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I geometri greci e gli specchi ustori

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1 Un dominio di ricerca indipendente

Alcuni aspetti dell’ottica greca sono sorprendenti in una prospettiva mo-derna. I raggi visivi (che promanano dall’occhio e grazie ai quali ha luogo il processo di percezione visiva) e i raggi di luce sono considerati entit`a distinte e sono studiati da scienze distinte, che partono per`o dalle stesse ipotesi.1 Leggiamo in proposito questo passo di Gemino proposto in estratto inDefinitiones135.12:

Le parti dell’ottica potrebbero essere denominate in accordo con le differenti materie anche in pi`u modi, ma i tre generi principali sono quello chiamato ottica per omonimia con l’intera disciplina, quello catottrico, quello scenografico. `E detto catottrico quello che si occupa in generale delle riflessioni dagli oggetti lisci, non solo su di un solo specchio, ma a volte anche su molti, e ancora a dire il vero anche dei colori che appaiono nell’aria a causa dell’umi-dit`a, quali sono quelli lungo l’arcobaleno. Un altro `e quello che studia ci`o che accade ai raggi del sole sia nel loro inflettersi che nell’illuminazione stessa che nelle ombre, ad esempio quale risulti la linea che delimita l’ombra in ciascuna figura, e quello denomi-nato<teoria>degli specchi ustori, che investiga, riguardo ai raggi che concorrono per riflessione, quelli che danno fuoco ad un certo luogo, concorrendo in un solo<punto>oppure secondo una linea retta oppure circolare,2come conseguenza della convergenza

com-1Le ipotesi sono le stesse perch´e la trattazione in termini matematici utilizza gli stessi concetti e gli stessi metodi.

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patta della luce riflessa da parte di una certa qual forma dello spec-chio. Queste teorie, avendo le stesse ipotesi di quella che si occupa di raggi visivi, procedono allo stesso modo di quella: quale infatti sia l’emissione dei raggi visivi, tale risulta anche l’illuminazione solare, talora secondo rette non flesse, talora secondo<rette>che si immergono, proprio come per i vetri –<i raggi>diffusi da par-te di cerpar-te figure convergono infatti in un solo<punto e>danno fuoco – talora per riflessione, proprio come i giochi di riflessi ap-paiono sui tetti – e come la visione deriva da ogni raggio visivo, anche l’illuminazione deriva da ogni parte del sole. Quell’ottica che investiga le <immagini>che passano per acqua e membra-ne ha una teoria di minor portata, e studia gli oggetti sott’acqua e <dietro>membrane e vetro: quando gli oggetti uniti appaiano lacerati, e composti gli oggetti semplici, e flessi quelli diritti e in moto quelli fermi [20, pp. 104.9-106.13].

Gemino scrive nel I secolo a.C., e, per quanto attento agli aspetti classi-ficatori e quindi potenzialmente interessato a introdurre distinzioni pi`u o meno fittizie tra scienze affini, riflette molto probabilmente lo stato della ricerca a lui contemporanea. I documenti a nostra disposizione attesta-no invece uattesta-no stato ancora fluido del processo di compartimentazione disciplinare nella prima opera che si occupa, per quanto marginalmen-te, di specchi ustori: laCatottricadi Euclide. Dopo che la proposizione 28 aveva enfatizzato il ruolo strategico del punto medio del raggio nel-la visione di oggetti mediata da specchi sferici concavi, nel-la proposizione 30 investiga, passando dai raggi visivi a quelli solari, le propriet`a ustorie degli stessi specchi. Per quanto sia rischioso assumere che laCatottrica

come ci `e pervenuta risalgarecta viaad Euclide, la testimonianza di Dio-cle, che vedremo nella Sez. 4, corrobora l’ipotesi che uno dei motori di tutta la tradizione di ricerca sugli specchi ustori sia la proposizione che andiamo a leggere (Figure 1 e 2):

Catottrica 30. Dagli specchi concavi posti al sole si accende il

fuoco.

Sia uno specchio concavo A BG, sole E Z, centro dello specchio

Q, e da un certo puntoDcongiuntaD Qfino al centroQsia stata prolungata fino aB, e risulti incidere un raggioDGe risulti essere riflesso fino aK. Sar`a pertanto riflesso sopra il centroQ– l’angolo sulla circonferenza P `e infatti minore di quello restante sulla cir-conferenza BG D–. E sia l’arco A B uguale aBG, e da D incida un certo altro raggio D A. `E dunque manifesto che il raggio A D

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Similmente sar`a dimostrato che tutti i<raggi>che da Dincidono sullo specchio e che staccano <archi>uguali incontreranno B Q

nello stesso<punto>pi`u sopra di Q.

Figura 1.

Figura 2.

Sia di nuovo uno specchio concavoA BG, soleD E Z, e da un certo puntoE per il centroQsiaE Q B, e dagli altriD,Z D QG,Z Q A. E dunque abbiamo dimostrato prima che i raggi da E incontreran-no se stessi per essere gli angoliP,Ruguali – sono infatti diametri – e quelli da Z per gli angoliK, L, quelli da Dfino a DGper es-sere gli angoli N, X uguali. E che tutti questi siano riflessi in se stessi `e chiaro – essendo dal centro fanno infatti semicerchi, e gli angoli dei semicerchi sono uguali –: le riflessioni risultano quindi per angoli uguali: sono dunque riflessi in se stessi. Tutti<i raggi> da tutti i punti sulle <rette> per il centro si incontreranno quin-di nel centro. Riscaldatisi dunque questi raggi intorno al centro si concentrer`a un fuoco. Cos`ı che della stoppa posta qui si accender`a [14, pp. 340.1-342.10].

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che seguono. Lo studio degli specchi ustori assunse in effetti una con-notazione geometrica molto spiccata, inusuale per opere di matematica applicata: si tratta sostanzialmente di trattazioni molto brevi che si con-centrano su problemi assai circoscritti di teoria delle sezioni coniche o, nel caso di riflessioni da specchi sferici, di geometria piana elementare. Altro tratto piuttosto inusuale `e la longevit`a del campo di ricerca. Dio-cle `e probabilmente un contemporaneo di Apollonio (a cavallo tra III e II secolo a.C.); Antemio di Tralle, l’ultimo da cui si hanno contributi tecnicamente interessanti, oper`o nel pieno del VI secolo d.C. Altri mate-matici tennero vivo l’interesse per la geometria degli specchi ustori, come vedremo nelle prossime tre sezioni.

2 Archimede e gli specchi ustori

Bisogna preliminarmente sgombrare il campo da un mito storiografico duro a morire, per quanto la sua implausibilit`a fosse apparsa chiara gi`a ad Antemio: Archimede che mette in opera specchi ustori nella difesa di Siracusa. La questione `e stata dibattuta fin dall’et`a rinascimentale, e gli interpreti hanno enfatizzato due aspetti della questione: la (in)fattibilit`a materiale e il silenzio delle fonti pi`u attendibili o vicine all’evento [32, 41, 43]. Vorrei qui discutere le varie testimonianze (la lista canonica risale allaBibliotheca graecadi Fabricius [6, vol. III.C.22], compilata all’inizio del Settecento!) e mostrare che formano una catena dossografica molto strettamente connessa. L’unica testimonianza sicura e indipendente, per quanto di seconda mano, risulter`a essere quella di Antemio di Tralle.

Inizio presentando brevemente i passaggi, altamente problematici, che attribuiscono unaCatottrica(cio`e un’opera che si occupa della riflessione di raggi visivi) ad Archimede. Non `e in effetti a priori chiaro se gi`a all’epoca di Archimede i due campi di ricerca si fossero differenziati. Lo scolio 7 allaCatottricaeuclidea gli attribuisce la seguente dimostrazione (Figura 3):3

Archimede dice cos`ı, che l’angolo Z o `e uguale ad E oppure mi-nore oppure maggiore. Sia in primo luogo Z maggiore di E: E `e quindi minore. Di nuovo, sia dunque stato posto un occhio D, e dall’occhio<il raggio>sia stato riflesso di nuovo fino a ci`o che `e visto B. L’angolo E sar`a quindi maggiore di Z. Ed era anche minore; il che `e assurdo [14, p. 348.17–22].

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B

D

Z E

Figura 3.

Pur nella sua forma eccessivamente compressa, si riconosce inequivoca-bilmente un argomento basato su considerazioni di simmetria, che sfrut-tano la reversibilit`a del cammino ottico. `E per`o un argomento comple-tamente geometrico, che intende spiegare il fenomeno all’interno di un quadro teorico ben preciso. Un riassunto molto sintetico della presunta opera di Archimede si trova in Apuleio:

Uideturne uobis debere philosophia haec omnia uestigare et inqui-rere et cuncta specula, uel uda uel suda, uidere? Quibus praeter ista quae dixi etiam illa ratiocinatio necessaria est, cur in planis quidem speculis ferme pares obtutus et imagines uideantur, tumi-dis vero et globosis omnia defectiora, at contra in cauis auctiora; ubi et cur laeua cum dexteris permutentur; quando se imago eodem speculo tum recondat penitus, tum foras exserat; cur caua specula, si exaduersum soli retineantur, appositum fomitem accendant; qui fiat ut arcus in nubibus uariae, duo soles aemula similitudine ui-santur, alia praeterea eiusdem modi plurima, quae tractat uolumine ingenti Archimedes Syracusanus, uir in omni quidem geometria multum ante alios admirabilis subtilitate, sed haud sciam an prop-ter hoc uel maxime memorandus, quod inspexerat spaesulum saepe ac diligenter [22, pp. 18.17-19.8].

