si potrebbe ritenere che le norme delle costi-tuzioni non siano il risultato di una lettura dello “spirito” del te-sto fondativo, la cui logica e le cui esigenze avrebbero dovuto guidare le scelte particolari, ma il processo organizzativo giuridi-co di un Ordine che ha nellaRegola solo un riferimento iniziale e

quasi occasionale.

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com-prendere il carattere giustapposto dei due testi fonativi. Il Santo dottore nell’organizzazione delle sue norme non ha mai la preoc-cupazione di fondare spiritualmente o teologicamente quanto di volta in volta richiesto ai frati. Il perché teologico delle norme è semplicemente presupposto; o meglio: mentre l’elemento fondati-vo del valore assoluto della fedeltà nell’osservanza regolare delle costituzioni era già stato chiarito nel Prologo, non c’era bisogno invece di motivare spiritualmente e francescanamente le varie scelte assunte lungo il testo giuridico. Ciò che interessava il santo legislatore non era tanto la giustificazione “francescana” delle norme, quanto la loro chiarezza e la loro capacità di regolare e normalizzare la vita dei frati.

Un ultimo aspetto che mi sembra rilevante circa la rela-zione tra Regola e costituzioni riguarda l’equiparazione

giuri-dica che in alcuni (pochi) casi è proposta tra le due fonti . Il primo caso lo si trova alla Rubrica VII dove è presente una norma alquanto interessante:

Et ne simplicioribus fratribus ignorantia sit occasio delinquendi, custos, cum visitat, illis Regulam et Constitutionem in vulgari diligenter exponat11.

Non solo vi è la notizia della difficoltà da parte dei frati “simpliciores” di comprendere il latino e, dunque, del bisogno del volgare, ma anche del pari valore attribuito ai due documenti per la vita dei frati. Il custode, tra gli altri impegni a cui era chiamato durante la sua visita nei conventi – servizio che poco prima viene fissato con una scadenza “semel in anno”12–, aveva

anche quello, appunto, della spiegazione in volgare dei due testi. In essi vi era la base essenziale della vita regolare dei frati.

È interessante notare la presenza di una richiesta simile nella rubrica I in cui vengono precisati i criteri da utilizzare nell’accoglienza dei nuovi candidati, stabilendo quanto segue: « Tandem sibi regula et asperitates ordinis exponantur »13. In

11

Narb., VII 21, inContitutiones generales, p. 88. 12Ibidem.

13

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questo caso le Costituzioni non sono affiancate, come nella norma precedente, alla Regola quale testo da “esporre” a colui che chiede di entrare. La cosa forse si spiega facendo attenzio-ne alla datazioattenzio-ne della norma in questioattenzio-ne: essa, infatti, è ri-presa alla lettera dalle costituzioni Prenarbonensi14, quando

cioè la Regola era ancora l’unico testo giuridico di riferimento. La ripresa della norma antica non è stata aggiornata da Bona-ventura aggiungendo, accanto alla Regola, anche le costituzio-ni, come invece sarà poi richiesto al custode nelle sue visite annuali ai frati. I due testi, VII 21 e I 6, possono essere dun-que letti come stadi successivi di una evoluzione nella valuta-zione del rapporto tra Regola e costituzioni.

Simile alla richiesta della rubrica VII vi è l’altra, presente nella rubrica successiva, riguardante il metodo che i custodi debbono adottare, quando, andando in visita per le diverse fraternità, sono chiamati ad indagare su crimini pubblici com-messi dai frati. Il procedimento si apre con la lettura pubblica dei due testi costitutivi della vita regolare:

« Procedatur ergo in hunc modum. Primo legatur regula in communi deinde constitutiones »15. I due testi offrivano dunque i riferimenti giuridici assoluti

da cui partire per procedere ad una correzione della vita della comunità.

Lo stesso valore paritario assegnato ai due testi risulta da una norma in qualche modo parallela, sebbene inversa rispetto alle due precedenti, proposta nella Rubrica XI e rivolta al mi-nistro generale, al quale si chiede:

Quaeratur diligenter qualiter regula et statuta generalis capituli in singulis provinciis fuerint custodita16.

Se da una parte i due testi giuridici sono di riferimento alla vita, ne consegue allora, dall’altra, che ambedue dovranno

14Cfr.

Prenarb.31, in ibid., p. 23. 15Narb.VIII, 9, in ibid., p. 90. 16

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essere “custoditi”. Non sono sicuro se il termine indichi sol-tanto l’osservanza giuridica dei testi o anche la loro conserva-zione fisica. In ogni caso i due documenti vanno valutati alla stessa stregua nel loro valore per la vita dell’Ordine.

Proprio su quest’ultimo punto si hanno due ulteriori nor-me che pernor-mettono una qualche specificazione. La prima viene ancora dalla Rubrica VII dove si legge quanto segue:

Ordinamus insuper, quod generalis Minister nullum faciat generale Statu-tum, nisi in generali capitulo cum Definitorum assensu; et quod nullum privilegium impetret, quod possit Regulae derogare17.

La prima parte della norma elimina il pericolo della persona-lizzazione delle norme generali. Gli statuti, per la loro importanza, debbono essere il frutto del lavoro del capitolo generale e non il ri-sultato della decisione personale del generale. A ciò si aggiunge una determinazione che deve guidare la loro formulazione: le co-stituzioni non possono contenere nessun privilegio « quod possit Regulae derogare ». Tale richiesta, di fatto, pone un preciso rap-porto di dipendenza delle costituzioni nei confronti del testo fon-dativo dellaRegola. La comprensione del verbo “derogare” mi sem-bra rinvii al doppio pericolo da evitare assolutamente nella formu-lazione delle Costituzioni: queste non solo non possono contraddi-re laRegolama neanche abolire norme in essa comandate. Dunque le costituzioni, a livello giuridico, sono a fianco della Regola ma mai al di sopra di essa. Non si potrà mai “derogare” a quanto in essa formalmente comandato: le costituzioni non svolgono se non un compito di completamento e adattamento nei confronti di quanto nel testo di Francesco non è stato detto.

La stessa assolutezza e intangibilità non vale per le norme contenute nelle costituzioni. Il testo che segue immediata-mente la precedente norma, specifica proprio il diverso valore obbligante del testo emanato dal capitolo:

17

(23)

nec Statutum aliquod aliter solvat vel laxet, nisi forte in speciali, ex causa necessaria vel valde utili, viderit dispensandum18.

Al divieto impartito al generale di dispensare da qualun-que statuto contenuto nelle costituzioni, è aggiunta subito do-po una interessante specificazione: la proibizione non è assolu-ta, in quanto si può intervenire sulla normativa generale « ex causa necessaria vel valde utili », cioè secondo i due criteri della “necessità” e dell’“utilità” impiegati già ampiamente nelle bolle pontificie interpretative della Regola19. Se dunque

18Ibidem.

19Il processo evolutivo, che alle necessità aggiunge anche l’utilità nei criteri valutativi delle scelte dei frati, è molto evidente nel confronto delle prime due bol-le pontificie interpretative dellaRegola.Per comodità del lettore proponiamo in si-nossi due passaggi strategici dei due testi papali riguardanti la questione centrale della vita minoritica sulla povertà. Nel testo di Innocenzo IV del 1245 sistemati-camente alla parola antica “necessitates” viene aggiunta il sostantivo “utilitas” o l’aggettivo/sostantivo ancora più chiaro “commodus”:

Quo elongati, n. 5 Ordinem vestrum, n. 3 Se i frati vogliono comprare unacosa

neces-saria, oppure pagare

una cosa già comprata, possono presentare o l’incaricato di colui dal quale si compra la cosa, o qualche altro a coloro che vogliono fare loro l’elemosina.

Se poi fosse presentato per altre necessità imminenti, può depositare l’elemosina a lui consegnata, come lo stesso padrone, presso qualche amico spiritualedei frati,

perché per mezzo di lui venga usata come gli sembrerà bene, per le loronecessitàin luogo e tempo opportuno (FF 2733).

Se i frati vogliono comprare unacosa neces-saria o utile (utilem), oppure pagare una cosa già comprata, possono presentare o l’incaricato di colui dal quale si compra la cosa, o qualche altro a coloro che vogliono fare loro l’elemosina.

Se poi per altrenecessità e utilità (commo-dis) dei frati venga nominato o presentato qualcuno, può egli conservare comepadrone, l’elemosina affidatagli, o depositarla presso qualcheamico spirituale

o famigliare dei frati nominato o anche non nominato da loro,

dal quale sia dispensata a tempo e luogo se-condo lenecessità e le utilità (commodis) dei frati

(24)

la Regola non poteva mai essere “derogata” dagli statuti – tale opera interpretativa infatti era concessa solo al papa – essi in-vece potevano essere trasformati e aggiornati secondo i nuovi bisogni che di volta in volta si presentavano nella vita del-l’Ordine e che avevano i caratteri della “necessità” e dell’“uti-lità”. La normativa della Regola era intangibile, quella degli statuti no! Il loro aggiornamento di fatto rendeva possibile una sostanziale osservanza dell’intangibilità della Regola.

A conclusione di questi rilievi generali sui due testi giuri-dici, si può ritenere che tra il testo bonaventuriano e la Regola

vi sia un rapporto bifronte. Da una parte la Regola è sicura-mente posta alla base ideale della stesura del nuovo testo nor-mativo: l’obiettivo di fondo è permettere ai frati di osservare la Regola, possibilità connessa direttamente all’osservanza rego-lare delle costituzioni; esse costituiscono una guida sicura per risolvere e connettere quel difficile rapporto tra esigenze iden-titarie fissate nella Regola e la nuova realtà in cui era inserito l’Ordine nel suo pluriforme impegno a favore della Chiesa. Le costituzioni si pongono dunque in totale dipendenza e a totale servizio della Regola.

D’altra parte, però, nel tessuto delle costituzioni la presenza della Regola è alquanto marginale e in qualche modo giustappo-sta. Il testo di Francesco non solo non è assunto come riferimento tematico per lo sviluppo delle 12 rubriche delle costituzioni, ma non rappresenta nemmeno il testo base a cui costantemente si è rinviati nel procedere alla stesura delle diverse norme. In ultima analisi, dunque, il rapporto tra i due testi appare più giustappo-sto che integrato: le norme degli statuti generali non cercano in fondo la loro giustificazione nella Regola, ma si pongono in qual-che modo autonomamente in parallelo ad essa offrendone una riorganizzazione con la quale dare ordine e logica al materiale di-sarmonico dellaRegola.