Ulteriori riferimenti si trovano in autori tardi. Teone di Alessandria (se-conda met`a del IV secolo) spiega, nel suo commento all’Almagesto, il passo in cui Tolomeo afferma che i corpi celesti, quando sono vicini all’orizzonte, appaiono ingranditi per un effetto ottico:

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<libri> Sulle catottriche. [. . . ] E incidano raggi sulla superfi-cie dell’acquaE Q,E K, e siano inflessi fino adA,B, comeE Q A,

E K B, come anche Archimede nei<libri>Sulle catottriche, come abbiamo detto [40, pp. 347.2-348.1 e 349.5-7].

Commentando i passi matematici deiMeteorologicadi Aristotele, Olim-piodoro (VI secolo) afferma:

Anche Archimede dimostra in altro modo questo stesso fatto, che il raggio visivo `e inflesso, dall’anello gettato nel vaso. Qualora infatti tu getti un anello in un vaso senz’acqua, non ti apparir`a, per il fatto di stare davanti il corpo del vaso. Se invece getti dell’acqua, apparir`a spostato, dato che il raggio visivo incide nell’acqua come su uno specchio ed `e inflesso per rifrazione fino all’anello. Cos`ı dunque va dimostrato che il raggio visivo `e inflesso [45, p. 211.18-23].

Sembra dunque che il commentatore attribuisca ad Archimede una di-mostrazione della def. 6 della Catottrica euclidea. `E difficile valutare l’attendibilit`a di questi passaggi. `E stato proposto che si riferiscano in realt`a ad una versione pi`u ampia dellaCatottricaeuclidea, che ci sarebbe quindi giunta mutila [29]. Una parte di quanto dice Apuleio costituisce in effetti un riassunto piuttosto preciso dellaCatottrica, e la sua menzio-ne delle propriet`a ustorie dei«caua specula»sarebbe semplicemente un riferimento alla prop. 30 letta sopra.

Le prime testimonianze sul (mancato) uso da parte di Archimede di specchi ustori durante l’assedio di Siracusa sono attestazioni ex silen-tio. Polibio (ca. 203-120 a.C) [5, pp. 337.30-341.9], Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.),4Plutarco (ca. 50-120 d.C.)5descrivono pi`u o meno

detta-gliatamente alcuni degli ordigni bellici progettati da Archimede ed i suoi espedienti tattici per opporsi alle navi romane, ma non menzionano gli specchi ustori. In realt`a, non possiamo dare peso dirimente in negativo a queste testimonianze: rimontano sicuramente ad una fonte comune (for-se Polibio stesso) e quindi vanno contate comeuna solatestimonianza; non siamo sicuri che la narrazione di quest’ultimo dei fatti siciliani ci sia giunta completa (manca ad esempio l’episodio della morte di Archime-de, ma il resoconto degli assalti via mare a Siracusa sembra conchiuso).

4Ab urbe conditaXXIV.34 e XXV.31, quest’ultimo contenendo solo una breve descrizione della morte di Archimede.

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Sia come sia, in Polibio la narrazione `e scandita da un principio ordina-tore ben preciso: la distanza delle quinquiremi romane dalle mura, cui corrispondono,kat`a l´ogon ’ae`i pr`oV t`o par`on ’ap´osthma«ogni volta in rapporto con la distanza presente», adeguate macchine da guerra at-te a contrastarle. Quando sono lontane, le navi sono colpiat-te da grossi proiettili lanciati da catapulte; macchine da lancio pi`u piccole entrano in funzione quando le navi si sottraggano alla gittata di quelle pi`u grandi; quando si facciano troppo vicine sono bersagliate da frecce e altra bali-stica leggera scagliata da cesse praticate ad altezza d’uomo nelle mura di Siracusa. A questo punto la tecnica difensiva ammette una biforcazione: se i Romani si pongono sotto le mura con navi accoppiate in modo da sorreggere le torri d’assedio chiamate sambuche, tutto l’apparato viene distrutto da enormi pesi sganciati da bracci mobili (in sostanza delle sta-dere) improvvisamente fatti spuntare da sopra le mura; se invece le navi recano soltanto combattenti muniti di protezioni contro la balistica legge-ra, pietre li respingono a poppa mentre una mano di ferro calata con una catena `e velocemente fissata alla prua: un sistema di carrucole permette di issare in verticale la nave, che viene poi sbattuta gi`u con conseguenze rovinose: quale si appoggia un fianco, quale si rovescia, quale imbarca acqua. Niente viene detto su navi cui venga appiccato il fuoco. La nar-razione dell’assalto da terra da parte delle truppe di Appio procede in maniera strettamente parallela.

Il resoconto di Tito Livio,Ab urbe conditaXXIV.34, `e un’epitome di quello di Polibio. Le coincidenze lessicali e di struttura argomentativa sono dirimenti; il parametro che regola la narrazione `e ancora la distanza delle navi romane dalle mura di Siracusa:

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Plutarco `e uno scrittore e non uno storico: la narrazione, ripresa senza ombra di dubbio da Polibio, `e arricchita di qualche digressione e al con-tempo resa meno coesa: il parametro della distanza delle navi romane dalle mura `e mantenuto (cfr. xv.9), ma semplificato riducendolo ad una dicotomialontano dalle mura(xv.1-7 e xvi.2) /sotto le mura(xv.8-xvi.1) che ammette all’interno espansioni, rispetto alla narrazione asciutta di Polibio, di singoli episodi come quello delle navi agganciate e solleva-te (xv.3-4). Plutarco costruisce inoltre una cornice pedagogica di stam-po prettamente platonico in cui inserire l’episodio dell’assedio: si tratta della ben nota giustificazione del perch´e Archimede, celebre per le sue prodezze nel campo della geometria pura, si sia abbassato ad occuparsi di meccanica (xiv.7-15), ma sia uscito netto da una tale sozza commistio-ne evitando di pubblicare alcunch´e sull’argomento (xvii.5-12). Plutarco non menziona specchi ustori; in compenso offre tre versioni differenti dell’episodio della morte di Archimede (xix.8-12). Nel frattempo, Silio Italico (25/26-101 d.C.),PunicaXIV, 292-352, ci spiega che i Siracusani usarono proiettili infuocati contro la fanteria romana, ma non fa cenno ad ordigni incendiari messi in opera nel corso dell’assedio per mare, la cui descrizione ricalca e romanza quella di Livio (il nome di Archimede non compare perch´e le prime tre sillabe del suo nome – lunga/breve/lunga: un cretico – non si adattano all’esametro). In conclusione, le quattro fonti da cui si `e soliti trarre il forte argomentoex silentiocontro il preteso uso di specchi ustori da parte di Archimede si riducono in effetti ad una sola, Polibio.

Il passaggio pi`u antico addotto solitamente come prova in positivo `e Luciano (II sec. d.C.), Hippias 2.1-13,6 ma non vi si menzionano gli specchi ustori: parlando di personaggi«illustri in campo teorico ma che lasciarono ai posteri anche monumenti ed applicazioni della tecnica», l’autore menziona un certo Sostrato di Cnido ed Archimede, quest’ul-timo per «aver dato alle fiamme le triremi nemiche con l’ausilio della tecnicat`aV t˜wn polem´iwn tri´hreiV katafl´exanta t˜Ñ t´ecnÑ». Frutto di un equivoco interessante e probabilmente decisivo per la tradizione sus-seguente `e invece il preteso riferimento di Galeno (129-ca. 216 d.C.) in

De temperamentisIII.2:

Non c’`e per niente da meravigliarsi se ci`o che prende le mosse in forma minimale possa prodursi in uno stravolgimento massimo della natura originaria. `E innegabile che anche molti dei fenomeni all’esterno [del corpo umano] si osservino di tal genere. In Misia,

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che `e in Asia, una casa bruci`o completamente in questo modo: vi si trovava dello sterco di piccione, gi`a in putrefazione e surriscaldato ed emanante vapore e piuttosto caldo al tatto. Vicino ad esso, al punto da toccarlo, c’era una finestra il cui legno era stato da poco completamente imbevuto di una gran quantit`a di resina. Dunque, il sole violento di piena estate appicc`o il fuoco sia alla resina che al legno, e di qui altre porte e finestre che si trovavano vicino e da poco imbevute di resina accolsero facilmente il fuoco e lo estese-ro fino al tetto. Una volta che la fiamma lo ebbe preso, si pestese-ropag`o velocemente a tutta la casa. Pi`u o meno cos`ı, credo, si dice che Ar-chimede abbia incendiato le triremi dei nemici per mezzo di [ma-teriali] ustori o“utw d´e pwV oÿimai, ka`i t`on ’Arcim´hdhn jas`i di`a

t˜wn pure´iwn ’empr˜hsai t`aV t˜wn polám´iwn tri´hráiV. Sono accese

facilmente da [materiali] ustori lana, stoppa, lucignoli, ferula e tut-to ci`o che, similmente, sia secco e poroso. Appiccano la fiamma anche pietre sfregate tra loro e soprattutto se si spruzza dello zolfo su di esse. Anche il composto di Medea era di questo genere. Tutto ci`o che ne viene spalmato si incendia, una volta fornitogli calore. Quello si prepara con zolfo e bitume liquido [33, vol. I, pp. 657-8] = [23. p. 93].