(25)

per le costituzioni il processo giuridico si compie mediante un doppio criterio: quello della conferma giuridica dell’evoluzione clericale e pastorale avvenuta nell’Ordine e quello della modera-zione di un tale processo, per mantenerlo entro la sostanziale fe-deltà alla Regola. Nelle costituzioni narbonensi, di fatto, si con-ferma e si fissa il processo trasformativo dell’Ordine che, pur rife-rendosi alla Regola, deve stabilire nuove norme mediante le quali gestire l’evoluzione (involuzione?) della fraternità sotto la spinta del suo impegno pastorale e culturale e, nello stesso tempo, ga-rantire la sua fedeltà allaRegola.

b.Le costituzioni successive

Il testo di Bonaventura costituì il riferimento sicuro e in-superato per le successive sette costituzioni che si susseguiro-no fisusseguiro-no al 1325. Della formulazione narbonense si riprendosusseguiro-no non solo il prologo, ponendolo sempre come base ideale e pro-grammatica di tutte le nuove rielaborazioni, ma anche lo svi-luppo tematico dei 12 capitoli con l’integrale ripetizione delle sue norme alle quali si apportano solo delle aggiunte parziali e limitate. Non è possibile evidentemente ricostruire il conte-sto conte-storico da cui sono nati i diversi testi. Per il nostro scopo è sufficiente notare i rapporti redazionali che legano questo abbondante materiale giuridico con il testo di partenza.

Come si è già brevemente notato, occorre rilevare che a livel-lo redazionale il testo delle Narbonensi non subisce grandi tra-sformazioni, ma solo brevi e parziali ampliamenti con l’aggiunta di alcune norme nuove per specificare ulteriormente quanto già stabilito. Inoltre, al processo di ampliamento non si affianca un’operazione di soppressione di norme precedenti: tutte sono sempre confermate e, appunto in qualche caso, ampliate.

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ca-pitoli, ad un tema importante nella vita dell’Ordine, un tema che ha avuto bisogno di essere ripreso e ampliato più di altri, proprio per la sua rilevanza e forse problematicità. Gli inter-venti più numerosi si registrano nelle rubriche che erano già le più ampie della stesura di Bonaventura: De observantia paupertatis (III); De occupationibus fratrum (VI), De correc-tionibus delinquentium (VII) e infine anche nelle quattro ru-briche dedicate all’organizzazione burocratica dell’Ordine (VIII-XI). Come si può osservare, siamo di fronte in qualche modo a temi centrali, che coinvolgono innanzitutto l’impegno pauperistico e poi le occupazioni dei frati, ambito quest’ulti-mo tanto importante quanto, a volte, difficilmente conciliabi-le con la scelta pauperistica; altrettanto significativi sono gli aspetti penali e burocratici da aggiornare costantemente per poter dirigere un Ordine vasto e complesso.

2. LA NOVITÀ DELLE COSTITUZIONI DIPERPIGNAN E DELLEBENEDETTINE

Qualcosa di redazionalmente nuovo avvenne invece prima con le costituzioni del 1331, emanate dal capitolo riunito a Perpignan, e poi con quelle successive inviate nel 1336 dal Papa Benedetto XII all’Ordine minoritico e conosciute come le “costituzioni benedettine”. I due testi, per motivi diversi tra loro, si distaccarono notevolmente dalla tradizione bona-venturiana, stabilendo un nuovo rapporto tra Regola e testo

costituzionale dell’Ordine.

a.Le costituzioni perpinianensi di Gerardo Odonis (1331)

(27)

papa per le sue affermazioni sulla non povertà di Cristo, il pa-pa rispose con la scomunica del generale stesso e dei caporioni del movimento. Un tentativo di ricucire il pericoloso strappo sarà effettuato con il capitolo di Parigi del 1329, quando è eletto un amico del papa Giovanni XXII, il frate francese Ge-rardo Eudes (Odonis), il quale volle assicurare l’unità nell’Or-dine e la sua sottomissione al papa legittimo.

Una delle prime operazioni effettuate dal nuovo generale sarà la stesura e la promulgazione nel capitolo di Perpignan del 1331 di nuove costituzioni, strumento importante per su-perare gli steccati che si erano creati dentro l’Ordine sia tra le diverse fazioni sia con la Chiesa di Roma. Nel prologo del te-sto (radicalmente nuovo rispetto a quello di Bonaventura), ol-tre a ribadire la necessità delle norme disciplinari per frenare l’inclinazione al male presente nell’uomo “ab adolescientia sua”, viene aggiunta una interessante notazione sul metodo che sarebbe stato adottato nella stesura del testo, elencando anche le fonti di riferimento impiegate nella formulazione della nuove costituzioni:

Divina nos docet auctoritas, frequensque tentationum molestia monstrat, quod « sensus et cogitatio cordis humani in malum prona sunt ab adole-scentia sua », ideoque religiosos animos honeste vivere, Deo devote servire, et ad perfectionis apicem pervenire volentes, oportet huiusmodi pronitati salutaribus quidem remediis devotisque conatibus ac ingeniosis studiis ob-viare. Cuius rei gratia, nostrarum Constitutionum, iuxta titulos Regulae Beato Francisco divinitus inspiratae, volumen, Deo praestante, compegi-mus, in quo sanctorum et Summorum Pontificum, nostrorumque praede-cessorum, et nostra monita, documenta, praecepta, consilia, exortationes, exempla, gratias, privilegia, indulgentias, promissiones, comminationes et statuta secundum exigentiam materiae inseruimus: volentes omnia per nos et per vos tam humiliter quam dociliter acceptari, ut hiis convenienter in-structi et id adimplere quod promisimus, et ad id pertingere, quod opta-mus, divina nobis opitulante gratia, mereamur20.

20

(28)

Due aspetti colpiscono dalla premessa metodologica: in-nanzitutto l’intenzione di porre i capitoli della Regola a base dello sviluppo delle costituzioni e poi la varietà del materiale impiegato nella composizione giuridica delle diverse norme. I due elementi ci offriranno i punti di riferimento per altrettan-ti approfondimenaltrettan-ti sul rapporto instaurato da queste cosaltrettan-titu- costitu-zioni con la Regoladi Francesco.

Il primo obiettivo programmatico, fissato nel prologo del-le Costituzioni di Perpinian, riguarda lo stretto del-legame strut-turale tra l’intera materia giuridica ivi trattata e la Regola del Beato Francesco, ponendo il testo di Francesco alla base dello sviluppo logico della trattazione. Nonostante l’impressione iniziale di una disomogeneità tra i titoli dei 20 capitoli delle costituzioni e i 12 della Regola, di fatto, ad un esame più at-tento, emerge con chiara evidenza la stretta relazione con la quale le costituzioni seguono il testo della Regola. Per

facilita-re la compfacilita-rensione di questo importante elemento strutturale, sarà utile proporre un confronto sinottico tra le nostre costitu-zioni e i testi della Regola utilizzati in apertura dei vari capi-toli; alle nuove costituzioni sarà opportuno, per comodità del lettore, porre a fianco anche i capitoli delle Narbonensi, indi-cando per ambedue i testi giuridici i numeri che compongono i vari capitoli così da offrire una indicazione di massima della loro diversa ampiezza.

Narbona(1260) Perpignan(1331) Regola

Prologus Prologus

I: De vita et regula nostra (8 numeri) II: De reverentia exhibenda domino pa-pae et ecclesiae romanae (4)

I,1 I, 2-3 I: De religionis ingressu (11 numeri) III: De volentibus vitam istam accipere (11) II, 1 II: De qualitate habitus (12) IV: De forma nostri habitus (10) II, 14-17 IV: De forma interius conversandi (23) V: De divino officio (16)

(29)

Narbona(1260) Perpignan(1331) Regola

VI: De occupationibus fratrum (29) IX: De modo laborandi (21) V, 1-4 III: De observantia paupertatis (24) X: Quod fratres nihil sibi approprient (6) VI, 1 XI: De elemosina petenda (3) XII: De servitio infirmorum (4) VI, 2-5

VI, 6-9 VII: De correctionibus

delinquen-tium (26) XIII: De poenitentia fratribus peccanti-bus imponenda (11) VII,1-3 IX: De electionibus ministrorum (23)

XI: De capitulo generali (28) XIV: De electione generalis ministri etcapitulo pentecostes (29) VIII, 1-4 X: De capitulo provinciali (27) XV: De provincialibus capitulis et

mini-stris, aliisque praelatis et eorum vicariis (37) VIII, 5 XVI: De modo predicandi (3) IX, 1-4

VIII: De visitationibus provinciarum

(25) XVII: De admonitione et correctioneFratrum (55) X, 1-2X, 4-6 XVIII: Quod fratres non ingrediantur monasteria nec habeant suspecta consor-tia mulierum (7)

XI, 1-3

XIX: De euntibus inter Saracenos et

alios infideles (2) XII, 1-2

XX: De protectore ordinis et fidei

stabi-litate (7) XII, 3-4

XII: De suffragiis defunctorum (8).

(30)

Fatta questa annotazione preliminare, procediamo ad alcu-ni rilievi anch’essi di carattere generale, tali però da evidenzia-re alcune specificità del rapporto tra i due testi.

La prima sottolineatura riguarda la novità di alcune tema-tiche assolutamente assenti nelle precedenti costituzioni. In particolare al capitolo V vengono proposti 16 numeri per svi-luppare il tema del divino ufficio; in essi le costituzioni di Perpinian di fatto riuniscono e completano quanto nelle pre-cedenti si era detto in modo limitato e sparpagliato. Interes-sante anche la presenza del tema dell’elemosina, assente prece-dentemente (c. XI), come anche la questione del servizio ai monasteri e l’andata tra i saraceni.

A questa prima serie di elementi vanno aggiunte alcune notazioni sui temi già trattati nelle precedenti costituzioni, per osservare soprattutto la loro diversa estensione della tratta-zione effettuata nelle nuove costituzioni. In particolare balzano agli occhi due dati. Il primo concerne la forte riduzione dello spazio dato al tema della povertà, che nelle costituzioni narbo-nensi era sviluppato in un unico capitolo di 24 numeri, men-tre nelle nuove costituzioni è affrontato in due capitoli secon-do i rispettivi passaggi della Regola, cioè trattando prima il

divieto dell’uso del denaro (c. VIII) e poi l’obbligo di vivere “sine proprio” (c. X). Tuttavia, nonostante lo sdoppiamento dei due temi, le costituzioni di Perpinian impiegano solo 10 numeri per trattare la materia più delicata e dibattuta nella vita della fraternità. Altrettanto vale per la breve serie di nor-me delicate alla questione delle penitenze da infliggere ai frati peccatori (c. XIII), tematica svolta dalle precedenti costituzio-ni in 26 numeri contro gli 11 delle ultime. Al contrario, molto alta resta la quantità di numeri impiegati per i temi burocratici e organizzativi dell’Ordine, cioè quelli riguardanti sia l’elezione del generale e del provinciale sia la visita che i superiori debbono fare ai loro frati (cc. XIV-XV e XVII).