`

E degna di nota la triplice modulazione dubitativa«Pi`u o meno cos`ı, cre-do, si dice». Gi`a Galeno lavorava dunque su notizie di seconda mano, innestandovi di suo una componente estrapolativa che riconosce esplici-tamente come tale. Il passo non contiene per`o riferimenti a specchi

usto-ri: purá˜ia sono in generale tutti gli oggetti composti di materiali adatti

a fungere da innesco, e in questo senso il termine `e usato da Galeno. Il parallelo con l’ammasso di sterco di piccione e il piccolo elenco di ma-teriali che segue la menzione di Archimede danno indicazioni univoche. Dal passo di Galeno nacque sicuramente l’equivoco in epoca moderna, e probabilmente gi`a in epoca antica [44]: il terminepurá˜ia designava gi`a nella letteratura tecnica, per metonimia, gli specchi ustori: lo troviamo almeno nel titolo dell’opera di Diocle, anche se a rigore questo potrebbe essere dovuto al compilatore, e sicuramente in Gemino, come abbiamo letto all’inizio. Si noti anche la denominazione, in Galeno e in Luciano, delle navi romane come«triremi». Erano invece delle quinquiremi, come attesta anche Polibio: le fonti del II secolo attualizzano informazioni su cui non hanno pi`u controllo.7

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mira-La testimonianza principale si trova in Antemio di Tralle (morto nel 534), Sui meccanismi sorprendenti [Pár`i parad´oxwn mhcanhm´atwn], il quale per`o, per sua stessa ammissione, si basa su narrazioni precedenti. L’accenno alle sue fonti suggerisce che queste gi`a contenessero infor-mazioni piuttosto vaghe, e che non si trattasse di autori tecnici. Merita leggere un lungo estratto del breve trattato:

2. Come monteremo un apparato in modo che si verifichi accen-sione, per mezzo dei raggi solari, in un luogo dato che disti non meno di un tiro d’arco.

Se ci basiamo su quelli che espongono le costruzioni dei cosiddetti ustori, sembra quasi che quanto proposto sia impossibile: vediamo infatti gli ustori guardare sempre verso il sole quando producano l’accensione, di modo che, se il luogo dato non `e proprio in linea retta con i raggi solari, ma punta da un’altra parte o da quella op-posta, non `e possibile che si produca quanto proposto per mezzo dei detti ustori; e inoltre prendere in considerazione una distanza sufficiente fino all’accensione comporta necessariamente che an-che la grandezza dell’ustorio, se ci basiamo sulle esposizioni degli antichi, venga ad essere praticamente impossibile:8 cos`ı che, se ci

basiamo sulle dette esposizioni, `e ragionevole ritenere impossibile anche quanto proposto.

Ma poich´e non `e possibile attentare alla fama di Archimede, e trovandosi narrato concordemente da parte di tutti che bruci`o le navi dei nemici per mezzo dei raggi solari, per ci`o stesso neces-sariamente e ragionevolmente il problema sar`a possibile, e an-che noi, avendolo studiato nella misura in cui ci era possibile in-vestigare, esporremo una costruzione siffatta, premettendo alcu-ne brevi<considerazioni>necessarie a quanto proposto [21, pp. 81.19-82.15] = [38, pp. 353.6-354.2].

[. . . ]

Antemio mostra che con uno specchio piano disposto opportuna-mente i raggi solari possono sempre essere diretti verso un luogo

cula omnia ullum diem fuisse, quo non cuncta conflagrarent, cum specula quoque concaua aduersa solis radiis facilius etiam accendant quam ullus alius ignis».

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dato, e pone il problema di come concentrare sul luogo pi`u raggi siffatti.

[. . . ]

3. Per non avere il fastidio di ingiungerlo a molti (abbiamo infatti scoperto che ci`o che deve accendere abbisogna di non meno di 24 riflessioni),9costruiremo cos`ı:

Sia uno specchio piano esagonaleABGDEZe altri specchi esago-nali simili, di un diametro di poco minore, posti intorno a questo e contigui al primo secondo le dette retteAB, BG, GD, DE, EZ, ZA

e che possano muoversi intorno alle dette rette, tenute insieme o essendo incollate ad essi delle lamine o le cosiddette cerniere. Se invero facciamo che anche gli specchi all’intorno siano nello stesso piano dello specchio di mezzo, la riflessione, `e chiaro, avverr`a si-milmente per tutto il complesso. Se invece, restando quello di mez-zo in qualche modo immobile, facciamo convergere, con un’at-tenzione particolarmente accresciuta, tutti quanti quelli all’intorno verso quello di mezzo, `e chiaro che i raggi da essi riflessi giungono al luogo di mezzo dello specchio originario. Facendo pertanto lo stesso e ponendo altri specchi all’intorno di quelli detti e potendo farli convergere verso il mezzo, concentreremo i loro raggi nello stesso<luogo>, cos`ı da produrre l’accensione nel luogo dato, una volta concentratisi tutti quanti nel modo detto.

4. E la stessa accensione si produrr`a ancor meglio se siffatti usto-ri siano affidati a quattro o cinque persone, sette in numero per ciascuno,10 ed elongati di una distanza commensurabile tra

lo-ro in plo-roporzione alla distanza dell’accensione, cos`ı che i raggi <provenienti>da essi, secandosi tra loro, possano rendere pi`u ef-ficace la detta conflagrazione: se infatti gli specchi si trovano in un solo luogo, le riflessioni si secano tra loro ad angoli acuti, cos`ı che prende fuoco per riscaldamento quasi tutto il luogo intorno all’as-se e la conflagrazione non avviene soltanto sul punto dato. Ed `e possibile, per mezzo della stessa configurazione di specchi piani, anche oscurare la vista dei nemici, in modo che questi non riesca-no a discernere dove camminariesca-no o si dirigariesca-no, siffatti specchi piani essendo disposti come si `e detto prima, conficcati nella parte supe-riore degli scudi e convergendo in qualche modo verso l’esterno, cos`ı da deviare le riflessioni solari, nel modo che si `e detto, verso i

9Nessuna giustificazione di quest’affermazione si trova nel trattatto cos`ı come ci `e pervenuto.

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nemici e in questo modo poterli sconfiggere agevolmente.

Per mezzo della costruzione dei detti specchi ovverosia specchi ustori sia l’accensione che tutto ci`o che segue pu`o avvenire ad un intervallo dato: e infatti coloro che riportano di specchi usto-ri costruiti dal divinissimo Archimede usto-ricordano che<provocasse l’accensione>non per mezzo di un solo specchio ustorio ma per mezzo di molti, e ritengo che non ci sia altro modo per produrre accensione ad una tale distanza: [21, sez. 3-5, pp. 83.24-85.11] = [38, sez. 3-4, pp. 355.15-357.15]

Dopo Antemio troviamo tre testimonianze in autori tardo-bizantini: Gio-vanni Tzetze (ca. 1110-1180), Zonara (attivo intorno al 1161) ed Eustazio (morto nel 1198). A quella di Tzetze in particolare `e stato dato un peso notevole, se non altro perch´e `e l’unica in assoluto che, in un contesto am-pio di presentazione dei risultati archimedei in `ambito meccanico, riporta quanto visse Archimede,11 ed inoltre menziona tra le sue fonti Cassio

Dione (morto dopo il 229 d.C.) e Diodoro Siculo (I secolo a.C.), storici le cui narrazioni della presa di Siracusa non ci sono pervenute. Gli autori tardo-bizantini lavoravano di norma per compilazione di fonti disparate, spesso inserendo nei loro resoconti estrapolazioni congetturali non se-gnalate come tali. L’esposizione di Tzetze «Su Archimede e certi suoi congegni»(ChiliadesII.103-156 (Hist. 35) [34]), ne `e un esempio para-digmatico. L’unico dato inedito `e appunto quello sull’et`a di Archimede all’epoca dell’assedio – altrimenti: la storiella sul varo della nave effet-tuato con una sola mano grazie a un sistema di carrucole (107-108) e la descrizione della variet`a di proiettili scagliati contro le navi romane (109-117), funzione di una distanza dalle mura crescente, sono prese di peso da Plutarco con l’aggiunta di un fantasioso scrupolo di esattezza sul peso della nave e sul numero di carrucole;12la stessaficellestilistica che deve alla sua fonte (l’allontanamento fuori tiro delle navi romane) permette a Tzetze di introdurre come cerniera lessicale l’espressione «tiro d’arco» e, di s´eguito (118-127), un’epitome di quanto abbiamo letto in Antemio, veramente impressionante per coincidenze lessiche e argomentative (`e ad

11Tzetze asserisce soltanto che Archimede«aveva passato i settantacinque», mentre correntemente si assume che questa fosse l’et`a esatta alla sua morte. Occorre tener presente che leChiliadesdi Tze-tze sono redatte in versi, il che impone dei vincoli a priori sul tipo e la forma di date«esprimibili». Va per`o aggiunto che il«verso politico», accentuativo, adottato da Tzetze impone vincoli di gran lunga meno stretti di una qualsiasi metro quantitativo antico.