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capitoli delle costituzioni. Riascoltiamo il testo programmati-co:

in quo sanctorum et Summorum Pontificum, nostrorumque praedecesso-rum, et nostra monita, documenta, praecepta, consilia, exortationes, exem-pla, gratias, privilegia, indulgentias, promissiones, comminationes et statu-ta secundum exigentiam materiae inseruimus.

In concreto, nello svolgersi dei diversi capitoli del testo si può constatare che il documento attinge ad una grande quantità di fonti che di fatto esulano dal genere letterario giudico. Il pri-mo gruppo di testi da mettere in evidenza riguarda quelli diret-tamente connessi a Francesco di Assisi, figura che in realtà non era mai stata espressamente usata nelle precedenti costituzioni come riferimento per la fondazione delle diverse richieste norma-tive. In particolare colpisce l’utilizzo del suo Testamento, testo che, pur ricorrendo soli in tre casi (I 3, II 3, IX 3), costituisce una specie di sorpresa, vista l’operazione di emarginazione e dimenti-canza a cui era stato sottoposto subito dopo la morte del Santo. Un simile ritorno tra i testi di riferimento nella stesura delle co-stituzioni non avviene invece per la Regola non bollata, mai pur-troppo presente tra le fonti impiegate dalla perpinianensi. A que-sto primo teque-sto “giuridico” relativo a Francesco si aggiungono le citazioni di alcune opere biografiche sul Santo; così ad esempio si è rimandati diverse volte alla Leggenda maggiore di Bonaventura (IV 2, IX 4, IX 12, X 3) e anche alla Vita secunda di Tommaso

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XVI 3, XVII 2.40, XX 2). Tuttavia la parte principale del cor-pus delle Perpiniane è occupato da due altre serie di testi: la pri-ma riguarda i riferimenti alle costituzioni minoritiche antiche, in particolare alle costituzioni di Narbona e Assisi, la seconda serie concerne le nuove formulazioni emanate dal capitolo di Perpi-nian. Il nucleo portante della formulazione giuridica delle nuove costituzioni costituisce il tentativo di combinare in modo armo-nico la tradizione precedente, confermando parte di quella nor-mativa antica e le nuove direttive strettamente connesse alla si-tuazione difficile in cui versava l’Ordine così da dare una pacifi-cazione alle tante tensioni interne.

Una semplice considerazione nasce da questi dati statistici: le costituzioni emanate a Perpinian, oltre a diversificare le fonti giuridiche utilizzate per stabilire le norme di vita per i frati, introducono in qualche modo un elemento completa-mente assente nelle precedenti: le argomentazioni spirituali per giustificare o fondare quanto richiesto. L’operazione è in-dubbiamente molto lieve e solo accennata mediante l’utilizzo soprattutto dei testi non direttamente giuridici come sono le biografie su Francesco e i rinvii biblici e patristici. Alla fred-dezza giuridica delle precedenti si introduce dunque un ele-mento nuovo legato ai testi “spirituali” utilizzati nelle costi-tuzioni. Questo tentativo di allargare la base giuridica delle costituzioni, appoggiandola anche a quella spirituale e teologi-ca, non avrà uno sviluppo; le successive costituzioni ritorne-ranno alla “freddezza” giuridica avviata con le Narbonensi; oc-correrà aspettare le costituzioni cappuccine del 1536 per ritro-vare nuovamente questo elemento, quando esso verrà in qual-che modo impiegato sistematicamente per introdurre le varie norme che si dettero i frati della nuova riforma21.

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Sebbene nate come reazione alle posizioni estremiste del generale precedente Michele da Cesena e giudicate dalla sto-riografia come “rilassate” (Iriarte), a mio avviso, si può con-cludere, invece, che le costituzioni di Perpinian presentano dei caratteri di forte innovazione nella capacità di porre in più di-retta connessione la loro formulazione generale non solo con la

Regola di Francesco ma anche con una testualità “francescana” precedentemente mai utilizzata nel contesto giuridico. A giu-dicare dai dati esterni e formali si potrebbe affermare che que-ste ultime costituzioni si presentano molto più “francescane” delle precedenti.

b)Le costituzioni di papa Benedetto XII (1336)

Un altro momento di grande rilievo nel travaglio dell’Or-dine furono le costituzioni emanate dal papa Benedetto XII. Eletto nel 1334 come successore di Giovanni XXII, il papa cistercense, nel suo desiderio di riformare e riordinare il mon-do sia monastico sia dei nuovi ordini, sviluppò una politica di monasticizzazione delle diverse esperienze religiose. Nel 1336, dopo un ampio e accurato lavoro, realizzato da una commis-sione nella quale furono coinvolti diversi cardinali, vescovi, abati e monaci con una dozzina di frati minori22, venne

in-viato ai frati minori un importante documento giuridico. Me-diante delle soluzioni a volte “monastico-benedettine”, si ten-tava di dare all’Ordine minoritico, fortemente lacerato e in crisi di identità, una nuova stabilità giuridica che ne salvasse l’unità e la pace.

Riassuntivo delle intenzioni programmatiche delle benedet-tine è il prologo, dove sono anticipati gli obiettivi ideali per-seguiti dal testo: l’ufficio divino, il silenzio, l’astinenza e gli

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studi scolastici, tipici temi del mondo monastico, mentre non sono nominati con valore programmatico quelli francescani23.

In particolare colpisce l’assenza, non solo nel Prologo ma an-che nel prosieguo del documento, del tema identitario più importante dell’autocoscienza minoritica, quello cioè della po-vertà. Emblematica infatti è la scelta operata da queste costi-tuzioni di eliminare il capitolo III delle costicosti-tuzioni narbo-nensi sulla povertà per sostituirlo con tre capitoli (I-III) nei quali, proprio all’inizio delle costituzioni, sono affrontati tre temi programmatici già annunciati nel Prologo: il divino offi-cio (I), il silenzio (II) e l’astinenza (III). Per comprendere bene però questa scelta, senza tacciarla subito di invadenza curiale, desiderosa di trasformare surrettiziamente l’identità dell’Ordi-ne, occorre ricordare le intenzioni giuridiche del testo papale. Esso non voleva, infatti, sostituire le costituzioni minoritiche ma solo integrarle, ponendo in rilievo alcune tematiche non sufficientemente sviluppate in quei testi o riformando quanto a giudizio del documento pontificio doveva essere cambiato nella legislazione minoritica. L’assenza del tema strategico del-la povertà non significava allora del-la sua soppressione, ma solo la conferma, senza doverla trattare in modo diretto, di quanto già stabilito dalla legislazione precedente dell’Ordine.

Un elemento ulteriore che distingue e allontana il docu-mento papale dalle precedenti costituzioni è l’assenza totale di ogni riferimento alla Regola di Francesco. Il testo del papa ci-stercense non voleva essere un prolungamento e una

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zione del testo fondativo dell’Ordine minoritico; la costituzio-ne papale si pocostituzio-neva consapevolmente in parallelo (non in op-posizione) alla Regola per stabilire stili di vita nei quali venis-se assicurato l’”ordine” dell’Ordine mediante una impronta sempre di più monastica e istituzionale. Abbandonato ogni rinvio al testo di Francesco, le fonti di riferimento del docu-mento pontificio sono innanzitutto i testi papali già emanati in favore dell’Ordine, affiancati dalla legislazione minoritica precedente, e tra questa, in prima fila, le costituzioni di Perpinian.

Il ruolo e il posto che il documento del papa Benedetto XII occuperà nei secoli successivi all’interno della legislazione minoritica e, dunque, della prassi quotidiana dei frati è stabi-lito alla fine del testo stesso, quando al capitolo XXX viene fissata la sua modalità di applicazione. Non solo il testo dove-va essere approdove-vato nel prossimo capitolo generale ma anche pubblicamente letto a tutti i frati (n.1), inoltre ogni provincia e ogni convento avrebbe dovuto possederne una copia (n. 2) che doveva essere letta in pubblico almeno una volta al mese (n. 3). A queste norme riguardanti l’uso frequente del testo per assicurare la sua conoscenza da parte dei frati, fa seguito anche la determinazione del suo rapporto sostanziale con il re-sto della legislazione minoritica. Non solo tutto ciò che era stato stabilito nelle precedenti costituzioni generali emanate dai frati e discordante con le norme papali avrebbe perso “om-ne robore” (n. 4), ma vie“om-ne stabilito che per il futuro all’Ordi-ne sarebbe stato assolutamente proibito « contra ordinatioall’Ordi-nes et statuta nostra huiusmodi quidquam statuere vel etiam ordi-nare aut observantiam aliquam introducere » (n. 5)24.

Il testo pontificio con la sua impostazione “monastica” si affiancherà dunque alla legislazione propria dei minori, misu-randola e stabilendo i confini giuridici dentro i quali essa do-vrà in seguito muoversi. D’altro canto le Benedettine, come si

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è detto, non volevano eliminare i caratteri specifici della vita dell’Ordine ma solo connetterli a dei parametri legislativi che valevano in qualche modo anche per gli altri ordini religiosi. Come l’anima francescana e i caratteri monastici delle bene-dettine si sono rapportati e integrati sarebbe un interessante lavoro di approfondimento da effettuare, soprattutto nell’anali-si della legislazione particolare delle nell’anali-singole provincie. La cosa tuttavia esula dai nostri intenti. In ogni caso, a partire da questo testo pontificio le successive costituzioni generali dei minori dovranno confrontarsi con due testi fissi e obbliganti: da una parte la Regola di Francesco e dall’altra il testo papale. Quale sarà il frutto giuridico a cui giungerà l’Ordine, quando, subito dopo, dovrà emanare delle nuove costituzioni? E so-prattutto ci domandiamo: di fronte al testo papale così ampio e obbligante non si rischiava di far perdere ulteriormente ter-reno alla Regola nel suo valore di riferimento per la vita

dell’Ordine?

3. IL RITORNO ALLA TRADIZIONE BONAVENTURIANA

L’emanazione del testo papale obbligò subito l’Ordine a stilare delle nuove costituzioni, operazione che doveva muo-versi dentro due riferimenti giuridici di tipo obbliganti. Oltre la Regola, infatti, il nuovo testo doveva tener presente e rece-pire sia la materia stabilita dalla costituzioni papali, sia quan-to fissaquan-to nelle ultime di Perpinian emanate dallo stesso gene-rale che era ancora in carica, ossia Gerardo Odonis. L’opera di riscrittura di nuove costituzioni venne realizzata l’anno succes-sivo alle Benedettine, cioè nel 1337 nel capitolo di Quercy25.