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esempio identica la descrizione dello specchio piano esagonale congiun-to con specchi pi`u piccoli tramite«lamine e certe cerniere»).13Seguono l’episodio della leva con cui sollevare il mondo (129-130), che leggia-mo gi`a in Pappo (Collectio VIII.10); due versioni discordanti su come Siracusa venne presa (131-134), una attribuita a Diodoro Siculo e l’altra a Cassio Dione; e infine la narrazione della morte di Archimede (135-148) nella stessa versione che leggiamo in Livio. Tzetze ci rivela poi (149-156) le sue fonti: Cassio Dione e Diodoro Siculo, naturalmente, ma anche i«molti che con loro hanno menzionato Archimede: Antemio in primo luogo, lo scrittore di cose sorprendenti, Erone e Filone, Pappo e ogni scrittore di cose meccaniche, nei quali abbiamo letto delle accensio-ni catottriche e di ogaccensio-ni altra sapienza tra quelle pi`u meccaaccensio-niche [. . . ]». Il fatto, dunque, che Tzetze menzioni Diodoro Siculo e Cassio Dione non dimostra che le notizie sugliexploitsarchimedei venganoin totoda questi autori, ma autorizza soltanto ad assumerli come fonte dei due re-soconti contrastanti sulla maniera in cui Siracusa fu presa. Al contrario, i riferimenti agli autori«tecnici», in particolare quello aiMeccanismi sor-prendentidi Antemio di Tralle (unica opera di cui `e fornito il titolo tra-mite la figura retorica dell’antonomasia), e le coincidenze linguistiche e di contenuto col resoconto di quest’ultimo autore, autorizzano una sola conclusione: Tzetze pesca da Antemio le sue notizie su Archimede e gli specchi ustori. Gli altri due autori tardo-bizantini sono meno interessan-ti. Dopo aver narrato degli ordigni difensivi archimedei in una maniera che chiaramente rimonta, per via di innumerevoli compendi, al resocon-to di Polibio, Zonara offre in Epitome historiarumIX.4 una versione in cui sembra mettere insieme la notizia sull’accensione tramite specchi con quella sui proietti incendiari:

E infine mand`o a fuoco tutta quanta la flotta dei Romani in maniera sorprendente [parad´oxwV]. Disponendo infatti uno particolare spec-chio in faccia al sole convogli`o il suo raggio nello stesso<luogo> e, infuocando l’aria a partire da questo grazie allo spessore e alla levigatezza dello specchio, accese una fiamma enorme e la scagli`o tutta verso le navi che venivano all’assalto lungo il percorso del fuoco e le arse tutte [4, vol. II, p. 263.2-8].

Non sfuggir`a al lettore che la parola con cui Zonara qualifica il proprio breve racconto `e contenuta nel titolo del trattato di Antemio. Veniamo

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infine ad Eustazio di Tessalonica, autore tra l’altro di un commentario all’Iliade. Archimede viene menzionato tre volte; le prime due ci interes-sano da vicino. La prima prende occasione nel titano centimani Briareo. Eustazio evidentemente si ricorda del breve discorso che Plutarco (xvii.2) mette in bocca a Marcello ed in cui Archimede `e definito«Briareo geo-metrico», e ne ripete pi`u o meno esattamente l’ultima frase per giustifi-care l’epiteto«centimani»applicato ad Archimede stesso [52, vol. I, p. 191.6-8]. In s´eguito `e questione del passo omerico sull’elmo abbagliante di Diomede, che viene spiegato cos`ı:

Pare a qualcuno che sia stato congegnato un qualche ritrovato ca-tottrico anche per Diomede, sia nel suo elmo che nello scudo, com’`e probabile, cos`ı che si oscuri completamente la vista di colo-ro che guardano verso di lui, quando balenava di fcolo-ronte al sole sfa-villante – e con questo metodo il sapientissimo Archimede mand`o a fuoco le navi nemiche come se fosse un lanciatore di fulmini; e un certo Antemio, dopo, accec`o un vicino fastidioso e cos`ı, im-paurendolo, lo indusse a trasferirsi lontano da s´e [52, vol. II, p. 5.1-7].

Troviamo ancora congiunti Archimede ed Antemio, ma certo Eustazio non fa una gran figura. La conclusione naturale di questa discussione `e che i tre autori tardo-bizantini non possono essere considerati testimoni indipendenti da Antemio, cui risale quindi tutta la tradizione posteriore. Egli offre in definitiva l’unica menzione antica – di seconda mano e aperta a dubbi – dell’impegno di Archimede nella costruzione di specchi ustori.

3 Le opere pervenute

Dei trattati (o frammenti di opere) che si occupano di specchi ustori e che sono attribuibili a matematici greci, solo due sono giunti in greco: il cosiddetto frammento matematico Bobiense e iMeccanismi sorprendenti

di Antemio di Tralle.

Il primo consiste semplicemente in una delle tre proposizioni che com-pongono un lacerto di testo contenuto in un palinsesto un tempo conser-vato nel monastero di San Colombano a Bobbio, ora in provincia di Pia-cenza. Il codice riscritto, risalente all’ottavo secolo e contenente i primi dieci libri delleEtimologiedi Isidoro di Siviglia, fu donato nel 1606 a Fe-derico Borromeo, fondatore della Biblioteca Ambrosiana,14 dove tuttora

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si trova con segnatura S.P. II 65 (olimL 99 sup.).15 Otto bifogli recano

come testo inferiore una miscellanea matematica scritta in una maiuscola greca databile al VII o pi`u probabilmente al VI secolo. La parte in pa-linsesto contiene qualche frammento dell’Analemmadi Tolomeo,16altro

materiale analemmatico, alcune proposizioni di teoria degli specchi usto-ri e un brandello finale che sembra usto-rifeusto-rirsi alla determinazione del centro di gravit`a di certi solidi. Due dei fogli furono cancellati ma non riscritti, e tre di queste quattro pagine recano appunto quello che viene chiamato per metonimia frammento matematico Bobiense.17 Il palinsesto `e

attual-mente in condizioni deplorevoli, dopo i trattamenti con reagenti nella prima met`a del XIX secolo;18 una rilettura recentissima con tecnologie

digitali non ha ancora dato luogo a pubblicazioni rilevanti.19 L’autore del frammento di Bobbio `e sconosciuto, anche se sono stati proposti argo-menti consistenti per identificarlo con Antemio di Tralle stesso.20 Che anche il frammento Bobiense sia una compilazione di epoca tarda `e reso chiaro gi`a dalla presenza di materiale del tutto eterogeneo:21

considera-characteribus minusculis conscriptus, ex bibliotheca Bobii a S. Columbano instituta prodiit, fuitque illustrissimo et reverendissimo Card. Frederico Borrhomeo B. Caroli patruchi, dum Ambros. bi-bliothecam instruerat et manuscriptos codices undique conquireret, a religiosissimis patrib. ord. S. Benedecti vicissim munere donatis humanissime oblatus. Anno 1606».

15Per ulteriori informazioni sul manoscritto si veda [15].

16Testo greco edito da J.L. Heiberg, a fronte della corrispondente traduzione di Guglielmo di Moer-beke, in [17, pp. 194-216]. Nell’ordine sono le pp. 119-120, 139-140, 157-158, 143-144, 129-130 e 117-118 del codice ambrosiano. Guglielmo tradusse tutta l’opera.

17Precisamente pp. 113-114 e 123-124. Per riproduzioni conformi (fatte cio`e a mano) delle pp. 113-114 si veda [2], che costituisce la prima edizione; la p. 124 `e riprodotta in [54, tavola 8]. Nello stesso numero diHermescontenente [2] si trovano, sotto il titolo«Ueber das neue Fragmentum mathematicum Bobiense», note critiche di C. Wachsmuth (pp. 637-640) e di M. Cantor (pp. 640-642).

18Probabilmente ad opera di Angelo Mai. Sulla sua figura ed attivit`a si veda [46], la cui appendice A tratta di«scoperte e pubblicazioni di palinsesti prima del Mai».

19L’edizione di riferimento resta [21, pp. 87-90]. Si veda, preliminarmente, [7, pp. 43-44].

20In realt`a sarebbero dello stesso autore solo le due compilazioni: le fonti originali sono quasi sicuramente pi`u antiche. Pro identificazione: [12, pp. 127-129] e [28, pp. 63-70]. Contra: [10, pp. 200-203], [48, pp. 18-21] (che propone per il frammento un Bizantino anonimo). L’analisi in [28] `e sicuramente la pi`u ampia, ma la questione resta sospesa; la brevit`a dei trattati in oggetto rende vane considerazioni di carattere linguistico o statistico. Si noti per`o che nel frammento Bobiense [21, p. 88.4] si usa sia la denominazione«sezione di cono rettangolo»per la parabola sia il termine «parabola»[21, p. 87.16] – quest’ultimo a dire il vero in un contesto un po’ dubbio –; inoltre «diametro»compare al posto di«asse»[21, p. 87.17].

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zioni preliminari allo studio dei centri di gravit`a in certi solidi geometrici seguono le proposizioni riguardanti le propriet`a focali della parabola e della sfera.

Il testimone greco di gran lunga pi`u antico deiMeccanismi sorpren-dentidi Antemio di Tralle sono i primi due fogli delVaticanus graecus

218. Il manoscritto, della prima met`a X secolo,22 `e il solo testimone in-dipendente dellaCollectiodi Pappo [51]; la mano del trattato di Antemio coincide con una delle due della Collectio.23 L’edizione di riferimento dei Meccanismi sorprendentisi trova in [21, pp. 78-87].24 Una nuova

collazione dei primi due fogli del Vat. gr. 218 `e stata effettuata da M. Rashed; la sua edizione, che migliora in alcuni punti quella di Heiberg, si trova in [38, pp. 349-359].

Gli altri due contributi sono noti solo in traduzione araba.25 Il primo `e

costituito da due proposizioni del trattatoSugli specchi ustoridi Diocle.26 L’opera come ci `e pervenuta `e di contenuto eterogeneo27ed `e sicuramente

sorprendenti [21, pp. 81.22.24, 82.3.5, 83.8, 84.19, 85.5.9.11.19].

22La mano che ha scritto la maggior parte delVat. gr.218 `e molto simile a quella del notario Baanes, uno dei copisti di Areta. A Baanes `e attribuito in particolare un manoscritto datato esplicitamente 913-914 [8, p. 143 nota 43].

23N. Wilson ha fatto osservare che probabilmente la mano del palinsesto di Archimede `e la stessa dei Meccanismi sorprendenti [56, p. 139 e addendum a p. 278]. La posizione attuale di Wilson `e pi`u sfumata:«I have now consulted a photograph afresh. My considered view is that the scribe is very close to the scribe of the Archimedes, especially in the use of abbreviations, but I no longer think he was the same person; I would prefer to say that he appears to be contemporary and quite likely a member of the same scriptorium (assuming that they were not private individuals working freelance, which cannot be excluded)»(comunicazione personale).

24Heiberg si limita a fornire una trascrizione accurata delVat. gr.218; una classificazione completa dei manoscritti deiMeccanismi sorprendentinon esiste ancora. C’`e per`o un’ampia sovrapposizione con quelli recanti laCollectiodi Pappo, per cui si veda l’articolo di Treweek appena citato.

25Jones [27] riferisce del contenuto di una revisione araba di un’opera attribuita ad Antemio (?) intitolataSugli specchi ustori e altri specchie contenuta nel manoscritto Istanbul Laleli 2759/1. Il breve trattato non `e stato mai edito.

26La data di Diocle va fissata verso la seconda met`a del III secolo a.C.; si vedano le informazioni fornite in [48, pp. 1-2]. Buona parte del resto del trattato ci `e giunto anche in greco: Eutocio riporta le prop. 7-8 e le 11-16, anche se in versioni considerevolmente riviste, nel suo commento alDe sphaera et cylindrodi Archimede [19, vol. III, pp. 160-174 e 66-70 rispettivamente]. Per un’analisi si veda [31, pp. 81-87]. La prop. 10 presenta affinit`a solo superficiali con la dimostrazione alternativa che segue quella di Menecmo nella rassegna di Eutocio [19, vol. III, pp. 82-84].

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il risultato di una compilazione tarda.28 Se proprio vogliamo cercare un

denominatore comune ai risultati raccolti, lo scopo sembra essere quello di dare una soluzione a questioni lasciate aperte nella tradizione archi-medea:29 la costruzione di specchi ustori; la risoluzione di un particolare

problema inDe sphaera et cylindroII.4; il metodo per reperire due medie proporzionali tra segmenti dati,30quest’ultimo necessario per completare

la sintesi inDe sphaera et cylindroII.1. Sugli specchi ustori`e preceduta da una lettera prefatoria che si riferisce solo alla prima parte del tratta-to, quella appunto che d`a il titolo; questo fatto corrobora la tesi che gli originali dioclei si trovassero in lavori distinti.

Il secondo contributo si trova in un’opera sugli specchi ustori attribuita a un certo Dtr¯ums. Su questo nome, probabilmente la corruzione di un nome greco, si possono fare solo congetture.31 La prima parte

dell’o-pera presenta risultati tratti dalleConichedi Apollonio (e corrispondenti rispettivamente alle prop. 1, 3, 4, 6, 11, 20, 33, 35 del primo libro di que-sto trattato). Un redattore anonimo li ha sostituiti ai primi due libri del trattato originale, che contenevano a quanto pare un’esposizione analoga. Seguono sei proposizioni; le prime quattro riguardano specchi paraboli-ci,32le ultime due specchi sferici. Autori arabi si sono occupati di specchi ustori sferici, ma non `e il caso di discuterne qui.33

28La raccolta `e anteriore ad Eutocio, che la conosce in questa forma, come appare evidente dal fatto che dichiara di trarre i suoi spezzoni dioclei proprio daSugli specchi ustori[19, vol. III, pp. 66.8, 130.23 e 160.3]. La terminologia pre-apolloniana che viene impiegata nell’opera in materia di sezioni coniche fa pensare che si tratti di una serie di estratti non sempre rielaborati. Si veda [48, pp. 1-2 e 9-17] per una discussione. Unica eccezione la proposizione 8, che costituisce un problema in questo rispetto.

29Knorr [30, p. 233] suggerisce invece che il denominatore comune dei materiali presenti sia«their shared association with constructions employing conic sections».

30Si noti che nelle prop. 11-16 ricerca di due medie proporzionali e duplicazione del cubo sono affrontate separatamente. Inversamente, nella prop. 10 le due medie proporzionali sono menzionate solo di sfuggita.

31Si veda la discussione in [38, pp. 155-157]. In particolare, per quanto riguarda l’origine greca, gli argomenti addotti da Rashed sono: (i) il nome dell’autore, per quanto corrotto, non pu`o essere arabo; (ii) il vocabolo«parabola»`e la traslitterazione in arabo di quello greco; molte delle costruzioni sintattiche della traduzione sono ben poco tipiche della lingua araba. Non `e molto ma l’ipotesi di un’origine araba creerebbe pi`u problemi.

32La prima stabilisce la propriet`a focale, le altre tre forniscono un’interessante costruzione per punti della parabola.

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4 Lo sviluppo del dominio di ricerca

Sia Diocle che, in misura minore, l’autore del frammento di Bobbio fan-no precedere le proposizioni da considerazioni introduttive di fan-notevole interesse. Merita analizzarle in dettaglio, in quanto permettono di de-lineare l’evoluzione storica delle ricerche sulla geometria degli specchi ustori, ponendo inoltre in giusta evidenza la messa a punto di assunzioni semplificative cruciali. Diocle inizia cos`ı:

Pitione il geometra, che `e della gente di Taso, scrisse una lettera a Conone in cui gli chiede come trovare una superficie riflettente tale che, quando la si ponga di fronte al sole, i raggi riflessi su di essa incontrino la circonferenza di un cerchio. E quando l’astro-nomo Ippodamo34 venne in Arcadia e ci fu presentato, ci chiese come trovare una superficie riflettente tale che, quando la si ponga di fronte al sole, i raggi riflessi su di essa si incontrino in un punto e causino cos`ı l’accensione. Noi desideriamo mostrare la soluzione di ci`o che `e stato richiesto da Pitione e da Ippodamo, e utilizziamo a questo scopo i lemmi che sono stati dimostrati dai nostri prede-cessori. Uno di questi due problemi, cio`e quello che richiede la costruzione di uno specchio tale che tutti i raggi si incontrino in un solo punto, venne costruito da Dositeo [38, p. 98] = [48, p. 34].

Diocle attribuisce quindi a Dositeo la scoperta delle propriet`a focali della parabola. Un problema `e costituito dall’uso del verbo«costruire»: se, co-me `e probabile, il verbo greco utilizzato erakataskáu´azáin, non `e chiaro se il termine«costruzione»sia una metonimia per«dimostrazione»35 op-pure se si riferisca ad una risoluzione con mezzi pratici. Toomer propende per il senso materiale di«costruire», e nega che Dositeo abbia fornito una dimostrazione geometrica oltre all’enunciato. Questa era per`o nelle corde di un contemporaneo di Archimede [48, pp. 16 e 140]: la propriet`a foca-le, come vedremo, `e conseguenza pressoch´e immediata di due propriet`a della parabola, che erano note in epoca pre-apolloniana. Inoltre, una co-struzione solo approssimata, oppure«meccanica», non avrebbe mancato di suscitare le critiche di Diocle, cosa che avviene puntualmente nel caso degli specchi sferici. D’altro canto, Apollonio non si occupa delle

pro-34Toomer emenda e legge Zenodoro, traendone indicazioni precise sulla datazione di costui e di Diocle. Si vedano [48, pp. 2 e 139] e [49].