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Or-Il primo elemento che colpisce nelle nuove costituzioni è il ritorno al modello delle narbonensi. Si abbandona la scelta delle costituzioni di Perpinian di porre la Regola a base dello sviluppo del testo, per riprendere le tematiche della tradizione nata con Bonaventura. Di fatto i capitoli non ritornano ancora ad essere 12 come lo era appunto nel teso narbonense, ma passano da 20, come erano nelle costituzioni di Perpinian del 1331, a 16; tuttavia, sebbene non si riprenda ancora la stessa scansione in 12 capitoli, vengono di fatto utilizzati gli stessi titoli delle narbonensi, con quattro eccezioni che spiegano il n. 16 dei capitoli: la prima riguarda il capitolo VII sulle pu-nizioni dei delinquenti al quale si aggiungono altri due capi-toli strettamente connessi con quel tema: De accusationibus excessuum (VIII), e De puniendis ac recipiendis apostatis (IX)) e poi vi è un capitolo (XII) dedicato all’elezione dei mi-nistri provinciali, direttamente connesso all’XI centrato sull’e-lezione dei ministri generali; infine vi è l’aggiunta di un nuo-vo tema circa l’attività dei frati nel campo dell’inquisizione contro l’eresia (XIII).

La struttura delle narbonensi, dunque, ritorna ad essere la base delle nuove costituzioni, scelta confermata nelle successi-ve e compiuta definitivamente nel 1354 quando le costituzio-ni emanate dal generale Faricostituzio-nier assumeranno di nuovo i 12 capitoli delle narbonensi quale struttura base del testo. Per

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una visione d’insieme degli sviluppi testuali delle cinque co-stituzioni che vanno dal 1137 al 1354 offriamo una tavola si-nottica dei documenti.

Quercy(1337) Assisi

(1340) Venezia (1346) Lione (1351) Farineriane (1354)

Prologus (nuovo) Prologus

(dalle nar-bonensi)

Prologus Prologus

I: De religionis ingressu I: = I: = I: =

II: De qualitate nostri habitus II: = I: = II: = II: = III: De observantia paupertatis et non

recipienda pecunia III: = VI: = III: = III: =

IV: De forma interius conversandi IV: = II: = IV: = IV: = V: De modo exterius exeundi V: = III: = V: = V: = VI: De occupationibus fratrum VI: = IV: = VI: = VI: = VII: De correctione delinquentium

VIII: De accusationibus excessuum IX: De puniendis ac recipiendis aposta-tis

VII: = V: = VII: = IX: =

VII: =

X: De visitacionibus provinciarum VIII: = VIII: = VIII: = XI: De electione generalis ministri

XII: De electionibus ministrorum pro-vincialium et institutionibus aliorum officiariorum

IX: = X: =

XI: De institutioni-bus aliorum officia-lium

IX: =

XIII: De inquisitoribus heretice pravita-tis

XIV: De capitulo provinciali X: = XII: De capitulo pro-vinciali et institutio-nibus ministrorum

X: De capitulo provinciali XV: De capitulo generali XI: = XIII: = XI: =

XVI: De suffragis defunctorum XII: = XIV: = XII: =

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quel testo precedente si rifiuta anche il metodo compilatorio delle fonti utilizzate, cioè scompaiono i testi extragiuridici utilizzati nelle precedenti, come ad esempio i testi di France-sco (Testamento) e su Francesco (le biografie antiche).

Tuttavia, se nella forma le costituzioni farineriane assumono di nuovo la tradizione narbonense, nel contenuto invece operano una complessa elaborazione redazionale delle costituzioni che l’a-vevano preceduta. Si può dire, infatti, che nella storia redazionale delle costituzioni minoritiche le Farineriane rappresentano il punto di arrivo di una evoluzione per alcuni versi travagliata e complessa, ma anche ricca e fruttuosa, del testo nato con Bona-ventura. Di fatto il lavoro redazionale dei padri, riuniti nel 1354 al capitolo di Assisi, si concentrò sulla ripresa e riunificazione delle costituzioni precedenti, con particolare attenzione a quelle emanate a Quarcy nel 1337, le quali, come si è già accennato, erano in qualche modo il punto di snodo nel rapporto tra la tra-dizione narbonenese precedente a Perpinian e gli sviluppi succes-sivi alle benedettine26. Il testo emanato ad Assisi sotto il genera-le Farinier rappresenta, dunque, una specie di riunificazione di tutta la legislazione minoritica, riordinata seguendo la struttura generale della tradizione nata con le Narbonensi. Ne nasce un te-sto di grandi dimensioni con ben trecento numeri suddivisi nei 12 capitoli che riempiono ben 80 pagine dell’edizione offerta da Bihl nel 1942.

La longevità di queste costituzioni, che in pratica restaro-no in vigore firestaro-no alla fine del secolo XV, costituiscorestaro-no la pro-va migliore della loro qualità giuridica27. Grazie ad esse

in-26Cfr. le considerazioni di dipendenza redazionale proposte da M. Bihl nella sua ampia e interessante introduzione fatta al testo delle costituzioni in AFH, 35 (1942) p. 46.

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fatti l’Ordine riuscì in certi casi a trovare un’armonia tra le diverse anime che oramai contraddistinguevano una fraternità minoritica di grandi proporzioni, impegnata in una enorme quantità di attività pastorali e culturali, ma anche sempre più scossa dal desiderio di un ritorno ad un’osservanza più stretta della Regola.