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priet`a focali della parabola, mentre tratta quelle delle coniche centrali:36

potremmo interpretare questa omissione come indice del fatto che il risul-tato fosse ben noto [48, p. 16]. A Diocle andrebbe quindi attribuita, oltre ad eventuali miglioramenti nella dimostrazione di Dositeo, la costruzione per punti della parabola nelle prop. 4 e 5. Ulteriore conferma viene dal s´eguito dell’introduzione, che leggeremo tra un attimo. Le rivendicazioni autoriali sono l`ı in effetti ben precise, sia per quanto riguarda la trattazio-ne degli specchi sferici (in particolare l’invenziotrattazio-ne della meridiana senza gnomone), sia per una delle costruzioni di specchi che ardono lungo un arco di circonferenza.37 La necessit`a di separare il contributo di Dosi-teo, per quanto rielaborato, dal proprio potrebbe anche spiegare in parte la singolare struttura del trattato di Diocle, in cui alle proposizioni su-gli specchi parabolici sono inframezzate quelle susu-gli specchi sferici; non si vede perch´e il compilatore avrebbe dovuto sostituire quest’ordine ap-parentemente bizzarro ad uno differente. Una ricostruzione ragionevole vede quindi Pitione che fa pervenire a Conone il problema menzionato da Diocle di accensione lungo una circonferenza. La riduzione alla de-terminazione di uno specchio che concentra i raggi in un solo punto,38 e

la risoluzione di questo problema, `e dovuta a Dositeo,«amico di Conone e versato in geometria», secondo quanto afferma Archimede nell’inviare al primo laQuadratura parabolaedopo la morte del secondo.

Dopo una descrizione dello specchio parabolico, Diocle passa dunque ad esporre propriet`a e utilizzo degli specchi sferici. Troviamo un accenno inequivocabile al risultato diCatottrica 30, anche se il fatto che Diocle non faccia il nome di Euclide conferma i sospetti sull’autenticit`a di questa proposizione:

L’altro problema, dato che era solo teorico e non aveva applicazio-ni tali da renderlo celebre,39 non venne risolto. Abbiamo esposto

36Apollonio,ConicaIII.45-52. Ma occorre tener presente che questi teoremi non sono presentati come una trattazione delle propriet`a focali.

37Quale sia delle due che troviamo nel testo `e difficile dire. La prima costruzione, per quanto scor-retta, si presenta a mio avviso come un modo piuttosto naturale per risolvere il problema di accen-sione lungo una circonferenza. La seconda costruzione pu`o essere ritenuta pi`u artificiale in quanto comporta che lo specchio abbia un foro. Di certo `e dioclea l’estensione della seconda costruzione a curve qualsiasi.

38Si potrebbe obiettare che il problema di accensione in un punto precede logicamente quello di accensione lungo una circonferenza, e che quindi lo debba precedere anche storicamente. Non `e assolutamente detto che le cose stessero cos`ı, e Diocle sembra suggerire proprio il contrario. Si tratta di una valutazione basata su un concetto di naturalezza e semplicit`a che non abbiamo diritto di attribuire ai greci.

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una raccolta delle dimostrazioni di entrambi questi problemi e li abbiamo resi chiari.

La superficie di specchio ustorio che ti viene presentata `e la super-ficie prodotta da una sezione di cono rettangolo40 ruotata intorno

alla linea che la seca a met`a.41 E una propriet`a di questa superficie` che tutti i raggi sono riflessi su un solo punto, cio`e il punto la cui di-stanza dalla superficie `e uguale a un quarto della retta che possono le perpendicolari condotte all’asse,42 e quando si aumenti questa

di una data quantit`a secondo una sezione circolare, si aumenta la sezione del cono che abbiamo menzionato; i raggi che si riflettono su quest’aumento si rifletteranno sullo stesso punto, e aumentano quindi l’intensit`a del calore intorno a quel punto. L’intensit`a del-l’accensione in questo caso `e maggiore di quella generata da una superficie sferica, in quanto da una superficie sferica i raggi sono riflessi su una linea retta, non su un punto, sebbene si fosse soliti ri-tenere che fossero riflessi sul centro; i raggi riflessi su di un luogo in quella superficie sono riflessi dalla superficie <che consiste> di un segmento sferico minore di met`a della sfera, e<anche>se lo specchio consiste di met`a sfera o pi`u di met`a, solo quei raggi riflessi da meno di met`a sfera sono riflessi su quel luogo.

Il problema posto da Pitione `e anche risolto da una sezione di cono rettangolo fatta ruotare con un altro tipo di rotazione,43 e

spieghe-remo ci`o in s´eguito. Un metodo ingegnoso `e stato trovato perch´e uno specchio ustorio bruci senza essere rivolto faccia al sole; `e in-vece fisso in una e la stessa posizione, e indica le ore del giorno senza gnomone. Lo fa bruciando una traccia su cui sono riflessi i raggi: il riflettersi produce una traccia per la posizione dell’ora che `e richiesta.44 Quest’applicazione `e stupefacente, cio`e che non ci sia necessit`a di ruotare lo specchio, ma che ci`o risulti semplice-mente dalla proposizione menzionata sopra [38, pp. 99-100] = [48, pp. 34-38].

dimostrazione in questo caso, non venne risolto praticamente».

40Si noti la terminologia pre-apolloniana.

41Questo modo per designare l’asse della parabola `e attestato solo nel trattato di Diocle.

42Traduzione dell’espressione greca canonica per indicare illatus rectumdella parabola.

43 Si noti che Diocle non ha menzionato ancora alcun modo per risolvere il problema posto da Pitione.

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`

E stato a lungo argomento di discussione che tipo di specchio potesse indicare le ore senza gnomone, dando per scontato che lo specchio do-vesse essere parabolico e considerando erroneamente come finalizzata a questo scopo la prima delle costruzioni per uno specchio che accenda lungo tutta una circonferenza [25, 48, pp. 143-144]. L’ipotesi pi`u vero-simile `e che si tratti invece di uno specchio sferico – il che `e compatibile con quanto afferma Diocle – [42, pp. 201-202]: basta osservare che uno specchio in forma di paraboloide ha un solo asse di simmetria; uno sfe-rico ne ha uno per ogni punto e, per quanto il suo potere accenditivo sia minore, presenta al sole sempre una porzione nella posizione giusta. Prendendo come specchio una semisfera ed orientandone il concavo nel-la direzione del punto di culminazione superiore del sole all’equinozio, l’accensione lungo una traccia avr`a luogo per buona parte delle ore di una qualsiasi giornata nel corso dell’anno. Oltre naturalmente all’attenzione dovuta ad un argomento affrontato da predecessori illustri, questo risulta-to«stupefacente»giustifica in pieno l’interesse antico per propriet`a focali solo approssimate come quelle degli specchi sferici concavi.

Continuiamo a leggere Diocle. La dimostrazione della propriet`a fo-cale di un paraboloide di rotazione richiede che i raggi provenienti dal sole siano considerati paralleli, come `e d’altronde corretto assumere. Ci`o equivale a considerare il sole a distanza infinita oppure, rifrasando l’as-sunzione in termini pi`u consoni all’approccio antico, a supporre la terra puntiforme. Diocle si sofferma a lungo sulla questione, probabilmente perch´e questa ipotesi, assente nella Catottrica, costituisce il passo cru-ciale, per quanto apparentemente scontato, verso la risoluzione corretta del problema:

Ricordiamo in primo luogo un postulato utilizzato dagli astronomi e che `e: ogni punto utilizzato tra i punti che sono sulla Terra fa le veci di centro della Terra.45 Alcuni possono ridere dei matematici

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e prenderli in giro dicendo che erigono i loro affari su di una base debole, ed alcuni tra loro affermano di conoscere i diametri della sfere, che ne hanno determinati alcuni e che uno di essi `e maggiore di un altro di pi`u di trentamila stadi; altri pretrendono che questa differenza sia maggiore di cinquantamila stadi.46 Le persone sono pi`u propense verso questa seconda opinione perch´e fanno affida-mento nelle affermazioni degli antichi, e dicono che, se si trova la via per non utilizzare questo principio e se non ci siamo costret-ti dal bisogno per quanto riguarda gli strumencostret-ti<che indicano> le ore nei quali si usa l’ombra, sar`a pi`u corretto non impiegarla. Andiamo oltre in questa discussione allo scopo di chiarificare ci`o su cui sono dubbiosi. Diciamo che il punto che abbiamo menzio-nato fa le veci di centro della Terra e dell’Universo e seguiamo in questo l’analogia47 necessaria che utilizziamo in questa posizione ed in altre; e i fenomeni che si producono nel caso degli gnomoni sono simili a ci`o che si sarebbe prodotto se essi fossero realmente collocati al centro;48 in effetti,49tra gli strumenti<che indicano> le ore e in cui si utilizza l’ombra, alcuni indicano le ore senza con-tenere un gnomone e raggiungono una precisione ed un’esattezza tali da non poter appartenere agli altri [38, pp. 100-101] = [48, pp. 38-40].

Il testo `e a tratti parecchio oscuro, ma un aspetto appare chiaro: Diocle sostiene che l’ipotesi di terra puntiforme `e funzionale a ci`o che viene di-scusso nel trattato; egli afferma esplicitamente che la falsit`a in assoluto di

46L’interpretazione corretta `e probabilmente quella che, avendo la terra raggio finito, la determi-nazione del raggio delle sfere celesti dipende dal punto della terra da cui la determidetermi-nazione viene fatta. Le differenze citate nel testo si riferirebbero dunque al pi`u alto dei valori del diametro ter-restre correnti all’epoca, e sono ovviamente minori di questo. Toomer emenda il testo passando a trenta e cinquanta milioni di stadi: sarebbero dunque da intendersi come valori delle differenze dei diametri di sfere successive. L’emendazione di Toomer, coerente con il testo che precede, non produce per`o un argomento contro la tesi del carattere puntiforme della terra. Il testo resta in ogni caso non perspicuo. I diametri delle sfere in stadi e non in raggi terrestri sono tipici dell’astronomia pre-ipparchiana.

47Il termine arabo pu`o significare anche«argomento»,«ipotesi», ed altre fonti lo attestano come traduzione del grecologos.

48Rashed legge:«e i fenomeni che si producono in accordo con quest’analogia sono simili a ci`o che si sarebbe prodotto se avessimo collocato questo punto realmente al centro».

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un asserto non entra necessariamente in conflitto con la sua accettabilit`a relativamente ad un contesto ristretto.

Un’ipotesi implicita ulteriore viene impiegata sin dallaCatottrica eu-clidea: `e sufficiente studiare opportune sezioni lineari di specchi sferici per determinare completamente le loro propriet`a; gli specchi sono poi ot-tenuti per rotazione delle sezione esaminata. In effetti, raggio riflesso e raggio incidente sono sempre in un piano (ElementiXI.2), determinato univocamente dall’ulteriore richiesta, valida per specchi sferici, di col-locazione dell’immagine lungo la congiungente l’oggetto con il centro (Catottricadef. 5); questo piano determina a sua volta come sezione un cerchio massimo della superficie sferica dello specchio. L’approccio agli specchi parabolici suppone per analogia con il caso sferico che il piano di riflessione passi per l’asse del paraboloide;50 si prende quindi in con-siderazione una generica sezione parabolica, e lo specchio viene ancora ottenuto per rotazione.

Qualche elemento in pi`u ci viene dalle parti discorsive del frammento Bobiense e del trattato di Antemio di Tralle. Il primo menziona un’opera di Apollonio sugli specchi ustori:

Gli antichi ritenevano dunque che l’accensione si facesse intor-no al centro dello specchio, e questo lo dimostr`o falso Apollo-nio del tutto appropriatamente . . . contro gli autori di catottri-ca, e ha reso evidente intorno a quale luogo sar`a l’accensione nel <trattato>Sugli specchi ustori. Ma il modo in cui lo dimostrano non . . . , che `e faticoso e con un’esposizione piuttosto lunga [21, p. 885.8-14].

L’accenno ad Apollonio `e piuttosto sconcertante: nessun altro autore anti-co parla di un suoSugli specchi ustori,51mentre la descrizione sommaria del contenuto e l’accenno alle dimostrazioni scorrette dei predecessori concordano esattamente con ci`o che ci `e rimasto di Diocle, e costitui-scono una conferma dell’attendibilit`a di entrambi i resoconti. Se le di-mostrazioni cui l’anonimo si riferisce sono quelle di Diocle, il giudizio critico `e da considerarsi parzialmente fondato se riferito al testo come ci `e pervenuto: nella prop. 2 Diocle si dilunga inutilmente, e stabilisce un risultato che in realt`a non dimostra; nella prop. 3 pu`o aver disturbato

50L’unico a offrire una giustificazione `e Dtr¯ums, che si rif`a sia all’evidenza fenomenica che ad argomenti di simmetria.

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l’anonimo la stima solo approssimata. A entrambe queste lacune l’ano-nimo rimedia con la sua proposizione, che fornisce al tempo stesso una giustificazione, per quanto molto parziale, della propriet`a di monotonia del punto di intersezione del raggio riflesso con l’asse e una stima precisa per l’intervallo di incidenza.

L’ultima testimonianza rimescola le carte in tavola. Si tratta di un estratto daiMeccanismi sorpendentidi Antemio di Tralle:

ma poich´e anche gli antichi resero conto di come occorra che sia-no fatti i progetti delle sagome degli usuali specchi ustori soltan-to in maniera piutsoltan-tossoltan-to meccanica, non esponendo a quessoltan-to sco-po nessuna dimostrazione geometrica, ma dicendo solo che quelle fossero sezioni coniche, e non certamente quali e come risultasse-ro,52 per questo ci proveremo anche noi di esporre certi progetti

di sagome siffatte, e questi non senza dimostrazione, ma confer-mati per mezzo di metodi geometrici [21, p. 85.11-18] = [38, pp. 357.15-358.2].53

La critica di Antemio appare ingiustificata se rivolta a Diocle, la cui prop. 1, per quanto diluita, `e del tutto rigorosa e la cui costruzione per punti nel-la prop. 4 `e giustificata rigorosamente nelnel-la 5. N´e pu`o servire appelnel-larsi ai risultati di teoria delle coniche assunti implicitamente da Diocle, che sono puramente geometrici, oppure al suo uso di un regolo flessibile, che costituisce un procedimento altrettanto valido di quello proposto subito dopo dallo stesso Antemio. Va poi osservato che la proposizione di An-temio soffre dello stesso difetto imputato a quelle dei suoi predecessori [48, pp. 16 e 20], e la chiusura del trattato come ci `e preservata nella revisione di ‘Ut¯arid non comporta nessun passaggio a considerazioni pi`u rigorose atte a determinare la curva;54 tra l’altro, ironia del caso, in

nes-52Neanche Antemio nomina mai la parabola nel s´eguito.

53La punteggiatura adottata in questo passo da M. Rashed fornisce un senso migliore.

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sun luogo del testo di Antemio `e specificato di che tipo di sezione conica si tratti. La possibilit`a che Antemio avesse accesso a fonti precedenti a Diocle, ad esempio lo stesso Dositeo, `e come suggerita da Knorr, che fa sua l’opinione che Dositeo avesse prodotto solo una costruzione mecca-nica o pratica [28, pp. 62-63]. L’ipotesi pi`u probabile resta invece che Antemio avesse un controllo molto limitato sulle proprie fonti, e che la sua affermazione sia semplicemente una conseguenza della sua ignoran-za, aggravata dall’irresistibile tendenza greco-antica ad avanzare pretese autoriali a discredito dei predecessori.

5 La geometria degli specchi ustori

Espongo a grandi linee in questa sezione finale i principali risultati ma-tematici ottenuti nelle opere presentate in precedenza. Toccher`o solo di sfuggita alcuni punti che meritano una discussione pi`u approfondita: la connessione tra le dimostrazioni per specchi sferici e quelle per specchi parabolici; il legame della prima dimostrazione di Diocle con il metodo di analisi e sintesi; il motivo per cui la sua discussione `e divisa in due parti (dimostrazione delle propriet`a focali e costruzione di una parabola con distanza focale e vertice dati) e l’importanza storica della sua costru-zione per punti; la progressiva messa in evidenza, da Diocle a Dtr¯ums, dei lemmi per quaterne di punti su una retta come componente«tecnica» fondamentale della dimostrazione.

Occorre premettere qualche nozione di base riguardante la parabola (si veda la Figura 4).55 Una parabola era ottenuta, in epoca pre-apolloniana,

secando un cono rettangolo con un piano perpendicolare a una generatri-ce. Un ragionamento geometrico abbastanza semplice permette di mo-strare che la curva cos`ı ottenuta `e univocamente determinata dalla se-guenterelazione caratteristica(s´umptwma `e il termine greco): se da un puntoAdi una parabola di verticeV conduciamo la perpendicolare A H

all’asse, alloraq(A H)=r(V H,a),56 dovea `e un segmento dato.57

In-55Un’ottima sintesi dello stato della teoria delle coniche prima di Apollonio `e offerta da G.J. Toomer in [48, pp. 3-17].

56Con notazione abbreviata che user`o d’ora in poi,q(A H)`e il quadrato costruito suA H,r(V H,a) il rettangolo compreso daV Hea. Si tratta di oggetti geometrici, non di espressioni numeriche o, peggio ancora, algebriche.

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versamente, i punti che verificano tale relazione conadato si trovano su una ben precisa parabola; quest’ultima `e quindi caratterizzata da un’unico parametro dimensionale,58il segmentoa, che viene denominato tradizio-nalmente latus rectum.59 La relazione caratteristica `e quindi una

con-dizione necessaria e sufficiente alla determinazione della curva. Ovvia-mente, erano note altre relazioni caratteristiche, e vedremo tra un attimo che anche la propriet`a di equidistanza da fuoco e direttrice era nota essere caratteristica; la relazione scritta sopra era per`o quella di riferimento, ed anche Apollonio ne user`a una forma generalizzata (lo stesso per le altre sezioni coniche; le chiamava ’arcik`a sumpt´wmata«relazioni caratteristi-che originarie»60).61Se daAconduciamo poi la tangente e la normale alla

curva fino alla loro intersezione con l’asse, si genera un triangolo A BC

rettangolo in Ache chiameremotriangolo fondamentaleassociato ad A. Dei due segmenti staccati dall’altezza A H relativa all’ipotenusa, B H `e denominato sottotangente, H C sottonormale. Si dimostra che la sotto-tangente `e secata a met`a dal vertice della parabola(B V =V H), e che la sottonormale `e costante e uguale a met`a dellatus rectum.62 Tutte queste nozioni e propriet`a erano ben note gi`a in periodo pre-archimedeo.63

Iniziamo dunque con un’analisi della dimostrazione della prop. 1 di Diocle. Risulter`a chiaro il motivo di una caratteristica sorprendente e in qualche modo artificiale nella sua logica: Diocle parte dall’ipotesi che

58Ci`o implica che tutte le parabole sono simili. Quest’ultimo risultato `e dimostrato in Apollonio,

ConicaVI.11 ed era ben noto ad Archimede, che ne enuncia esplicitamente un’ovvia conseguenza (tutti i paraboloidi di rotazione sono simili) nella lettera prefatoria alDe conoidibus et sphaeroidibus [19, vol. I, p. 250.21]. Cfr. ancheDe planorum aequilibriisII.3 e 7 eDe insidentibus aquaeII.10. 59Apollonio chiama questo segmento . Modernamente la sua lunghezza `e denominata tout court«parametro».