Fatte queste osservazioni generali torniamo al nostro pun-to di osservazione particolare riguardo al rapporpun-to instaurapun-to dalle costituzioni con la Regola. Concretamente, si deve dire che le Farineriane, per il loro legame con la tradizione Bona-venturiana, confermano gli elementi generali già individuati a suo tempo nelle narbonensi. Da una parte viene ribadita quel-la logica compositiva con quel-la quale i 12 capitoli delquel-la Regola

era stata ricomposta da Bonaventura mediante un ordine in qualche modo più logico e consequenziale. A questa prima operazione generale si affianca un utilizzo marginale delle ci-tazioni della Regola; anzi si deve osservare che i rinvii al testo di Francesco, già limitati nella tradizione bonaventuriana, di-ventano ancora più rari nelle ultime costituzioni. La ripresa dello schema sopra utilizzato per individuare i luoghi delle ci-tazioni della Regola nelle costituzioni narbonensi ci aiuterà a verificare questo dato statistico:

Titoli delle rubriche Bonaventuriane Farineriane

I: De Religionis ingressu n. 5: Rb II 7 n. 6: Rb II 3

n. 1: Rb II 3 n. 3: Rb II 10 II: De qualitate habitus n. 1: Rb II 16

n. 8: Rb II 15

n. 1: Rb II 16 n. 17: Rb II 15 III: De observantia paupertatis n. 1: Rb IV 1

n. 24: Rb VI 1 n. 1: Rb IV 1 IV: De forma interius conversandi n. 1: Rb III 5-10

n. 10: Rb X 8

n. 1: Rb III 5-10 n. 3: Rb III 7 V: De modo exterius exeundi n. 1: Rb III 10

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Titoli delle rubriche Bonaventuriane Farineriane

VI: De occupationibus fratrum n. 1: Rb V 1

n. 10: Rb IX 2 n. 1: Rb V 1 VII: De correctionibus delinquentium n. 1: Rb VII 1

n. 8: Rb XI 1

n. 41: Rb XI 1 VIII: De visitationibus provinciarum n. 1: Rb X 1 n. 1: Rb X 1 IX: De electionibus ministrorum n. 1: Rb VIII 2 n. 1: Rb VIII 2 X: De capitulo provinciali n. 1: Rb VIII 5 n. 1: Rb VIII 5 XI: De capitulo generali n. 1: Rb VIII 2 n. 1: Rb VIII 2 XII: De suffragiis defunctorum

L’utilizzo dei testi della Regola resta pressoché uguale, ec-cetto qualche piccola sostituzione e soprattutto qualche aboli-zione. Tuttavia uguale è il metodo di impiego dei testi della

Regola e la loro marginalizzazione all’interno dello sviluppo e della fondazione delle norme.

Un altro elemento della tradizione bonaventuriana che ri-torna sono i testi individuati nelle Narbonensi nei quali le co-stituzioni erano rapportate alla Regola nella loro paritaria fun-zione giuridica a vantaggio della vita della fraternità. Quelle normative, in parte, sono riprese ancora nelle Farineriane con qualche trasformazione legata al processo redazionale vissuto nei quasi 100 anni che separano le due costituzioni. Riportia-mo in forma sinottica i testi in questione:

Narbonensi Farineriane

VII 21: Et ne simplicioribus fratribus igno-rantia sit occasio delinquendi, custos, cum visitat, illis Regulam et Constitutionem in vulgari diligenter exponat.

Far. VII 54: Et ne simplicioribus fratribus ignorantia sit occasio delinquendi, custos, eum visitat, illis Regulam et Constitutionem in vulgari diligenter exponat.

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Narbonensi Farineriane

VIII 9: Procedatur ergo in hunc modum. Primo legatur regula in communi deinde constitutiones.

Cat. X 9, Far. VIII 9: Ingressis visitatoribus locum visitandum, legantur et Regula et Co-stitutiones Domni Benedicti Papa XII et ge-nerales Constitutiones ordinis nostri, quan-tum ipsis visitatoribus pro suae visitationis officio utiliter exsequendo visum fuerit expe-dire.

XI 6: Quaeratur diligenter qualiter regula et statuta generalis capituli in singulis provin-ciis fuerint custodita.

Il primo aspetto da rilevare riguarda l’eliminazione di due testi dei quattro presenti nelle narbonensi, nei quali avevamo intravisto presente un chiaro parallelismo giuridico tra le co-stituzioni e la Regola. Nei due passaggi confermati (Narb. VII 21 – Far VII 54 e Narb. VIII 9 – Far VIII 9) la formulazione risulta praticamente la stessa, con una sola interessante novità posta nel secondo testo, corrispondente alla rubrica VIII n. 9, dove viene ribadito il procedimento da adottare dai visitatori nell’indagare sui peccati pubblici dei frati. Nel testo, oltre ad essere riaffermato il dovere di premettere la lettura della Rego-la e delle costituzioni prima di indagare, si aggiunge un terzo testo legislativo da unire ai precedenti: le costituzioni bene-dettine, le quali, dunque, appartenevano alla base giuridica dell’identità francescana.

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poi ribadito qualche anno dopo nel capitolo di Lione. Nel 1342 il generale Gerardo Odonis, dopo 13 anni di governo, era stato nominato vescovo; a lui succede Fortenario Vassalli, un uomo con il quale riparte il confronto interno tra le diver-se anime dell’Ordine.

Referensi

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