60Ad esempio inConica, [13, p. 4.3].

61La generazione della parabola come sezione di un cono era utilizzata per dimostrare la relazio-ne caratteristica originaria, ma relazio-nel trattare la curva non entrava pi`u in gioco in quanto ben poco maneggevole matematicamente.

62Una semplice dimostrazione della seconda propriet`a `e la seguente:q(A H)=r(B H,H C)per la similitudine dei triangoliA H BeC H A. MaB H=2V Hper la propriet`a della sottotangente e quindiq(A H)=r(2V H,H C)=r(V H,2H C). Ma per la relazione fondamentale della parabola

q(A H) = r(V H,a); quindi 2H C = a. `E immediato osservare che la propriet`a della sottotan-gente si estende anche alla coniguazione obliqua, mentre quella della sottonormale vale solo in coniugazione ortogonale.

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A

D

B V F E H C

Figura 4.

la riflessione avvenga in ogni caso su di un punto dell’asse con distanza fissa dal vertice, e dimostra che in questo modo si realizza l’uguaglianza degli angoli di incidenza e riflessione. Dato un raggio incidente conside-riamo il triangolo fondamentale associato al punto di incidenza A sulla curva. Sia A BC il triangolo eAFil raggio riflesso (ancora Figura 4).Se la riflessione avviene ad angoli ugualila normale AC seca a met`a l’an-golo tra raggio incidente e riflesso, e se il raggio incidente `e parallelo all’asseognuna delle due met`a `e uguale all’angolo AC F; inoltre, i due raggi fanno angoli uguali anche con la tangente A B, ed entrambi sono uguali all’angolo A B F: i due triangoliA B F eAFCsono quindi isosce-li con basi A Be AC rispettivamente.64 Siccome AF `e in comune, se ne

deduce l’uguaglianza crucialeB F = FC. Inversamente, se vale

(28)

guaglianza, i passaggi precedenti percorsi a ritroso garantiscono che la riflessione avvenga ad angoli uguali. Ora, nel triangolo A BC conducia-mo la perpendicolare A H da Aall’asse, e ricordiamo che i due catetiA B

e AC coincidono con tangente e normale alla curva. Una frequentazione anche solo episodica della teoria delle coniche fa subito riconoscere che al triangolo fondamentale sono imposti ulteriori vincoli se la curva `e una parabola e se BC `e lungo il suo asse: H C (la sottonormale) `e costante e il vertice della parabola `e il punto medio di B H (la sottotangente). Ri-portiamo dunque sull’asse, all’interno della parabola, una lunghezzaV E

uguale a met`a dellatus rectum:65 per la propriet`a della sottonormale si ha

V E = H C. Ritorniamo all’uguaglianza cruciale B F = FC: essa vale seV F =F E (1) eB V = EC(2). (1) determina dove porre l’intersezio-ne del raggio riflesso con l’asse (cio`e a una distanza uguale a 1/4 dellatus rectum), il colpo di genio di Diocle (o di Dositeo) essendo quello di in-tuire che (2) consegue soltanto dal sistema tangente-normale ad un punto della parabola, indipendentemente da considerazioni su raggi incidenti o riflessi. In effetti, la propriet`a della sottotangente d`a B V = V H, e d’al-tra parte, per costruzione,V E = H C; sommando a quest’ultimaE H in comune si ottiene V H = EC, da cui la (2) per transitivit`a. Non resta che rimontare la dimostrazione in maniera coerente. Che Diocle/Dositeo abbia analizzato il problema in questa maniera riceve conferma proprio dal fatto che la sua dimostrazione pone come conclusione e non come ipotesi l’uguaglianza degli angoli, mentre un’analisi parte naturalmente da quest’ultima richiesta. Ovviamente, la dimostrazione precedente pre-suppone di aver gi`a identificato la parabola come la curva con le propriet`a focali perfette. Perch´e proprio la parabola? Sembra di non poter uscire da questo circolo vizioso: ne riparleremo tra breve. Una volta nota la dimo-strazione di Diocle `e opportuno ripristinare l’ordine logico pi`u naturale: quello cio`e che parte dall’uguaglianza degli angoli nella riflessione ed ar-riva a dimostrare che in una parabola ci`o comporta riflessione in un unico punto. `E quello che fa un autore successivo come Dtr¯ums. La sua dimo-strazione `e pi`u facilmente interpretabile come un ripensamento di ci`o che veramente serve in quella di Diocle: per mostrare l’uguaglianza degli an-goli nella riflessione `e in effetti sufficiente far vedere che A B F `e isoscele sulla base A B. L’elegante dimostrazione di Dtr¯ums ruota intorno all’ap-plicazione diElementiII.8 alla quaterna di puntiH F V B.66 Ci`o permette

65La lunghezza naturalmente associata alle dimensioni della parabola non `e illatus rectum, ma la sua met`a. Si veda [48, pp. 10-11].

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di fare a meno della costanza della sottonormale e di eliminare la parte pi`u macchinosa della dimostrazione di Diocle. Come vedremo tra un at-timo,ElementiII.8 applicata alla stessa configurazione di punti compare per`o gi`a nella prop. 5 di Diocle: ci`o conferma che Dtr¯ums non fece altro che raffinare l’approccio diocleo. L’anonimo Bobiense preferisce invece lasciare inalterato il verso della deduzione principale, cogliendo per`o l’i-nutilit`a del triangolo AFC.67 La sua dimostrazione del fatto che AF B `e isoscele `e indipendente da quella di Dtr¯ums: la mossa decisiva consiste nel dimostrare che la congiungente il fuoco con il punto medio di A B– determinato per la propriet`a della sottotangente dall’intersezione di A B

con la tangente per il vertice – `e ortogonale adA Bstessa. L’ortogonalit`a `e una conseguenza semplice della relazione caratteristica della parabola ed ancora della propriet`a della sottotangente.

Passiamo al secondo problema risolto da Diocle: costruire una para-bola con distanza focale data. Ci`o comporta un approccio del tutto dif-ferente dal determinare le propriet`a focali della curva: `e richiesto di co-struire una conica, e ovviamente non si pu`o procedere con gli strumenti della geometria elementare piana (cio`e rette e circonferenze). Gli auto-ri greci che se ne occuparono e di cui ci resta qualcosa, Diocle, Dtr¯ums e Antemio, individuarono una propriet`a caratteristica della parabola che permette di procedere ad una costruzione per punti. Per Diocle la pro-priet`a caratteristica coincide con l’equidistanza dei punti della curva dal fuoco e da una retta, oggi denominata direttrice; Dtr¯ums intraprende una costruzione pi`u complicata, che non discuter`o qui; Antemio elabora una versione non rigorosa della costruzione di Diocle. Troviamo quest’ulti-ma nella prop. 4 del suo trattato (Figura 5). Dare la lunghezza focaleVF

di una parabola permette di fissare alcuni punti di riferimento specifici della curva: la posizione del fuoco e del vertice ovviamente, ma anche il valore dellatus rectum(quattro volte la lunghezza focale data VF), e la«larghezza» F K dell’arco di parabola: in effetti, la relazione caratte-ristica della parabola dilatus rectum4VF applicata al punto la cui ordi-nata cade sul fuoco d`aq(F K) =r(V F,4V F), da cui immediatamente

F K =2V F. I due puntiK eV si trovano quindi sulla parabola cercata. Raddoppiando V F dalla parte diV fino a R si ottiene F R= F K e ad

veda [18, p. 209]. L’enunciato diElementiII.8 `e il seguente: «Qualora una linea retta sia secata come c`apita, quattro volte il rettangolo compreso da quella totale e da uno solo dei segmenti pi`u il quadrato sul restante segmento `e uguale al quadrato descritto sia su quella totale che sul detto segmento come su una sola<retta>». Si applica il lemma al segmentoV Hsecato come c`apita in

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K S

A

F H V B R

Figura 5.

angoli retti con esso; Diocle completa poi il quadratoK F R Se traccia la diagonaleK R; si osserva cheK R `e tangente alla parabola inK.68

Diocle procede quindi a determinare altri punti della curva. A questo scopo propone una semplice costruzione, che consiste nel determinare i punti equidistanti dal fuoco F e dalla retta R S (in linguaggio moderno denominata direttrice). Dato un puntoH suF V, si determiniBin modo cheH V =V B(e quindiF B =H Rdato cheV `e punto medio diF R) e si tracci un cerchio di centroFe raggioF B: questo interseca nel puntoA

la perpendicolare eretta daH. La proposizione termina con

l’affermazio-68E l’inverso della propriet`a della sottotangente ed `e una conseguenza immediata di Apollonio,`

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